Editoriale – Caro Presidente Malago’ ha ragione…ma in tutti questi anni i dirigenti dello sport dove hanno lavorato?
Il nostro calcio non gli piace a lo ripete spesso. Giovanni Malagò, massimo responsabile dello sport italiano, ha un cruccio ed è quello del decadimento sempre più accentuato rispetto al resto dell’Europa, della serie A.“La Juve è stata mostruosa e la Roma fantastica, ma quello che sta finendo non è stato un bel campionato”. Così Giovanni Malagò, presidente del Coni, ai microfoni di Radio Anch’io Sport su Radio Uno. “Da troppi mesi tutto è bloccato su queste posizioni, in un campionato livellato verso il basso, come dimostra anche l’andamento nelle coppe europee”, aggiunge il numero 1 dello sport italiano. Con la situazione in vetta ormai delineata, l’attenzione si concentra sulla lotta salvezza: “Quest’anno per salvarsi non occorrerà fare 40 punti, ne basteranno molti meno – osserva Malagò -, ci sono state tante partite non belle, condite da uno spettacolo negli stadi disarmante”.
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Non tutto male però. “Certo vanno fatti i complimenti alla Juve e un in bocca al lupo per la conquista dell’Europa League, la Roma è stata ottima, ma con quei numeri avrebbe dovuto vincere il campionato. Bisogna fare qualcosa”, ribadisce Malagò. Da amante del calcio, però, il presidente del Coni deve anche evidenziarne i difetti. “Il calcio versa all’erario più di un miliardo all’anno e dal Coni riceve poche decine di milioni, non bisogna dimenticarlo. Bisogna chiedersi perchè – insiste – pochi anni fa la serie A era il primo campionato al mondo e ora siamo scivolati indietro. Non abbiano i soldi degli sceicchi che hanno comprato grandi club all’estero, per questo dobbiamo trovare delle alternative, con una politica intelligente”. “Ne faccio quasi una malattia, se penso che quando avevamo il vento in poppa, invece di spendere e spandere in ingaggi favolosi a giocatori non eccelsi, i presidenti avrebbero potuto investire qualche milione per fare un mutuo e rifare gli stadi. E’ stata una scelta scellerata”.
(di Marcel Vulpis) – Caro Presidente Malagò, ho letto con interesse ed attenzione, come sempre quando Lei parla, le dichiarazioni fatte ai media sul mondo del calcio del 21 aprile scorso. Come fanno spesso i tedeschi, non ho risposto subito, ho preferito riflettere, dopo aver metabolizzato tutti i contenuti espressi. Come sa sono una “voce fuori dal coro” da sempre, come lo era il nostro comune amico Pietro Mennea, di cui mi onoro di essere stato amico (anzi mi dispiace di averlo conosciuto solo pochi anni fa).
Mi permetto di risponderle tecnicamente e non solo.
Tema competitività: il campionato è stato vinto sicuramente dalla squadra più forte (anche se manca ancora un punto per la certezza assoluta), la Juventus, ma la cosa più grave è il distacco, per esempio, tra la prima e l’ultima (il Catania): ben 70 punti di differenza. E’ un dato che dà il senso della totale assenza di competitività.
Cosa manca? Credo che non ci voglia un genio per capirlo: manca la competitività. Ma con l’applicazione della legge Melandri siamo andati a finire peggio, non meglio. Si parla tanto di autonomia dello sport. Io sinceramente non la vedo. Se ogni volta che bisogna prendere una decisione ci si appoggia alla politica come vuole che finisca. Le devo ricordare la trasformazione delle società di calcio in SPA, il decreto spalma-debiti, o appunto la nefanda legge Melandri, ideata da un politico che oggi, guarda caso, si occupa di arte e cultura, ambiti diametralmente opposti a quelli del calcio.
Ma fare il ministro dello sport è “cool” e quindi genera consensi. Dissi in tempi non sospetti, che quella legge (a chi la stava scrivendo, poche ore prima che venisse approvata) avrebbe creato ulteriori disastri e così è stato. Non si può lasciare il governo dello sport e del calcio alla politica. Oggi il campionato italiano è quello meno competitivo, tra le serie calcistiche “top” in Europa. E i piccoli club, nonostante il decreto Melandri, non sono assolutamente più competitivi di prima. Sono delle “comparse” di gioco. Sa cosa ci vorrebbe? Una rivoluzione epocale.
