La tassazione transnazionale delle prestazioni degli sportivi svolte in più Stati. L’esempio dei ciclisti professionisti
(contributo di Natalia Operti)* – La tassazione degli sportivi assume tratti particolarmente articolati allorquando l’atleta esercita la sua attività in più Paesi. In via preliminare, si osserva che l’attività resa dallo sportivo può costituire l’oggetto di un contratto di lavoro subordinato ovvero di altre soluzioni negoziali (ad esempio, contratto di lavoro autonomo) a seconda delle caratteristiche che l’attività sportiva assume. La caratterizzazione contrattuale della prestazione sportiva risulta propedeutica all’individuazione della categoria reddituale a cui i compensi da essa ritratti sono riconducibili talché i compensi possono qualificarsi come reddito di lavoro dipendente, di lavoro autonomo, d’impresa o redditi agli stessi assimilati.
Anche il tema della residenza fiscale nei casi di mobilità transnazionale degli sportivi è centrale e preliminare all’analisi del corretto trattamento tributario dei redditi conseguiti dall’atleta. Nel presente contributo si assume che lo sportivo mantenga (o assuma) la residenza fiscale in uno Stato e che tale status permanga anche qualora l’attività sportiva venga svolta all’estero.
Lo status di residente ai fini fiscali in uno Stato comporta, in genere, che i redditi ovunque prodotti (ivi inclusi, quindi, quelli derivanti dalle attività prestate in altri Stati) siano assoggettati ad imposizione in detto Stato sulla base del principio della tassazione mondiale (cd. “worldwide taxation principle”). Il principio della tassazione dei redditi ovunque prodotti da un contribuente residente è stato adottato dall’Italia e pressoché dalla maggioranza degli Stati aderenti all’OCSE (tra i quali Germania, Francia, Paesi Bassi, Regno Unito, Svizzera, Stati Uniti).
Può accadere, però, che lo Stato estero assoggetti a tassazione i compensi ritratti dallo sportivo non residente per l’attività svolta in detto Stato con conseguente doppia imposizione ai fini reddituali del medesimo compenso. Tralasciando di entrare nel dettaglio dei rimedi offerti dagli Stati per evitare i fenomeni di duplicazione della pretesa impositiva della stessa fattispecie reddituale (in via generale rappresentati dal credito d’imposta o dall’esenzione), il presente contributo esamina i principi generali che governano la territorialità dei redditi derivanti dall’attività svolta dagli sportivi in Paesi diversi da quello di residenza.
In un contesto di tassazione transnazionale assumono rilievo le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni stipulate dallo Stato di residenza con lo Stato in cui la prestazione viene svolta. In particolare, l’art. 17 (“Entertainers and sportspersons“) del modello OCSE di convenzione bilaterale, a cui la maggior parte dei trattati contro le doppie imposizioni stipulati dall’Italia si conforma, detta una regola specifica di tassazione secondo la quale i redditi percepiti dagli sportivi sono imponibili (anche) nello Stato in cui la prestazione viene effettivamente svolta. La norma convenzionale non prevede una clausola di esclusività in favore dello Stato in cui le prestazioni sportive sono esercitate e, pertanto, i due Stati (quello di residenza del percettore e quello di effettivo svolgimento dell’attività) mantengono una potestà impositiva concorrente.
L’art. 17 rappresenta chiaramente una deroga alla disciplina convenzionale prevista per i redditi di lavoro dipendente, di lavoro autonomo e d’impresa a cui contrattualmente le prestazioni sportive possono essere ricondotte.
Quanto al requisito soggettivo, l’art. 17 reca un generico riferimento agli “sportivi” (sportspersons) includendo in tale accezione non solo gli sportivi delle discipline atletiche tradizionali, quali ad esempio podismo e nuoto, ma anche secondo l’esemplificazione (non esaustiva) dell’OCSE golfisti, calciatori, tennisti, piloti, giocatori di scacchi, bridge e biliardo. Quanto all’ambito oggettivo, l’articolo in commento disciplina i redditi ritratti dallo sportivo non solo dalla partecipazione ad una gara o ad un evento, (ad esempio, premi o gettoni di presenza) ma altresì da tutte le attività collaterali che sono strettamente connesse alla prestazione sportiva svolta nello Stato estero quali, ad esempio, l’allenamento, le interviste, l’utilizzo di foto sui manifesti pubblicitari della manifestazione, l’utilizzo di un logo sull’abbigliamento, il merchandising. Al contrario, i compensi percepiti per l’attività svolta dallo sportivo anche in uno Stato diverso da quello di residenza fiscale ma che non è caratterizzata da una stretta correlazione con la prestazione sportiva esercitata nello Stato estero restano fuori dall’ambito di applicazione dell’art. 17 per essere disciplinati secondo le regole ordinaria previste dalla normativa convenzionale (art. 7 e art. 15 in primis). È il caso, ad esempio, dei compensi percepiti dall’atleta anche se l’evento è stato cancellato, delle royalties che non derivano dalle vendite di merchandising sul luogo della manifestazione sportiva, dei compensi per lo sfruttamento generalizzato dei diritti di immagine.
