I diritti che invitano al “silenzio”
Quando nel 1990 i diritti tv del Mondiale di calcio erano ancora un affare per molti la possibilità di ascoltare “critiche” sulla Nazionale era non solo un dovere giornalistico, ma una caratteristica comune a molti broadcaster. Da quando, invece, gli stessi tv-rights sono diventati un affare per pochi e questi stessi spesso litigano, perfino, tra loro (come nel caso di Sky e Rai) tutto questo è completamente sparito.
C’è un effetto “dolce” che ha avvolto i 23 di Marcello Lippi. Va tutto bene e anche quando Donovan (il giocatore della Nazionale americana) salta prima Pirlo e poi Cannavaro è meglio tacere. Non bisogna lasciare nell’italiano medio il dubbio di aver visto una brutta partita. Meglio enfatizzare l’opportunità per l’Italia (che anche questa volta nonostante l’ingresso di Lippi non ha un gioco definito) di qualificarsi. Il fine giustifica i mezzi, ma qui di mezzi se ne vedono ben pochi. Tornando ai nostri broadcaster sono tutti allineati nel parlar bene della Nazionale italiana, o meglio del prodotto televisivo che hanno acquistato a “caro prezzo”. Se si enfatizzassero i “nei”, forse qualche milione di italiani potrebbe essere convinto a non accendere la tv. Meglio stare zitti e comunicare che, comunque, siamo ad un passo dalla qualificazione. A cosa non si sa, ma siamo vicini, dicono unilateralmente sui canali Sky e sulla Rai. Loro saranno contenti, ma noi non cadiamo nella “trappola” dei diritti comprati cari e da redistribuire a spender a prezzi altrettanti elevati.
Cosa serve allora per chiudere il cerchio e convincere 21 milioni di “bovini” che va tutto bene?. Senza questi spettatori da “sala da cinema” sarebbe difficile convincere le aziende a pagare spot costosissimi. A noi piace, piuttosto, l’Italia del 1982, quando si criticava (molto) e si vinceva (molto). O ce lo siamo dimenticati?
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