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Il caso Neymar manda in soffitta il FPF e crea una netta spaccatura tra piccoli e grandi club europei

(di Marcel Vulpis) – Con la firma di Neymar Jr. al PSG, un’operazione finanziaria del valore globale di 630 milioni di euro (incluse le tasse), si apre una nuova fase nella storia del calciomercato, con effetti a catena sul Fair play finanziario europeo. Nessuno tra gli addetti ai lavori, a partire dall’Uefa, ha il coraggio di ammetterlo (per il momento si parla genericamente di monitoraggio dell’operazione), ma è in gioco la stabilità del sistema nel suo complesso. Il pagamento della clausola rescissoria di 222 milioni di euro, collegata ad un accordo pubblicitario con il centravanti brasiliano, per 300 milioni di euro (senza considerare l’ingaggio da 60 milioni di euro lordi, spalmati su cinque anni), è la più grande manovra di aggiramento del fair play finanzario mai studiata, fino ad oggi, nel calcio moderno. Il FPF, ideato nel 2009 dall’ex presidente dell’Uefa, Michel Platini, è morto, anche se sulla carta, monitoraggio e possibili provvedimenti punitivi sono operativi.

Motore dell’operazione Neymar-PSG è la Qatar Sports Investments, società collegata ad un importante fondo sovrano nazionale (Qatar Investment Authority), che ha curato, già diversi anni fa (estate 2011), l’acquisizione del club parigino.

Neymar verrà utilizzato, fino al 2022, come ambasciatore del Mondiale di calcio (il primo in terra araba). Ufficialmente è un contratto di diritti di immagine per fini pubblicitari, nella realtà è stato costruito a tavolino dal Governo di Doha, per recuperare, in termini di reputazione internazionale, dopo il blocco imposto da una coalizione di Paesi guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Il calcio come strumento per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica, utilizzando le magie in campo del calciatore più talentuoso del momento. Investendo sul PSG, la famiglia reale qatariota intende trovare nella Francia, ma soprattutto nel suo Governo, un sostegno concreto per risolvere la crisi del Golfo. I risultati potenziali di questa operazione di geopolitica calcistica saranno visibili non prima di sei mesi; l’unico aspetto garantito è la capacità, da parte di Neymar, di creare un’immagine positiva sui marchi/progetti cui si è legato in tutti questi anni. Tecnicamente si chiama “smart sponsorship” ed il football è una vera e propria piattaforma diplomatica, per riportare sul Qatar un’immagine finalmente positiva, dopo le accuse (presunte) molto gravi mosse dalla coalizione araba (sul terreno dell’appoggio qatariota al terrorismo internazionale).

“Doping finanziario” per il bilancio del PSG

Il Paris Saint Germain, dall’ingresso della nuova proprietà qatariota, si è sempre caratterizzato per operazioni contabili, soprattutto sotto il profilo commerciale, ai limiti delle regole previste dal fair play finanziario. La Qatar Tourism Authority (QTA), struttura diretta del Governo qatariota, per esempio, investe sul club d’Oltralpe circa 210 milioni di euro annui, ma, nel concreto, si tratta di una TPO (Third-Party Ownership), o cosiddetta “parte correlata”. I soldi, direttamente o indirettamente, sono collegati alla proprietà stessa del club. Un modo diverso, rispetto al passato, di fare mecenatismo e riequilibrare i conti del club, in caso di sbilanciamento. L’Uefa è intervenuta sul caso in oggetto, ma non ha bocciato l’accordo come avrebbe dovuto fare per dare un segnale forte al sistema.

Tornando all’attualità, se il PSG avesse utilizzato metodi tradizionali, l’operazione Neymar non sarebbe mai nata. Sulla carta, infatti, il club ha un valore della produzione (fatturato) pari a 542 milioni di euro (considerando i dati del 2015/16) e costi per ingaggi già molto elevati (292 milioni). L’eventuale pagamento della clausola rescissoria (222 milioni), attraverso la società parigina, avrebbe portato questa “voce” a superare i 510 milioni di euro. Una follia aziendale, con conseguenze pesantissime sul progetto Uefa del FPF, oltre che sulla sostenibilità economica del club, se non fosse appunto una realtà calcistica controllata da un fondo sovrano nazionale. Secondo il presidente della Lega calcio iberica, Javier Tebas, è un caso vero e proprio di “doping finanziario” e non gli si può dare torto. La regola-guida del fair play (non presentare perdite superiori ai 30 milioni di euro nell’ultimo triennio) è stata completamente bypassata. E’ un pericoloso precedente che rischia di creare, nel futuro, una spaccatura netta tra top e piccoli/medi club, che non possono usufruire di queste formule finanziarie applicate al calcio, per rafforzare le squadre e far quadrare i conti. (Inchieste/Il Corriere dello Sport)

 

 

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Marcel Vulpis

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