Elezioni USA 2020, chi è Kamala Harris: la 1a donna eletta vicepresidente degli Stati Uniti
(di Marco D’Avenia) – Ora che gli stati della Pennsylvania e del Nevada si sono colorati definitivamente di blu, la coppia Joe Biden-Kamala Harris è pronta ad occupare la Casa Bianca. Naturalmente è il presidente eletto ad attirare più attenzioni, eppure Kamala Harris all’ombra dei riflettori non ci sa proprio stare. D’altronde perché mai dovrebbe volerlo: prima donna a diventare vicepresidente, nonché prima persona afroamericana e asiatica a ricoprire questo importante ruolo istituzionale.
Nata a Oakland (California) nel 20 ottobre 1964 da Donald Harris, professore di economia e giamaicano, e dall’oncologa indiana Shymala Gopalan, Kamala Harris è avviata fin da subito agli studi universitari dopo il liceo. Si iscrive alla “Howard University” (facoltà di legge), dove si affilia alla “AKA” (“Alpha Kappa Alpha”), sorellanza con più di 300.000 iscritte, tutte donne di colore e quasi tutte con titolo di studio universitario. La sua carriera politica è folgorante: nel 1990 diventa procuratrice distrettuale della sua contea in California, Almeda County; nel 1994 diventa portavoce della Camera bassa della California; nel 2003 viene eletta come primo procuratore distrettuale di colore della California; nel 2011 viene invece votata come procuratrice generale dello stato (prima persona afroamericana, la prima asioamericana, e prima donna); nel 2017 infine viene eletta senatrice della California, con l’appoggio di Barak Obama e del suo allora vicepresidente Joe Biden.
A proposito di Joe Biden, in pochi forse sanno che all’inizio era proprio Kamala Harris la favorita a correre per la Casa Bianca. I continui endorsement di Obama, la sua capacità di muovere consensi e il suo essere donna sia afroamericana , sia asioamericana le spalancano nel 2018 la possibilità di una sua candidatura, sostenuta anche dai sondaggi. L’annuncio ufficiale arriva il 21 gennaio 2019. Nelle prime primarie democratiche la Harris ha criticato aspramente proprio Joe Biden, accusandolo di essere poco deciso sulla condanna alle violenze di razza. Dopo questo confronto, la vittoria delle primarie sembra essere solo questione di tempo. Tuttavia l’inesperienza del suo staff nell’elaborare per tempo una strategia convincente a livello nazionale e nel raccogliere fondi, le chiudono all’improvviso le porte della Casa Bianca.
Ormai scivolata in basso nei sondaggi, a Kamala Harris non resta che augurare a Joe Biden di sconfiggere Donald Trump: nel marzo 2020 arriva l’endorsement ufficiale. Poi la morte di George Floyd cambia le carte in tavola e i democratici capiscono l’importanza di dare un segnale alla comunità afroamericana. Kamala è la donna giusta al momento giusto: afroamericana, integerrima, brillante, carismatica. Biden la sceglie ufficialmente come running mate (“compagno di candidatura”) l’11 agosto 2020.
Ieri notte alle 2:00 (ora italiana) un’emozionatissima Kamala Harris ha dedicato la sua vittoria a tutte le bambine d’America, augurandosi che possano prenderla come esempio di come tutto negli Stati Uniti sia possibile. Per molti analisti, è stata proprio Kamala Harris a dare quel quid in più alla candidatura di Joe Biden, che, moderato e poco cool, ha lasciato non poco perplessi i democratici più accaniti. Ora che queste infinite elezioni si sono concluse, si svela però che “Sleepy Joe” (“l’assonnato Joe” come lo hanno etichettato i suoi detrattori) era la persona giusta al momento giusto. Tuttavia, senza l’apporto fondamentale di Kamala Harris e i suoi contenuti più “di sinistra”, la candidatura non avrebbe funzionato e ora staremmo a discutere del secondo mandato del presidente Donald Trump.
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