Favola Cagliari, la coppa alzata al cielo e il saluto di Daniele Conti
(di Massimiliano Morelli)* – Una lacrima righerà il viso di Daniele Conti, stasera, quando chiuderà baracca e burattini. Ma a piangere è certo che non sarà soltanto lui, che da “figlio di Bruno” (eroe nostrano del mondiale di Spagna 1982) è diventato bandiera del Cagliari. Si commuoverà certamente anche il padre, che in campo ne ha viste di tutti i colori e si commuoveranno pure i suoi ex compagni di maglia, sbarcati nell’isola felice per omaggiare il calciatore che ha indossato più volte di ogni altro la casacca rossoblù che fu di Riva e Brugnera, Nenè e Albertosi, Domenghini e Gori.
E di certo piangerà anche il popolo del Cagliari, che come ha spiegato Daniele Dessena, l’uomo che adesso indossa la fascia da capitano, “questa squadra rappresenta un popolo”. Serata indimenticabile alle viste, il Sant’Elia, quarantasei anni di storia, ospita gente che ha onorato e difeso quei colori tanto cari perfino a Graziano Mesina, uno che si fece arrestare pur di andare a vedere le partite della sua squadra del cuore.
Lui, latitante indomabile e introvabile, s’assiepava sulle gradinate dell’Amsicora per ammirare le sinfonie dell’orchestra diretta da Manlio Scopigno. A omaggiare “Danielino” ci saranno quelli che l’hanno accompagnato nel viaggio durato oltre tre lustri e la squadra allenata da Massimo Rastelli neo promossa in serie A. Dunque da Suazo a Lopez, da Abeijon a Cossu, passando per Agostini, Esposito, Villa, Acquafresca, Nainggolan, Bianco, Herrera e in panca Massimiliano Allegri, uno che dopo aver vinto due campionati e due coppe Italia di fila magari avrebbe potuto snobbare l’appuntamento. Macché, ci sarà anche lui, che nacque come “mister” proprio a Cagliari, esattamente come accadde quasi trent’anni fa a Claudio Ranieri, oggi campione in Inghilterra. Ecco, a leggerla così questa storia viene da pensare che a Cagliari anche i pensieri possano diventare d’oro, se solo ci si ferma a pensare che nei trionfi di Juventus e Leicester c’è lo zampino d’un cagliaritano d’adozione, così come nella rimonta della Roma fino alla zona Champions c’è tanta legna portata da Nainggolan, uno talmente legato alla squadra che lo ha trasformato calciatore vero al punto da indossare i parastinchi coi quattro mori made in Sardegna. Il Cagliari di ieri affronta la squadra che ha appena vinto a braccia alzate il campionato di serie B, e qui scenderanno altre lacrime sul viso, roba da far impallidire perfino Bobby Solo. Perché per la prima volta, dopo novantasei anni di storia, uno scudetto conquistato nel 1970, un campionato e una coppa di serie C vinti col mago Ranieri in panchina e una semifinale di coppa Uefa persa con inganno, il Cagliari ha vinto la serie B, stavolta col record di vittorie complessive e col primato dei successi casalinghi.
Così, ore 20, oltre al re che abdica e saluta, il popolo cagliaritano potrà alzare al cielo per la prima volta “Le ali della vittoria”, ovvero quel trofeo che finisce sempre nella bacheca di chi trionfa fra i cadetti. Profumo di mare, che fa da sfondo al Sant’Elia e lacrime di gioia misto commozione. Per Gigi Riva, Enzo Francescoli e Gianfranco Zola, attesi sugli spalti per un momento indimenticabile, da raccontare un giorno ai nipoti, perché una festa così, a Cagliari, era una vita che non si organizzava. Lacrime nel rivedere uno come Dario Silva, che oggi ha una gamba di meno, trinciata in un maledetto incidente stradale. Ma ci sarà anche lui, segno evidente d’una saudade sarda simile a quella tanto ostentata dai romanticoni di stampo brasiliano. E non mancherà il grande vecchio, Carlo Mazzone, che alle pendici della Sella del Diavolo ha segnato un’altra epoca. Si apre il sipario e per una notte Cagliari sarà ombelico del mondo. Mica male per chi, quando era studente ai tempi delle partite che iniziavano la domenica tutte alle 15, marinava la scuola al lunedi se la sua squadra aveva perso.
* giornalista e scrittore sportivo
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