Rugby

Rugby – Una pioggia di denaro (25 milioni di euro) sulla palla ovale scozzese. Preferito lo sport di base al professionismo.

Ben 20 milioni di sterline per quattro anni, circa 25 milioni di euro, si legge nel servizio di Duccio Fumero su Rugby1823.blogosfere.it. Una boccata d’ossigeno ricchissima per il rugby scozzese, che ieri ha annunciato l’accordo con BT Sport per la name sponsorship del Murrayfield Stadium di Edimburgo. Soldi che qualcuno ha subito ipotizzato potessero venir spesi per creare una terza franchigia in Pro 12. Ma la SRU smentisce, come si legge nelle parole del chief executive Mark Dodson.
“La nostra opinione è che questi soldi debbano venir principalmente spesi per finanziare il rugby di base. Il rugby di club ha bisogno di soldi, è stato un periodo difficile per i club in generale e useremo questi soldi per rilanciare il rugby di club in Scozia, così come le accademie. Verranno usati anche per far crescere il rugby femminile e, in parte, per i nostri due club professionistici”.
Insomma, la Scozia punta a crescere partendo dalle fondamenta, dal rugby di base, dai club. Niente voli pindarici celtici, niente terza franchigia quando i soldi servono per altro. Una terza franchigia potrà nascere, come sottolinea sempre Dodson, quando ci saranno privati pronti a investirci, ma fino a quel momento l’interesse principale è quello di consolidare le fondamenta del movimento per “mettere basi solide”.

Nuova lezione di progettualità sportiva da parte del rugby. Questa volta è il turno della Federugby scozzese legatasi per un quadriennio al colosso BT. Circa 25 milioni di euro che verranno investiti per rafforzare, se già non ve ne fosse bisogno, lo sport di base. La maggior parte delle risorse infatti verranno reinvestite con lungimiranza sui giovani, piuttosto che sui professionisti, che, inevitabilmente devono poter attingere ad altri circuiti finanziari. Una idea questa dello sviluppo dello sport di base, che più volte il presidente del CONI, Giovanni Malagò, ha ribadito anche in tv (come in una recente intervista a Virus su RAI2). Parole, quelle di Malagò, che ancora non sono entrate nella testa di molti presidenti federali, ancora oggi (nell’era post Petrucci) assorti nella gestione dei propri “orticelli”, senza una politica di medio-lungo periodo. 

Sarebbe molto bello se il numero uno del CONI, chiedesse quest’autunno, ai suoi oltre 40 presidenti federali, la presentazione di piani e progetti di medio-lungo periodo, per capire dove sono oggi queste federazioni (lente, macchinose e troppo legate a mamma-Coni), ma, soprattutto, dove vogliono arrivare e per raggiungere quali obiettivi. Tre elementi che crediamo non abbiano mai fatto parte del bagaglio cultural-manageriale della stragrande maggioranza dei presidenti della galassia CONI. Sono ormai tanti gli esempi di progettualità che arrivano dall’estero, basterebbe copiare. Ma non c’è voglia di fare neppure quello. D’altronde finchè c’è un governo che, a torto o a ragione, destina dei fondi al CONI e quest’ultimo in una sorta di multi-level li ridestina alle federazioni, perchè impegnarsi? E’ come voler obbligare ad usare l’aratro a chi ha sempre ricevuto in dono i frutti della terra. Sic stantibus rebus, c’è da chiedersi qual è il futuro dello sport italiano ed un giorno lo chiederemo direttamente al numero uno del CONI (Giovanni Malagò) in una lunga intervista. Perchè sinceramente, al di là dei suoi lodevoli sforzi, non vediamo grande voglia di cambiamento nel palazzo delle federazioni italiane. 
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Marcel Vulpis

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