Sporteconomy a BloombergTv per parlare di stadi (1)
Question n.1: Why Italy has just a few of club-owned stadium? Main obstacles?
Il 99 per cento dell’impiantistica sportiva italiana, oltre che essere vecchia ed obsoleta, è di proprietà dei comuni. I club sono i primi clienti dei sindaci ed è normale che questi ultimi puntino a mantenere lo status quo, perché appunto perderebbero clienti e il canone mensile che i club pagano alle municipalità per giocare all’interno di questi stadi.
Il fatto che siano pochi (Juventus è stato il primo, il secondo è il Mapei stadium del Sassuolo calcio la cui proprietà coincide con la figura imprenditoriale di Giorgio Squinzi, numero uno della Confidustria, il terzo è in via di riammodernamento ed è quello del Friuli ad Udine – sarà pronto nel 2015) è legato alla mancanza di liquidità dei club italiani (un problema quasi generalizzato) e della profonda burocratizzazione del sistema italiano. Costruire uno stadio è un percorso di guerra: un caso per tutti. L’AS Roma dovrà chiedere l’ok a ben 18 diversi enti locali, tra cui comune e regione. E’ chiaro che in questo modo non essendo chiaro l’orizzonte temporale del “fine lavori” e quindi della successiva commercializzazione dell’impianto diventa difficile trovare investitori in Italia e soprattutto all’estero, dove il break even di una operazione è la base naturale da cui si parte per valutare in un senso o nell’altro un progetto di real estate sportivo.
Ieri mattina sul canale 529 del satellite (Bloomberg tv), Massimo Lucchese, co-founder di Sporteconomy è stato chiamato a commentare lo stato dell’arte del calcio italiano a partire dalla situazione dell’impiantistica sportiva. Ecco le domande cui ha risposto.
No Comment