Contromano: Palazzi declassato e la notizia dimenticata delle 17 parlamentari francesi molestate
(di Gianni Bondini) – Questa, con la benedizione della direzione di Sport Economy, è un nuova rubrica. “Contromano”, appunto, perché? Per riportare (anche) ciò che nessuno o pochi vogliono raccontare. Perché troppa informazione non vuol dire una migliore informazione. Come spiegava un maestro dell’andare contromano, come Ennio Flaiano. Quel geniale sceneggiatore, giornalista e scrittore di successo che per Federico Fellini, partecipò alla stesura dei dialoghi di grandi film sociali, come “I vitelloni”. Alziamo il sipario.
Nei giorni scorsi 17 donne parlamentari francesi hanno denunciato le molestie subite da loro colleghi, onorevoli, sottosegretari e ministri.
Da noi una notizia del genere non è ancora circolata.
Mentre due giorni fa è arrivata l’anticipazione, non smentita, del trasferimento (a fine stagione) del procuratore del calcio Stefano Palazzi al più limitato incarico di procuratore solo del calcio dei Dilettanti. Dopo quasi nove anni di carriera senza incidenti di percorso.
Proprio per andare contromano, ricordiamo che Palazzi un anno fa aveva deferito, infischiandosene di accusare uno dei grandi elettori del calcio, l’allora presidente della Lega Dilettanti, Felice Bellolli.
Con un’accusa “sessista” (che fa rima con razzista), in un ambiente, quello del calcio, squisitamente maschilista (anche se non a tutti i livelli).
Bellolli, come trascritto nel verbale di una riunione sul bilancio,
aveva detto: “Basta soldi a quelle quattro lesbiche”. Per giustificare il taglio al contributo al calcio femminile. E il procuratore non ci aveva pensato due volte a deferirlo con la richiesta di sei mesi di squalifica, ridotti a quattro, ma pur sempre una pietra tombale per la carriera di Bellolli. Scomparso dal palazzo romano di via Po e sostituito da un dirigente di lungo corso come Antonio Cosentino. Ma qualche potente del calcio, probabilmente non aveva gradito. Almeno così verrebbe da pensare, e a pensar male si fa peccato ma spesso ci si prende (amava dire un certo Giulio Andreotti).
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