Ciclismo-doping: un binomio inscindibile?
Scrivere di ciclismo vuol dire, ormai, prepararsi mentalmente a elencare le sigle di sostanze dopanti che, a vario titolo, vengono utilizzate dal campione famoso come dal giovane dilettante che sogna di diventare il nuovo Armstrong. In mezzo uno squallore desolante, con i team manager che licenziano campioni titolati con semplici fax (vedi il caso Ullrich), ma, fino ad un minuto prima, erano gli stessi che ne vantavano le lodi (sportive e morali), l’Uci e le diverse Federazioni assistono come in un “dejavu” a veri e propri bollettini di guerra (prima e dopo l’evento).
Mi chiedo allora (e ne avevamo già parlato in un recentissimo editoriale) a chi giova tutto ciò? E perché gli sponsor continuano come mosche sul vetro a investire in uno sport che non ha più immagine? Gli scandali sono troppi, quasi all’ordine del giorno. O l’Uci mette un freno reale (tipo: radiazione completa per chiunque venga colto in fallo) o non se ne esce fuori. Anche perché, abitualmente, il doping è sempre più avanti alla ricerca di coloro che tentano di contrastarlo. Vale a dire chi sa quanti ce ne sono che non conosciamo perché riescono a superare gli sbarramenti previsti dai test sanitari. Ci chiediamo da addetti ai lavori: perché (e lo risottolineo) gli sponsor investono sulle due ruote pur sapendo che molti dei corridori sono a rischio di “squalifica” (ed i fatti recenti di Landis lo confermano)? Non vorrei che, prima o poi, come è successo nel calcio scoppi il bubbone….e anche in questo caso i “morti” sarebbero a decine. Da una parte e dall’altra.
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