Rugby – Problemi per le italiane da inserire nella Celtic League. Il progetto slitta.
empi duri per il rugby italiano. Dopo le severe sconfitte subite nelle prime due partite del Sei Nazioni a opera di Inghilterra e Irlanda, è giunta dalla Gran Bretagna la notizia che l’ingresso dell’Italia nella Celtic League, denominata per ragioni di sponsor Magners League, potrebbe essere rinviato di due anni, cioè non nella presente stagione 2009-2010 ma in quella successiva 2010-2011. La notizia, già apparsa su alcuni attenti quotidiani italiani, è stata ripresa da una intervista rilasciata dal Chairman della Magners, l’irlandese John Hussey, all’Irish Time. Si nota anche come la possibilità dell’inserimento di due squadre italiane nel torneo (e non quattro come per Galles e Irlanda) sia legata al reperimento di date sul calendario per consentire al torneo di passare dagli attuali 10 superclub a 12. Insomma, sembra essersi assai affievolito l’interesse anglosassone verso il rugby italiano.
Inizialmente, invece, erano stati i celti di Gran Bretagna a corteggiare l’Italia per un allargamento della loro League. Non lo avevano fatto per un improvviso trasporto per il rugby azzurro o per motivi missionari ma per ragioni strettamente economiche, sulla falsariga di quanto accaduto in occasione dell’ingresso dell’Italia nel Sei Nazioni (ovvero, allargare il bacino di utenza commerciale e televisivo). Scozia, Galles e Irlanda, i tre paesi della Celtic League, insieme contano 13,5 milioni di abitanti. L’Italia, da sola, sfiora i 60 milioni con un alto rating televiso per il rugby. L’Italia, però, "perse un treno" tre anni fa perché incapace di dare risposte in tempi brevi e perché priva di una struttura manageriale ad hoc. Ora, i tempi sono cambiati e la League si è rivelata per i piccoli paesi celti rugbysticamente una manna. La realizzazione ad hoc di superclub (dette franchigie) composti dai migliori talenti, stipendiati lautamente (con il cospicuo contributo delle rispettive federazioni) soltanto per partecipare alla lega, alle coppe europee e alle 10 partite annue delle rispettive Nazionali, ha fatto lievitare incredibilmente il valore tecnico e agonistico di questi paesi (in particolare Galles e Irlanda, perché la Scozia non è stata capace di darsi strutture adeguate non sganciandosi dai club tradizionali quali Edinburgo e Glasgow).
I risultati di questa impostazione sono sotto gli occhi di tutti. La Heineken Cup, la Coppa dei Campioni Europea, ha visto il successo nelle due ultime edizioni del Munster, club irlandese. Questo club fornisce alla squadra nazionale del Sei Nazioni sette avanti su otto più il mediano di mischia e quello di apertura. Praticamente gioca a occhi chiusi e si è visto negli ultimi dieci minuti del primo tempo domenica scorsa al Flaminio. Nel Sei Nazioni, l’ultima edizione 2008 se l’è aggiudicata il Galles con un grande slam (vincendo tutte e cinque le partite). Nell’edizione 2007 primo posto ex aequo fra Irlanda e Francia con quattro vittorie per ciascuno (titolo alla Francia per differenza mete). Nel 2006 identico risultato (Irlanda e Francia prime a pari punti e titolo ai francesi). Nel 2005 ancora titolo al Galles. Nel 2004 Irlanda seconda con 4 vittorie. Dunque, la partecipazione alla Celtic produce miracoli e la cosa sta preoccupando non poco in Inghilterra e Francia dove i massacranti campionati nazionali fanno davvero sfracelli e le cui conseguenze vengono pagate dalle rappresentative nazionali. In questi paesi, succede nel rugby quanto in Italia nel calcio: la Lega professionistica, per gli interessi economici e mediatici che muove, mette nell’angolo l’attività della Nazionale.
Dopo i due turni del Sei Nazioni 2009, sono in testa con due successi su due Irlanda e Galles. Inghilterra e Francia, pregiudicando il proprio cammino, hanno già perso una partita: la prima contro il Galles, la seconda contro l’Irlanda. Dunque, l’idea che concedendo anche all’Italia la possibilità di realizzare selezioni regionali per accedere alle Coppe europee si creino le premesse per un nuovo colosso rugbystico internazionale non alletta più il mondo anglosassone: “Business is Business”. Ecco quindi spiegati i ripensamenti. Partono da Dublino ma sono sicuramente supportati anche da Londra e Parigi. La scusa ufficiale è l’intasamento dei calendari ma noi abbiamo fatto un po’ di conti: con l’ingresso di due squadre italiane nella Celtic League il torneo passerebbe a disputarsi dalle 18 partite attuali (10 squadre, andata e ritorno) a 22 incontri. Le coppe Europee prevedono 6 turni più due turni fra semifinale e finale. Gli impegni delle Nazionali prevedono di massima 9-10 partite: 5 turni di Sei Nazioni, 3 test-match a novembre e 2/3 partite di tour estivo. I superclub della Celtic sono perciò impegnati per 39-40 fine settimana l’anno. Rimangono disponibili date per 12 settimane, cioè tre mesi. Siamo parlando di giocatori professionisti.
Concedendo anche due mesi per ferie e intervalli natalizi e pasquali, rimangono sempre quelle 4 settimane per i 4 turni in più della League e, considerando che la stagione inizia l’ultima settimana di agosto, si può prevedere di andare avanti tranquillamente fino a metà giugno (come già sta accadendo) onorando tranquillamente tutti gli impegni. Sarà il caso, quindi, che, anche se in colpevole ritardo, l’Italia non si faccia turlupinare: il treno Celtic League non si può perdere. Bisogna salirci subito altrimenti resteremo troppo staccati. Nel frattempo, attenzione a non fornire altri pretesti ai britannici per metterci da parte. Infatti, sono iniziate le grandi manovre per aggiudicarsi uno dei due posti sul treno. Il manovratore, il presidente Dondi, sta spingendo forte come al solito per la sua Parma. Anche Calvisano, forte della propria potenza economica lombarda, sta manovrando, così come la Treviso dei Benetton. Infine c’è la candidatura di Roma che unisce i due club di Superdieci, Rugby Roma e Capitolina, e la Lazio. Nella Capitale, l’idea sembra un po’ troppo condizionata dalle mire di Paolo Abbondanza, patron della Rugby Roma, che si muove sulla falsariga di Lotito nel calcio: sede della squadra le Tre Fontane, nell’ambito di una città del rugby con forte connotazione commerciale ma con soli 5 mila posti.
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