Settanta per cento dei ricavi da diritti audiovisivi divisi tra tutti i club equamente e il restante 30 per cento in base ad una serie di parametri da definire. C’è poi l’ assurdità, nel decreto Melandri, dell’assegnazione di una parte di questi ricavi in base alla media di tre ricerche di istituti demoscopici certificati, che parlano di mirabolanti numeri di appassionati di calcio (soprattutto dei top club), peccato poi che questi stessi tifosi così attaccati alla loro squadra non compiano le azioni che tutti ci aspetteremmo: seguire la squadra allo stadio (gli impianti sono sempre più vuoti) o sulle piattaforme pay-tv (gli abbonamenti stanno diminuendo sotto i colpi della recessione economica).
Non le sembra quantomeno singolare? Ricavi da stadio spesso irrilevanti, profitti da merchandising asfittici, biglietterie deserte, ma sulla “carta” i top club, che devono ricevere quota parte dei ricavi tv, tramite il “metodo” Melandri, sono più amati, a leggere la sintesi di queste ricerche, anche di Renzi e Berlusconi.
Tutto tipicamente italiano, mi verrebbe da pensare o, meglio ancora, da dire.
Per recuperare competitività bisogna mettere in grado i piccoli/medi club di non essere più gli sparring partner dei top team. Ormai Juventus-Catania è “1” fisso, non sarebbe neppure da quotare come scommessa. Che senso ha tutto questo?
Sì, la Juventus ha vinto, ma cosa ha vinto? Niente presidente. Mi creda, niente. Si batta Lei che ha relazioni importanti per rendere più competitivo il calcio e vedrà che ne benificerà l’intero settore e la gente tornerà allo stadio e a credere in questo prodotto, ormai totalmente televisivo. E la prego chiami tutti, tranne la Melandri. Quel decreto è stato la “pietra tombale” del sistema calcio tricolore. Da tempo mi batto dalle pagine online di questa agenzia per la nascita degli “Stati Generali” del calcio, un momento di incontro e di dibattivo (anche forte) per arrivare a capire chi siamo, ma soprattutto dove vogliamo andare. In Francia l’hanno fatto nel settore dell’informazione e sono arrivati a sostenere il web, ovvero il futuro. Qui in Italia, vedo 300 incontri al giorno, per non dire nulla, quello che a me piace chiamare il “nulla cosmico”. Solo tanta autoreferenzialitò, che genera consociativismo, rendite di posizioni e quei disastri che anche Lei correttamente ha sottolineato nell’intervento del 21 aprile scorso. Basta autoreferenzialità, mi creda, è il cancro di questo paese. Meglio un confronto/scontro anche severo, ma che porti poi a dei cambiamenti, piuttosto che questi inutili report, che anno dopo anno, registrano il declino di un paese, senza mai dare degli spunti di riflessioni per una benchè minima idea di sviluppo.
Ultima annotazione: anche la dirigenza sportiva italiana, calcio o non calcio, è sempre la stessa da 40 anni. Sono sempre gli stessi che si muovono dal punto A al B per poi tornare ad A. Lei dice che sono stati sprecati milioni di euro, che potevano essere investiti meglio. Vero, perfettamente d’accordo. Una serie di scelte spesso scellerate hanno portato a questo status quo del sistema Italia, incluso il mercato del calcio. Ma gli investimenti chi li fa? I dirigenti. In un paese normale andrebbero quasi tutti a casa. Ma l’Italia non è un paese normale e lo conferma la fotografia politica dell’Italia a meno di un mese dalle Europee. Scenderemo sotto il 50% dei votanti. La gente è sfiduciata dalla politica, come da ciò che vede nel calcio. In politica nessuno lascia la poltrona anche quando perde clamorosamente (vada piuttosto a vedere le dimissioni politiche che ci sono state in Germania in seno ai partiti avversari della Angela Merkel, trionfatrice assoluta) e lo stesso avviene nel calcio. Lei parla bene, Presidente, ma non vorrei che prima o poi come numero uno dello sport italiano si accorgesse di essere il “guardiano di uno stagno”. Un giorno mi darà ragione. Spero che avvenga quanto prima. Vuol dire che può esistere ancora una piccola fiammella di speranza.
E ricordi la competitività nasce da una strategia, ma senza gli uomini giusti, possiamo fare tutti i business plan che vuole, ma saranno, come li chiamano, i guru del marketing, solo “libri dei sogni”. Purtroppo in questo paese di sogni ne vedo pochi, di incubi, invece, parecchi.
Di seguito le dichiarazioni del presidente Malagò ai media sul tema dello stato di salute del calcio e dello sport in generale.
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