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Lo sport nella Capitale? Roma, Lazio, poi il de profundis

(di Massimiliano Morelli*) Hai voglia a vagheggiare la città eterna dello sport, Roma è tutt’altro che culla d’una civiltà sportiva. Sì, vero, c’è il calcio che impera, Roma e Lazio la fanno da padrone e si accaparrano tifosi e spazi di vario tipo, sui giornali e on line.

E poi? Poi siamo all’anno zero, siamo al de profundis degli altri sport. Basket, pallavolo, rugby, sport di squadra, dove siete? Roma pare avervi dimenticato e anzi, sembra davvero che chi riesca ad arrivare per un attimo appena tre metri sopra il cielo poi, subito, cada rovinosamente a faccia avanti. Rugby RomaMRoma volley e Virtus basket, bastano alcuni esempi legati agli sport, che, dopo il football, s’accaparrano più sostenitori, per immortalare la più anomala delle storie di sport mai raccontata a queste latitudini. Chi ha provato a vincere in questa città un titolo nazionale, come in questi casi, non è mai riuscito a rimanere con i piedi saldi per terra nel tempo. Rugby e Volley sono sparite (anche se l’Unione Rugby Capitolina è una realtà orgogliosa che fa promozione di base sul territorio), la Virtus resiste, ma quest’anno è arrivata l’umiliazione della discesa in seconda divisione per mancanza di risorse.

Ci si interroga per esempio sulla Polisportiva Lazio, chiedendo per quale motivo le altre attività ludiche non vengano trattate come la “pallonara disciplina” biancoceleste. Ma come? S’è mille e più volte detto e sottolineato che i laziali hanno più affiliati di quanti ne abbia il Barcellona, e poi tutte le iniziative – football escluso, beninteso – restano appiccicate appena nel contesto locale? E la Roma, che non ha una polisportiva (come per esempio il Barcelona FC con cui gioca stasera, dove basket, pallamano e hockey su prato si sentono parte di un progetto di community), ma che ha altre realtà a lei vicina, con colori e simboli simili, non potrebbe investire sul cosiddetto “altro sport”?
Roma, intesa come città, resta davvero un mistero per quel che riguarda l’attività sportiva. Domina incontrastato il pallone mentre gli altri, tutti comprimari, continuano a restare sotto il pelo dell’acqua. E se alzano la mano per chiedere aiuto si finge di non vedere quella mano del “salvami!” di turno. Dico Claudio Toti, così, butto sul tavolo il nome a caso d’un presidente la cui richiesta di collaborazione è rimasta inascoltata. Ma, vi prego, adesso non vengano fuori i filantropi della pallacanestro a rispondere che “Toti poteva agire in maniera diversa” o menate simili. Il fatto è quello, un “help me!” inascoltato.
Colpa dei media, certo, perché non esiste un editore puro che voglia rischiare sull’altro sport e cominciare a diffondere una cultura diversa. Per dire… non esiste, in Italia, un quotidiano tipo “L’Equipe”, che se gioca la nazionale francese di pallamano e la redazione decide che quella è la notizia del giorno, con quella si apre il giornale. Qui da noi è meglio perdersi col gossip e col calciomercato, la frittata ormai è fatta. Qui da noi, nella Roma-città dove la notizia del giorno diventa l’istantanea di Francesco Totti che campeggerà sui biglietti dell’autobus, anche la sbandata con botto sul Porsche di un diciottenne che gioca con la Lazio viene sempre preferita al bronzo mondiale di Giorgio Calcaterra nell’ennesima ultramaratona che lo vede protagonista assoluto.
Colpa anche e soprattutto di una politica ingarbugliata e collusa col malaffare, sbrigativa quando le conviene e maleodorante e burocratica quando c’è da mettere il bastone fra le ruote a chi potrebbe recar benevoli fastidi. Qua ci si interroga su come sia possibile aver dato in gestione, negli anni, strutture per l’attività ludica a chi non offriva certo garanzie di passione sportiva, e qui volutamente tralasciamo quelle economiche. Qua si vorrebbe capire per quale motivo certe amministrazioni sono state offerte su un vassoio d’oro a gente conosciuta per il suo saper “trafficare” e per la capacità, unica e di livello mondiale, nel voler fare tutta tara. Che, a leggerla fra le righe, significa “non pagare chi, in buona fede, collabora per far crescere lo sport”.
Idea e impressione è che questa città abbia sempre voglia di fare il passo più lungo della gamba. Perché è “città eterna”, perché è “caput mundi”, per gli imperatori e i sette re, “perché ha il Colosseo” e poi perché “a Roma c’è il potere”.

Ma la realtà è un’altra, mentre si ragiona – in questo caso sponda Roma – per realizzare uno stadio che rappresenti una “pubblica opportunità” per la città. S’intende “pubblica opportunità” economica, nevvero? Perché qua, a dirla tutta, quando si parla di impiantistica sportiva legata al nuovo stadio si parla di negozi, uffici e palazzi, ma mai di impianti sportivi polivalenti. Né di parcheggi, che in una città come Roma servono come il pane. Qualcuno ha mai osservato con distacco la questione-stadio Olimpico quando c’è una partita di calcio, quando scendono in campo Roma e Lazio? E’ caotica quando si gioca la domenica, e nei turni infrasettimanali, quelli di coppa, la città si blocca. Tutto fermo nel marasma di clacson e automobilisti sull’orlo d’una crisi di nervi. E i tifosi che lasciano la macchina in doppia fila sul Lungotevere, osservano con disprezzo il parcheggio disabitato della Farnesina. Dicono che potrebbero parcheggiare lì le loro auto, ed è lì che comincia a serpeggiare l’odio indiscriminato verso il Palazzo, che poi sia del calcio o della politica poco importa.
Roma e Lazio caterpillar, vanno per la maggiore, cinquantamila spettatori a partita, il successo è assicurato, nonostante le pay-tv. Ma poi c’è il vuoto, che a Roma neanche è mai riuscita a convivere una terza squadra di calcio. E’ tutto un dire, mentre chiude la pista di pattinaggio dell’Axel e dici: sì, le motivazioni per chiuderla oggi ci sono tutte e presumibilmente sono pure giuste, ma allora perché si è fatta aprire ieri, quella megapista, con tanto di Carolina Kostner come testimonial? Roma non ha un campo di pallamano (disciplina olimpica, do you remember CIO?), mentre restano inutilizzati, e offesi alla memoria, gli impianti sportivi di via Lentini, il Sant’Alberto Magno di Vigne nuove e il Zefiro Country club di via Salaria. E chissà quanti altri. Eppure, con centosessanta impianti sportivi in dote, Roma avrebbe potuto dare il fritto a tutti. Dài, ragioniamoci fino a sabato, che poi c’è il campionato e ci andiamo a gustare la Roma e la Lazio.

La domanda finale che ci poniamo è semplice: la AS Roma in pompa magna vuole realizzare un impianto da oltre 300 milioni di euro e rilanciare un intero quadrante (quello di Sud-est), con investimenti infrastrutturali per ulteriori 700 milioni di euro; la SS Lazio ha una piattaforma sportiva già pronta (la Polisportiva Lazio). Perché nessuno di questi due club vuole investire per supportare concretamente lo sport capitolino ormai al de profundis.? Ci piacerebbe che qualcuno ci rispondesse in questo “deserto” che è la Città Eterna, ormai da tempo.

* giornalista sportivo con una trentennale esperienza su testate romane e nazionali, scrittore e sport addicted (soprattutto per i cosiddetti sport minori)

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