Punto e a Capo

Ciclismo: chi è veramente pulito in questo sport?

IL FATTO: L’Unione Ciclistica Internazionale (Uci) ha chiesto a Bjarne Riis di restituire la maglia gialla simbolo della vittoria al Tour de France del 1996.”Mi sono dopato, ho assunto Epo”. E’ la confessione fatta dall’ex corridore danese della Telekom Bjarne Riis (al centro nella foto) vincitore del Tour de France nel 1996, nel corso di una conferenza stampa a Copenaghen.


IL COMMENTO: Di settimana in settimana, di mese in mese, siamo di fronte ad un vero e proprio “bollettino” di guerra. Corridori che salgono sui podi e che successivamente vengono presi con le mani nella marmellata. Visto che anche il loro sangue a furia di farsi di Epo si sta trasformando in “melassa”. Finalmente dopo anni di formale silenzio l’UCI interviene su un suo ex tesserato chiedendo di fare il gesto più normale del mondo: restituire ciò che ha vinto con l’inganno. Mi chiedo come mai sponsor e multinazionali continuino ad investire in una disciplina (il ciclismo), che a vari livelli è “marcio”. Ma queste aziende si rendono conto del ritorno negativo che stanno avendo o sono talmente ottuse da pensare che tutto scivola addosso ai consumatori appassionati di ciclismo. Una recente ricerca di Eurosport, che daremo a puntate nelle prossime giornate, dimostra proprio questo. Gli appassionati di sport non sono dei “cretini”, semmai il contrario. Qui bisogna fare una pulizia generale. Controllare tutti i corridori professionisti e alla prima pur minima anomalia “radiarli a vita”. Dare a Ivan Basso solo 21 mesi è una vera “vergogna”. Basso ci poteva pensare prima di doparsi. Basso, e ci dispiace per lui, deve essere “radiato”. Solo così si dà un segnale forte al sistema e si può recuperare credibilità. Un campione radiato può far capire al resto del “plotone” che è tempo di darsi una regolata. Ultima domanda: ma chi nel 1996 aveva scommesso come verrà risarcito dopo la confessione postuma di Riis? Non è uno schifo anche questo? Un ulteriore segnale forte deve arrivare dagli sponsor. Le aziende devono capire che sponsorizzare un sistema sportivo non più credibile non serve a nulla, anzi è controproducente. Che trasferiscano questi soldi su Ospedali e su iniziative benefiche. Almeno sapranno che i loro investimenti vengono utilizzati per fare del bene, non per mantenere una carovana di sportivi che confessano (in molti casi) le loro colpe anni dopo la fine della carriera (durante la quale incassano somme non indifferenti).

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Marcel Vulpis

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