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Pagliara: Sogno un Catania “glocal” e club-laboratorio per lo sviluppo di nuove idee/progetti

(di Lorenzo Vulpis)– Dopo essere stato parte “attiva” di una cordata di imprenditori a supporto del Calcio Catania (prima “salvato” e poi iscritto nella prossima stagione al campionato di Serie C), Fabio Pagliara (dirigente sportivo catanese, con incarichi in seno a FIDAL), ha raccontato a Sporteconomy l’esperienza in SIGI (NewCo che ha acquisito la proprietà del club etneo) e i passi futuri. sia in seno al club rossazzurro (come direttore sviluppo e presidente onorario). e, più in generale, nello sport tricolore.

Il segretario generale della FIDAL, Fabio Pagliara. Ideatore del progetto “Runcard” in Italia

D: Pagliara, la scommessa di salvare il Calcio Catania è stata vinta. I prossimi step?
R: E’ una scommessa che ha vinto la Città, che ha vinto la SIGI quando ha deciso di “non mollare”, che hanno vinto i tifosi quando chiedevano, a dispetto di ogni evidenza contabile, che salvare la matricola sarebbe stata una operazione di identità sulla quale costruire il futuro, oltre che un modo per salvare tanti posti di lavoro. Sono un uomo di sport e tale resterò. L’unica visibilità che mi serve è quella che tenga desta l’attenzione sullo sport di chi debba operare le scelte, perché sia chiaro a tutti che non si tratta solo di un gioco, ma di un fenomeno socialmente rilevante. A questo intendo dedicarmi con tutte le mie forze, come ho sempre fatto, avendo come interlocutori altri sportivi, dirigenti, amministratori locali. Lo sport si difende soltanto con un lavoro sinergico e la capacità di ritagliarsi ruoli di alta professionalità, ciascuno nel proprio ambito. Mi piacerebbe, nel progetto Catania, trasferire la mia idea dello sport e essere protagonista di un nuovo modello di sviluppo del calcio italiano. Fare di Catania un laboratorio e, se possibile, un esempio da seguire, in un momento nel quale si parla solo di crisi dello sport e del calcio e si fatica a capire verso dove si stia andando.
D: Perché ha deciso di investire in questo progetto e metterci soprattutto la “faccia”?
R: Credo che nella vita si debba sempre avere la capacità di dare, oltre che di ricevere. Io da Catania ho ricevuto tanto: amore, affetti, formazione, esperienze sul campo e dietro una scrivania. E’ un bagaglio che mi porto dietro e che rappresenta la base sulla quale ho costruito la mia vita e la mia carriera. Per questo a un certo punto ho ritenuto, in un momento di grande difficoltà per il calcio catanese, che fosse arrivato il momento di restituire alla Città quello che mi aveva dato. Un gesto d’’amore, ma anche la considerazione razionale che senza l’impegno in prima persona di ciascuno non si possono raggiungere grandi obiettivi. Vale in ogni ambito, ma nello sport e nel calcio ancora di più, perché ogni disciplina è basata su regole, condivisione, squadra, gruppo. L’ho scritto in tanti miei post: questa battaglia si vince insieme, ribaltando l’idea “vecchio stampo” di un padre-padrone che mette in soldi e decide per tutti.
D: Come si muoverà nel concreto al di là delle cariche. Su cosa punterà?
R: Ecco, questa è la domanda che mi appassiona. Immagino una Società moderna, che punti su una idea innovativa di marketing e di comunicazione, che abbia il territorio come base identitaria e il mondo come potenziale “cliente”. Un Catania “glocal”, come ho sempre detto, che sappia rendere attraente la propria storia di Società “mai fallita”, la matricola 11700, le imprese in bianco e nero come gli anni della serie A più recente, legando questo patrimonio alla valorizzazione del brand anche al di fuori dei confini cittadini e nazionali. Le società di calcio oggi si “alimentano” grazie a sinergie di ogni tipo, anche diventando volano di sviluppo territoriale in collaborazione con investitori privati e decisori politici pubblici. I nostri colori devono varcare le colonne d’ercole del “piccolo è bello” per volare alto, raggiungere i tanti catanesi all’estero desiderosi di costruire una grande storia, dotarsi di una rete di “ambasciatori del marchio” che innalzino la reputazione del Calcio Catania, perché questo significa anche aprire la possibilità di trovare nuovi finanziatori. In questo