Ne deriva, in applicazione del principio dettato dall’art. 17, che gli sportivi che svolgono l’attività in più Stati devono necessariamente individuare la quota di compenso attribuibile a ciascun Stato in cui l’attività è stata svolta. La parte del compenso strettamente collegata ad una determinata performance (quali, ad esempio, il premio pagato al vincitore di una gara sportiva oppure il compenso giornaliero corrisposto per la partecipazione ad uno stage di allenamento oppure ad un torneo) sarà allocata (anche) allo Stato estero in cui l’attività è stata esercitata. Il compenso che, invece, non può essere attribuito specificatamente ad un determinato evento, quale la remunerazione corrisposta a fronte di un contratto di lavoro dipendente, dovrà essere (anche) allocato allo Stato estero utilizzando un meccanismo di proporzionamento quale, ad esempio, il numero dei giorni lavorativi spesi dall’atleta in ciascun Stato. L’OCSE prende come esempio il caso di un ciclista assunto da un team con un contratto di lavoro dipendente, tenuto a seguire in trasferta la squadra, presenziare alle conferenze stampa e a partecipare a sessioni di allenamento e a gare che si tengono in diversi paesi. Il contratto prevede il pagamento di uno stipendio fisso a cui si aggiungono i bonus per i risultati ottenuti in gara. Nell’esempio, secondo l’OCSE, è ragionevole allocare lo stipendio ai diversi Stati sulla base dei giorni lavorativi di presenza dell’atleta nei diversi Stati ed allocare il bonus allo Stato in cui si sono svolte le gare a cui l’atleta ha partecipato.
Gli stessi principi di territorialità dei compensi sono stati espressi dall’Agenzia delle Entrate con riferimento ai compensi erogati da una società sportiva professionistica italiana a ciclisti professionisti non residenti. L’elemento che radica il reddito dei corridori in esame all’Italia secondo la norma convenzionali (il caso specifico atteneva la Convenzione Italia – Germania) è il luogo di svolgimento delle specifiche prestazioni personali dello sportivo e non il complesso dell’attività sportiva ovunque svolta dallo sportivo non residente. Secondo l’Agenzia delle Entrate per i redditi imputabili a giornate di gara svolte al di fuori del territorio italiano non sussiste il potere impositivo dello Stato, ai sensi del richiamato art. 17 della Convenzione, né sono applicabili le regole di diritto interno a fronte di specifiche disposizioni convenzionali. Secondo l’amministrazione finanziaria italiana in presenza di un contratto che regoli unitariamente il rapporto di lavoro tra una società residente e uno sportivo non residente, è possibile ripartire il compenso contrattuale in relazione al rapporto tra le giornate di gara (tappe ciclistiche) svolte in Italia e quelle svolte all’estero. Peraltro la giurisprudenza maggioritaria a livello internazionale sull’art. 17 concorda che la determinazione della quota parte del reddito da allocare allo Stato estero deve tener conto non solo delle performance sportiva in sé ma anche del periodo di preparazione e formazione, della partecipazione a conferenze stampa e alla promozione degli sponsor del club nello Stato estero interessato. Di segno opposto, una decisione della Corte Suprema svizzera che riguarda un ciclista professionista residente in Svizzera assunto con un contratto di lavoro dipendente da una società sportiva olandese. Il ciclista si era allenato e aveva partecipato a gare in diversi Paesi europei e percepiva un compenso di lavoro dipendente che non era specificatamente collegato al luogo e alla tipologia di prestazione svolta. Secondo i giudici elvetici, solamente gli eventuali premi vinti in occasione di una gara ricadevano nella regola dettata dall’art. 17 del modello convenzionale mentre la remunerazione da lavoro dipendente percepita dall’atleta avrebbe dovuto essere trattata in conformità all’art. 15 della convenzione non essendoci alcun collegamento specifico tra la remunerazione e la partecipazione ad una gara e agli allenamenti con la conseguenza che la quasi totalità della remunerazione avrebbe dovuto essere tassata in Svizzera allocando ai Paesi Bassi solamente la quota di compenso riferita alla partecipazione a gare ed allenamenti nei Paesi Bassi.
La tassazione dei compensi degli atleti presenta caratteri di evidente complessità stante la mobilità internazionale che contraddistingue l’attività di atleti agonisti. In un’ottica di pianificazione fiscale internazionale dello sportivo, occorrerà tenere presente la normativa dello Stato di residenza fiscale, il “worldwide taxation principle” o il diverso regime fiscale previsto per i residenti (inclusi i regimi di favore per gli impatriati), il regime fiscale dello Stato estero in cui l’attività viene prestata, le convenzioni bilaterali eventualmente stipulate dall’Italia con lo Stato estero di trasferta e gli strumenti deflattivi della doppia imposizione fiscale.
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