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Sport&Affari – Il business della motonautica mondiale

 "In Cina abbiamo 50 mila spettatori che possono comprare una Pepsi. Qui ad Abu Dhabi ce ne sono meno, ma una ventina di loro può comprare "la" Pepsi. L’azienda, intendo". Benvenuti nella terra dei nababbi, dove la crisi dello sport che taglia, riduce, licenzia, è un richiamo lontano, molto lontano. Fastidioso, in un paddock in cui si mescolano meccanici italiani, piloti americani, principi sauditi, o promoter di nobile stirpe, come il marchese Nicolò di San Germano, che riceve i famosi venti ospiti che possono comprare una multinazionale e si vanta si aver battuto Ecclestone in tribunale per l’uso della parola F1. E’ il mondo della motonautica, così ricco da celebrare due mondiali contemporanei ad un’ora e mezzo d’auto l’uno dall’altro: la Formula 1 inshore ad Abu Dhabi e la Classe 1 offshore a Dubai. Due emirati, due mondiali, ed un intreccio di rivalità e paradossi degni di una soap opera anni Ottanta. Alla "Dallas", per intenderci, perché di petrolio, gas, immobiliare si parla, non solo di catamarani che solcano il mare a 250 all’ora.
Senza di loro, senza gli sceicchi, questo sport sarebbe già defunto. Certo, c’è la Cina che spinge, con sponsor come General Motors e cinque città che vogliono ospitare il Mondiale pagando almeno il triplo del contributo chiesto agli organizzatori europei (600 mila euro). C’è l’Australia dei multimilionari fratelli Trask, proprietari di un cantiere per barche di lusso e molto attivi nel campo immobiliare. Ma è nel Golfo che i motori sono una passione, i piloti di allenano ogni giorno, e le barche sono diventate un mezzo per promuovere un brand. Gli aerei della Emirates, la Classe 1 per Dubai. Ma anche la Formula 1 inshore per il Qatar, il paese che rifornisce di gas il mondo, e non si accontenta del marchio emergente Qatar Airways. Meglio vincere anche nello sport: ed infatti hanno vinto, per la prima volta, un titolo mondiale. Ad Abu Dhabi, in F1, con un super team che cambia i motori dei suoi due bolidi ad ogni Gran Premio. Roba da far venire i lacrimoni ai nostri team che montano e smontano mille volte i loro propulsori da 400 cavalli, 11 mila giri, accelerazione da 0 a 160 in 4 secondi.
Il budget di Qatar Team è stimato attorno ai sei milioni per una stagione di dieci Gp. Lo sceicco Hassan bin Jabor Al-Thani ha attrezzato un team multinazionale, della propulsione e delle eliche si occupa il varesino Stefano Luini, il motorista è australiano e vive negli Stati Uniti. Ma, si può azzardare, il Qatar ha vinto con la scuderia sbagliata. Perché la vittoria più attesa non è arrivata a Dubai, Classe 1. Altro mondiale ed altro ambiente. Se la F1 è "molto ruspante", come la definisce Giorgio Tandi, team leader di 800 Doctor, la Classe 1 richiama la magia dell’offshore, ed è lì che vorrebbe vincere, senza esserci ancora riuscito, lo sceicco. Pilota del Team Qatar, amante di questo sport che va a indossare la sua tuta da gara insieme agli altri piloti del team, su un immenso motorhome degno della F1 (quella "vera"). Poi ci sono quattro Tir, due Suv, sessanta uomini, eliche a volontà, cinquecentomila euro all’anno solo per questa voce del budget. Molti ricordano i tempi in cui l’offshore allineava 38 barche al via, adesso si è scesi a undici, ma basta farsi un giro sui moli di Mina Seyahi, il porto modaiolo di Dubai, per respirare un benessere diffuso. Sponsor come Emirates e Dubai Duty Free, tribune, stand, hospitality con cuochi italiani.
A complicare l’intreccio tra le varie anime del Golfo c’è la vittoria nell’offshore di Victory, il gioiello di Dubai, che ha preso una rivincita (sportiva) sul team di Abu Dhabi che ha perso nella F1, in un periodo in cui i due emirati vivono in maniera diversa la crisi: Dubai ha puntato sull’immobiliare ed ha frenato la sua incredibile crescita, Abu Dhabi detiene il 9 % delle risorse mondiali di petrolio e se la cava. Nel suo Mondiale, quello della F1, le barche sono ben 24, ma molti team fanno i salti mortali per sopravvivere. Laghetti, porti, acque ferme, la F1 si esprime qui, non in mare aperto come l’offshore, lo sviluppo è spesso portato avanti copiando le innovazioni di altri sport. Ma è qui che festeggia il Qatar: non con un pilota arabo, ma con uno americano che non "riesce ad andare piano" spiega il suo motorista. Jay Price non stacca mai dall’acceleratore, affronta le curve ad una pressione di 6 G con uno stile irruento. Gli hanno dovuto "cucire" addosso la barca, tagliandola più volte a misura del suo modo di guidare. Un bel caratterino: indossa un basco con i colori della bandiera a scacchi, sfoggia la bandiera sudista invece di quella a stella a strisce perché lui è di New Orleans. Aveva un fratello che s’è suicidato lo scorso anno, ma lui non ha perso la voglia di correre e vincere. Il suo team raccomanda di non bere alcol e Jay invita tutti a festeggiare con solenni bevute di birra. Gli emiri vogliono il meglio, senza badare a spese. Per avere il meglio possono anche chiudere un occhio: l’importante è la discrezione.

fonte: Repubblica.it

Il quotidiano "La Repubblica" ha analizzato il mercato della motonautica mondiale passando attraverso i suoi campionati più importanti: i mondiali inshore e offshore.

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Marcel Vulpis

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