rientra la logica dell’azionariato diffuso, che può diventare popolare, a puntello degli sforzi importanti di investitori senior, ma soprattutto a garanzia di una nuova idea di concepire il calcio, più legata al progetto e al raggiungimento di obiettivi “di squadra”. C’è poi il tema dei diritti televisivi, del merchandising, della presenza sul digitale, ma ci stiamo già lavorando, in punta di piedi, perché Catania sia “visibile” per il mondo del calcio nazionale e la fiducia sul progetto di business diventi curiosità per una idea innovativa, al passo con i tempi. Non ho dimenticato Torre del Grifo, anzi. Sul centro sportivo va fatto un ragionamento a parte, perché fino a ora è stato sottoutilizzato e può rappresentare il punto di forza del progetto. Occorre trasformarlo in un brand autonomo e ottimizzarne le attività parallele a quelle della prima squadra e del settore giovanile. E’ una struttura unica e bisogna cominciare a pensarla in grande. Perché non può partire proprio da Catania un nuovo modello virtuoso e innovativo di una società di calcio ?
D: Volley, hockey, atletica e ora anche calcio…
R: La pallavolo resta il primo amore, ma devo tanto a ogni disciplina sportiva alla quale ho prestato la mia opera da dirigente: hockey e atletica, sono state le ultime mie esperienze alle quali devo tanto. L’atletica con tutti i suoi progetti e le sue innovazioni mi sta dando una opportunità straordinaria di crescita professionale.
Il mio cuore, però, batte per lo sport in generale. Sono convinto che rafforzare lo sport in Italia non debba essere più un esercizio per addetti ai lavori, ma una missione per chiunque possa e debba prendere decisioni “strutturali”. Lo sport è decisivo nella formazione fisica e psichica degli esseri umani, è medicina preventiva e cura, è ammortizzatore sociale, incide nel design delle Città urbanizzate migliorando, o peggiorando quando non ci sono strutture e spazi dedicati, la qualità della vita. Il mio cuore batte per tutto quello che lo sport rappresenta e potrà rappresentare per noi e per le generazioni future.
D: I tifosi del Calcio Catania li sentite vicini?
R: Sui tifosi spenderei qualche parola in più. Ho ricevuto da loro in questi mesi una carica fortissima, mi hanno scritto, hanno interagito e continuano a farlo adesso che il Catania è iscritto al campionato. Quello che è stupefacente è come da parte del tifoso rossazzurro ci sia una capacità di guardare al futuro che a volte sfugge alla classe dirigente. Vogliono parlare di calcio e non vedono l’ora di indossare una sciarpa al collo, ma fra i tanti messaggi che ricevo moltissimi sono consigli e suggerimenti su come fare meglio in ogni ambito che interessi i tifosi, la loro percezione del Catania: dal logo ai social, dagli abbonamenti alla trasmissione in streaming delle partite. Non rivendicazioni, ma idee, concrete, a volte anche di grande interesse. Catania ha un patrimonio inestimabile di amore per la squadra di calcio, altrimenti non sarebbe stato così importante per l’opinione pubblica che una banda di pazzi salvasse la matricola, accontentandosi di ricominciare da zero come accaduto in altre Città. Il Catania 1946 in questa Città è un messaggio trasmesso “di padre in figlio”, intergenerazionale.
Sempre sui tifosi vorrei fare un parallelismo non so quanto calzante. A me il nostro tifo e il rapporto dei fan con la società mi ricorda quello del calcio inglese. Siamo la piazza che più si avvicina, potenzialmente, a una concezione del tifo e del calcio (al netto di qualsiasi degenerazione sempre da condannare) “all’Inglese”. E lo trovo un fatto positivo, perché non sono tante le Città italiane che possano vantare un così alto potenziale di passione, colore e calore come accade a Catania.
Ci sono tutti gli elementi per raccontare una grande storia e credo che lo dobbiamo a questa tifoseria, trasformando la casa del Catania in una casa di vetro, espressione forse abusata ma che rende l’idea di un cambio radicale nell’approccio con la città. Comunicheremo tutto quello che faremo e cercheremo di comunicarlo in maniera nuova, utilizzando gli strumenti a nostra disposizione e inventandocene altri.
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Lorenzo Vulpis

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