Ucraina: campionato fermo e perdita di valore economico per le “rose” dei club
Il campionato di calcio ucraino (la Prem’er-Liha) si è fermato alla 18ima giornata della stagione in corso, con lo Shakhtar Donetsk al primo posto provvisorio (con 47 punti e due di vantaggio sui rivali storici della Dinamo Kiev) e l’SC Dnipro (club tra i più colpiti per i bombardamenti russi sull’omonima località) al terzo con 40 punti.
Lo scorso 25 febbraio (alle ore 13:00 italiane), infatti, era in programma l’anticipo della 19ima giornata tra l’FK Minaj e lo Zorya Luhansk (un match non di cartello, con la 15ima opposta alla 4a squadra in classifica), ma l’invasione del territorio ucraino (con un’azione a tenaglia, in diverse aree del Paese, da parte dell’esercito russo, nelle 24 ore precedenti) ha portato alla sospensione della massima serie (l’ultima giornata era prevista per il prossimo 21 maggio).
Una situazione, anche sotto il profilo sportivo, che sta peggiorando continuamente (ormai siamo entrati nel 16imo giorno del conflitto russo-ucraino), perché molti dirigenti e calciatori hanno scelto di combattere per la difesa del proprio Paese e tanti tesserati stranieri (solo lo Shakhtar Donetsk ne conta 14) sono oggetto di interesse da parte di diverse società di calcio europee.
Nel complesso, secondo i dati del portale TransferMarkt, la Prem’er Liha può vantare un “valore totale rose” vicino ai 440 milioni di euro (la prima divisione conta 16 squadre), con ben 88 giocatori stranieri (il 21,5% del totale, pari a 409 unità). Un campionato che l’Uefa colloca al 12° posto con 31.800 punti (sulla base del coefficiente Uefa al 25 febbraio 2022). Una serie nazionale in costante crescita, soprattutto in questi ultimi anni, con la Serbia all’11imo (32.875 punti) e la Russia (oggi paese “invasore”) al 10imo (34.482).
Alle “radici” del conflitto russo-ucraino
Lo scorso 24 febbraio l’Europa si è svegliata in guerra, ma nella realtà il conflitto russo-ucraino è presente da otto anni, con truppe paramilitari di una nazione confinante (la Russia), coinvolte in bombardamenti e in un’occupazione, che non rispetta la sovranità dello stato guidato dal presidente Volodymyr Zelensky.
Proprio dall’attenzione del Cremlino sul Donbass, ricca regione mineraria nel sud-est del Paese, nasce il conflitto del 2014 e Donetsk e Luhansk, le due “repubbliche” filorusse in territorio ucraino, sono state la scintilla di una guerra, che ha già causato 15mila morti. La Repubblica di Donetsk, tra l’altro, ha uno sbocco strategico (soprattutto per la Russia) sul mare di Azov. Le due repubbliche “separatiste” infine coprono, complessivamente, un’area di quasi 17mila km (vi vivono più di 3,5 milioni di persone).
Tensioni storiche in diverse aree dell’Ucraina
La chiamano “guerra silenziosa”, quella che vede l’esercito ucraino impegnato ormai in un conflitto senza fine, con un altro territorio strategico, la regione semi-autonoma della Crimea (dove ha sempre vissuto una popolazione per maggioranza russa), fino ad allora sotto la sovranità dell’Ucraina, oggetto, per diverse settimane (nel lontano febbraio 2014), di disordini locali e dell’intervento di forze militari russe (camuffate da indipendentisti), in risposta all’esautoramento del presidente Viktor Janukovic (naturalizzato russo) e del governo dell’epoca, da parte dello stesso Parlamento ucraino. Il tutto in conseguenza dei fatti conosciuti come “crisi dell’Euromaidan” (il più grande raduno pro-europeista mai avvenuto nella storia dell’Ucraina). Un atto di forza, a sorpresa, studiato a tavolino dalla Russia di Vladimir Putin, come risposta alla politica considerata troppo filo-americana, da parte dell’esecutivo ucraino, portata avanti nel periodo 2006/2008, con l’Ucraina interessata ad entrare nell’area di influenza NATO. Tema quest’ultimo, ancora oggi oggetto di tensioni politiche tra l’Ucraina e la stessa Russia e al centro delle trattative (in corso) per il cessate il fuoco.
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