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Vulpis (Spoteconomy): ad eccezione della Roma sono pochi i casi di progetti seri per nuovi stadi in Italia

Le ragioni sono da addebitare a tanti fattori. Ad aiutarci a fare luce sul problema il direttore di Sporteconomy.it, Marcel Vulpis: «L’altro giorni ricordavo un’affermazione pesante del presidente della Lega Calcio Maurizio Beretta a proposito dei nostri stadi (“Ma se i bagni degli stadi italiani sono paragonabili a quelli del Congo belga di che cosa vogliamo stupirci?»). Ebbene, questa è purtroppo una tristissima verità con la quale dobbiamo confrontarci».

Il direttore di Sporteconomy.it Marcel Vulpis

Il direttore di Sporteconomy.it Marcel Vulpis

NEL ’90 ABBIAMO COSTRUITO STADI GIÀ VECCHI – Uno degli esempi più evidenti è quello del San Paolo di Napoli, visto dal di fuori un decadente monumento al calcio che fu, mentre all’interno spicca la lontananza dal campo degli spalti (compresa la tribuna stampa) e una sensazione di precarietà e disagio che si respira in ogni angolo dell’impianto. «Sono strutture vecchie – conferma Vulpis – ma la cosa ancora più grave è che quando abbiamo avuto l’opportunità di gestire un mondiale (nel 1990) abbiamo costruito stadi che erano già vecchi il giorno dell’inaugurazione. Pensiamo ad esempio alla presenza delle piste di atletica, come se gli stadi italiani avessero dovuto nei giorni feriali ospitare continuamente meeting di atletica leggera. A Roma, allo stadio Olimpico, a parte il Golden Gala non esiste alcun altro evento di livello, eppure ogni domenica i tifosi di Lazio e Roma devono subire questa angheria della lontananza dal terreno di gioco».

I CLUB SONO OSTAGGI DELLE MUNICIPALITÀ – «L’altra questione riguarda la proprietà degli impianti: il 99% degli stadi italiani appartiene alle municipalità. I club di calcio, quale che sia la serie, possono solo prendere in consegna l’impianto poche ore prima dell’evento e pagare mese per mese il canone di gestione al sindaco del territorio. Oggi i club, mi si passi la provocazione, sono “ostaggi” delle municipalità. Ed è comprensibile. Pensate un po’, quale sindaco farebbe carte false per far costruire un nuovo impianto quando di fatto perderebbe il suo principale cliente, oltre a dover rilanciare la fruizione dell’impianto di proprietà?».

LE CURVE DEI NOSTRO STADI SONO ZONE FRANCHE – Non possiamo naturalmente trascurare il fenomeno violenza. I drammatici episodi della finale di Coppa Italia con il ferimento e poi la morte di Ciro Esposito hanno riportato a galla un problema ancora irrisolto. Con l’aggravante che quest’anno ogni domenica potrebbe essere a rischio visti gli incroci pericolosi tra tifosi del Napoli e quelli della Roma. «Purtroppo il calcio italiano rimane ostaggio di alcune frange violente, praticamente autorizzate a fare qualsiasi cosa perché le curve sono vere e proprie aree extra-territoriali. Zone franche dove può succedere di tutto».

E per concludere i prezzi dei biglietti, sempre troppo alti: «Io pongo una domanda: se è vero che questi stadi non sono confortevoli, non sono sicuri, inospitali, perché allora sono così cari? Il tifoso medio accetta tutto, vittoria o sconfitta, massima serie o retrocessione, prezzo basso o alto. Perché il calcio è una fede e non si discute». 
   

MAI STATA UNA VERA PROGETTUALITÀ – Da un’analisi così disarmante non sembrano esserci soluzioni: «Il punto è che la dirigenza sportiva italiana, dagli anni ’90 ad oggi, non ha generato valore nel nostro calcio. Non c’è mai stata una vera progettualità e le conseguenze sono, da una parte, stadi vecchi, fatiscenti, inadatti alle esigenze del calcio moderno e oltremodo cari; dall’altra, contratti spesso pesantissimi con stranieri di basso profilo, un merchandising che non decolla, un ticketing asfittico e violenze continue. Ci vuole, in definitiva, una profonda rilettura culturale e sociale del fenomeno calcio, anche se mi chiedo sempre di più se sia ancora una cultura, o piuttosto una “sub-cultura»».

LA ROMA È AVANTI, MA NON BASTERANNO 2 ANNI – Per restare alla strettissima attualità, dopo la Juventus sono tante le società che sembrano muoversi per costruire uno stadio di proprietà. Oltre alla Roma, c’è la Lazio di Lotito che ha un progetto nel cassetto da tanto tempo, le due milanesi e perfino la Sampdoria del nuovo e vulcanico presidente Ferrero. Come stanno realmente le cose e quali sono i club che si stanno facendo concretamente qualcosa per ottenere il proprio impianto? «Non sarei così ottimista come invece vorrebbero farci credere. La Roma è quella che è più avanti nelle operazioni, diciamo che siamo alle pre-condizioni, ma servono altre firme importanti come quella della Regione Lazio. E comunque la trafila sarà molto più lunga dei due anni che dicono ci vorranno per inaugurare lo stadio giallorosso. Per quanto riguarda le altre, proprio qualche giorno fa il governatore della Lombardia Maroni ha ammesso che solo il Milan ha fatto passi importanti, quanto meno per la ricerca dell’area, al contrario dell’Inter. La mia idea è che al momento per tutte le altre società siamo solo alle enunciazioni di principio».

La questione stadi in Italia assume una valenza sempre più importante. È inutile tentare impietosi confronti con il calcio tedesco se poi i nostri impianti sono oscenamente vecchi, poco accoglienti e soprattutto desolantemente vuoti (dati recentemente raccolti dimostrano che la Germania raggiunge una media dell’80% di riempimento degli stadi; in Italia, invece, siamo appena al 40%). (fonte: SportIndustry.it)

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Marcel Vulpis

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