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Stadio AS Roma: Lo vedi? Ecco Marino che vola a New York

(di Massimiliano Morelli) – Che avremmo detto se il sindaco Ignazio Marino avesse fatto una capatina dall’altra parte del mondo per lo stadio della Lazio, invece che per quello della Roma? E come avremmo reagito se un qualsiasi sindaco in rappresentanza della sua città, avesse emulato la trasvolata oceanica del chirurgo che amministra l’unica caput mundi? La notizia del “go to USA” del primo cittadino che si sbriga ad andare a casa dell’imprenditore di turno lascia perplessi e un pò interdetti, perché da che mondo è mondo è il privato che si sposta per andare a dialogare con l’istituzione e non il contrario. Ma Ignazio Marino è diverso, è stato perfino capace d’indossare, come da “regola veltroniana”, nello stesso momento la sciarpa laziale e quella romanista, roba che un sindaco non si schiera, o se lo fa si propone in maniera decisa e senza cercare di ricalcare le orme di Alcibiade, quello che ai tempi di Sparta e Atene stava un po’ di qua e un pò di là, salvo essere scoperto e di conseguenza assassinato

Roma è stata città aperta e sessanta, settant’anni dopo, si ripresenta come un borgo colabrodo; è metropoli di nome ma non di fatto; ha i tombini sigillati dall’ultima presenza d’un presidente yankee da queste parti e le conseguenze sono quel Tevere bis d’acqua schiumata che si riversa nelle strade quando comincia a piovere. Ha l’asfalto da rattoppare e incongruenze da vendere, è far west dalle parti della stazione Termini; ha vie dissestate, sacchi della mondezza sparpagliati qua e là, cani randagi allo sbando e troppe macchine che sbandano su strade costruite duemila anni fa per le bighe, finti intellettuali che occupano posti di potere, fanatismo imperante e coattagine finto-imperiale, le lucciole (bianche e di colore nero) sulla Salaria, i trans al mattatoio, pischelli alleprati dall”idea d’emulare quelli della “banda della Magliana” e padri di famiglia che talvolta vanno anche con le ragazzine; semafori che non funzionano, microcriminalità in ascesa e anziani dimenticati, disabili che convivono con le barriere architettoniche e piste ciclabili utili per l’assalto alla diligenza. 

E un sindaco che se ne va negli Stati Uniti in stile don Buro (in perfetta scampagnata tra amici – almeno per noi), con buona pace di quei radical chic (spesso di centro-sinistra) pronti a giurare che peggio di Gianni Alemanno (precedente numero uno della Capitale) non si poteva fare. 

(di Marcel Vulpis) – In una città, quella Eterna, che ci fa sempre dividere, concettualmente tra amore e odio (perché vorremmo sempre che tornasse bella come era un tempo e non ci si riesce, per colpa di una classe politica che non sa fare politica, a destra come a sinistra), sembra che l’unica opera di “pubblica utilità” sia lo stadio dello AS Roma di James Pallotta


Massimiliano Morelli, giornalista sportivo romano dalla penna fine, ha deciso di porsi la domanda che i laziali da tempo si pongono e non hanno coraggio di chiedere: E se al posto di Pallotta ci fosse stato Claudio Lotito, presidente biancoceleste, ci sarebbero stati tutti questi “aedi”? E soprattutto: Marino sarebbe corso, magari a Salerno (dove ormai lo vedono più che a Roma)  o, anche in questo caso-simulazione, dall’altra parte del mondo, per parlare dello stadio della SS Lazio? Nutriamo qualche dubbio

Ma il dubbio principale è: ma ci spiegate qual è la reale pubblica utilità di questa maxi opera da 1 miliardo di euro? Perché è vero che bisogna realizzare svincoli, strade, sottopassi, fogne, ma lo si farà perché lo stadio non è un meteorite che atterra su un terreno (quello di proprietà del costruttore romano Luca Parnasi), ma un’opera che deve essere inserita urbanisticamente parlando all’interno di un territorio. Per far entrare e uscire i tifosi della Roma servono queste opere, ci mancherebbe, ma agli abitanti di Tor di Valle e di quel quadrante di Roma sud-est cosa gliene entra nel concreto, se non un aumento assicurato (questo sì) di traffico e di congestione della viabilità. I ben informati ci diranno: sì, ma arriva una fermata della metro B. Sì, prima allora fate la metro e poi procediamo con lo stadio. Perché sapete come finirà? Che si farà magari anche lo stadio, perché un miliardo di euro, è una cifra monstre, se dovesse atterrare sulla Capitale nella sua interezza, ma la metro rimarrà l’ennesima opera incompiuta di questa città martoriata da “fenomeni” e aedi in salsa calcistica. 

Vi ricordate Tor Vergata e il complesso futurista del nuoto (doveva essere pronto per il Mondiale di Roma di nuoto del 2009)? Guardate a destra mentre prendete la Roma-Aquila, viene il magone a vedere la genialità di un architetto come Calatrava ridotta a scheletro architettonico, anche quello frutto di una illuminata, come questa, giunta di centro-sinistra. Purtroppo conosciamo la classe politica capitolina e vogliamo essere molto chiari: non ci fidiamo di nessuno di loro (né di sinistra né di destra). Roma è la metropoli europea con la metropolitana urbana più piccola come rete. Ci sarà un perché. Chi vive a Roma nord, per esempio, è costretto per forza a prendere l’auto, perché il trenino che arriva da Viterbo è a rischio Ebola, per il sudiciume che vi si respira all’interno (provare per credere). E adesso ci dovremmo fidare di Marino e Co?. Solo perché c’è uno stadio di mezzo? No, non ci fidiamo e saremo vigili sull’intero progetto, soprattutto quello extra-calcistico. A supporto, soprattutto, di tutte quelle associazioni “verdi” che hanno a cuore realmente il futuro di questa città, che non può passare solo per il cemento armato. Ne abbiamo visto fin troppo dagli anni ’50 ad oggi. Siamo stanchi: vorremmo vedere Marino piuttosto piantare un albero, non dare il via ad una nuova colata di cemento. E poi, per reciprocità, se dà il via libera ai giallorossi deve darla anche al progetto dei laziali. Cosa sono: figli di un Dio minore?

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Marcel Vulpis

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