Tempi Supplementari: Temporale mediatico su Tavecchio

Mario Macalli, invece, conferma che non cambia cavallo in corsa, anche se azzoppato, e domani il grosso delle sue società, nell’assemblea di Firenze, non abbandonerà Tavecchio. Andiamo in ordine di entrata in scena. Dopo lo “stranguglione” di aver appreso dall’editoriale di Marcel Vulpis che tale Fabio Appetiti (i latini dicevano “nomen omen”) era sceso in campo con la maglia del Pd.
Stamattina, alle sette, sfogliando on line  La Repubblica ho letto con grande stupore che il terzo argomento presentato da Eugenio Scalfari, dopo le tragedie internazionali, di Gaza e dell’Ucraina, e le contrapposizioni tra “femminismi”, era il caso Tavecchio. Inimmaginabile.
Almeno per me. Vi spiego perché.
Il 14 gennaio 1976 nasce il quotidiano La Repubblica e il direttore Eugenio Scalfari esordisce col tema “E’ vuoto il palazzo del potere”. Una riflessione che apre il confronto sul “Compromesso storico”. Il patto Berlinguer-Moro, abbattuto dalle BR, dai servizi segreti deviati e dalla Dc targata Usa. Sarebbe stata un’altra Italia.
Una settimana dopo la comparsa nelle edicole della Repubblica, mi presentai a via Palestro a Roma, nella sede del neonato quotidiano di Scalfari. Ero già un ex di diverse esperienze, cercavo lavoro e un’anima buona mi aveva spianato la strada col braccio operativo di Scalfari, il compianto Gianni Rocca.
Incontrai Rocca nello stanzone redazionale, allora molto spartano. Gli spiegai chi ero, che cosa avevo fatto e ciò che avrei voluto fare. Non dimenticando, i miei bisogni finanziari. Rocca ascoltò, attento e garbato e poi affondò le mie speranze: <<Mi spiace. Non ci servono cronisti. La Repubblica è un giornale politico-economico. Posso darti qualche indirizzo dove bussare?>>. Ringraziai e qualche tempo dopo, bussa che ti ribussa, mi collocai in un altro grande gruppo editoriale.
Voi penserete, chissenefrega! E no, la Repubblica della sua discesa in campo, il caso Tavecchio l’avrebbe schifato. Mentre oggi addirittura Scalfari scrive: <<Se la maggioranza dei club non si schiererà avremo Tavecchio alla guida del calcio italiano, cioè Lotito. L’affarismo si fa sostanza e il calcio diverrà solo un gioco per scalmanati>>.
E’ così, anche se non mi piace. “Banane e scalfarismi” e la a “questione morale”? Quella questione che doveva fare dell’Italia un paese dove il pallone fosse un gioco e i palazzinari restassero dei costruttori di case rispettosi dei piani regolatori, che fine ha fatto? Qualcuno ci credeva, ma è rimasto deluso perché “Berlinguer era una brava persona” e gli altri no.
Ma passiamo all’altro tribuno del giorno, Mario Macalli in partenza per Firenze, orfana di Renzi, ha dichiarato: <<Nell’assemblea della Lega Pro di domani non cambierà niente. Non c’è all’ordine del giorno alcun pronunciamento su presidente Tavecchio. Dobbiamo eleggere i nostri quattro consiglieri federali e ripartire i contributi (30 milioni, ndr)”.
Traduzione le sessanta società della Lega Pro, a maggioranza, l’11 agosto voteranno per Tavecchio. E, quindi, checché ne pensi Scalfari (che ha pure paragoanto Renzi a Craxi) Giovanni Malagò fa bene a non forzare la mano. Guai se  facesse intendere di voler “commissariare” a tutti i costi.
Chiudo con una strampalata speranza. Che l’assemblea elettorale dell’Hilton di Fiumicino elegga Carlo Tavecchio presidente della Figc, con la percentuale di voti che decida. Riconoscendo ii titolo “onoris causa” al leader del calcio dilettantistico, gaffe o non gaffe. Ma poi, viste le tante, troppe cambiali, lo stesso Tavecchio si dimetta. Tanto sarebbe sotto tiro a tutte le ore. Così accadendo, visto che Demetrio Albertini (il rivale diretto di Tavecchio) non è un alternativa, il Coni possa nominare uno o due “commissari ad acta”, gli avvocati Giulio Napolitano e Francesco Soro, per “rivoltare come un calzino” (vero Malagò?) quello statuto Figc che nasconde “veti incrociati” ad pagarsi a caro prezzo, da chiunque volesse farsi presidente della Federcalcio. 

(di Gianni Bondini) Che ci fanno due personaggi tanto diversi, come Eugenio Scalfari e Mario Macalli (numero uno della Lega Pro),  a trattare in rapida successione il caso Tavecchio?  Il principe degli editorialisti di Repubblica coglie la “banana” al balzo per tirare frecciate indirette a Matteo Renzi, che non avrebbe avuto la forza d’imporre a Giovanni Malagò (presidente CONI) il commissariamento della Figc.

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Marcel Vulpis

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