Ricerche – Focus sul tema dell’Ambush Marketing (2)
Forme di tutela
Visti gli interessi in gioco, cresciuti con l’aumentare del valore commerciale degli eventi sportivi, la lotta all’ambush marketing è diventata una priorità.
Tra le soluzioni prospettabili, può farsi innanzitutto riferimento al diritto della proprietà industriale, in particolare alla disciplina relativa ai marchi. È, infatti, prassi ormai consolidata la registrazione sistematica di tutti i marchi attinenti all’evento (nome, simbolo e altri segni distintivi). Per citare un caso recente, il marchio “London 2012” è stato registrato come marchio europeo in tutte le categorie di beni e di servizi ed, inoltre, sono stati tutelati altri possibili sfruttamenti meno lampanti dell’immagine olimpica, quale a titolo esemplificativo lo slogan “Be part of 2012”.
Ma affrontare i costi e la durata delle procedure di registrazione dei marchi, segni distintivi e persino slogan relativi alla manifestazione non è sufficiente. Infatti, ordinariamente, la condotta dell’ambusher non consiste nella riproduzione dei segni distintivi, bensì nell’ottenimento di indebiti benefici promozionali tramite varie forme di associazione all’evento, e di sfruttamento della scia di notorietà che ad esso appartiene.
In prospettiva comunitaria, si rileva l’assenza di un impianto normativo di repressione delle attività di commercializzazione parassitaria, né esiste la possibilità di estendere la tutela esistente per il logo olimpico ad altri diritti di proprietà intellettuale. Tale lacuna trova conferma anche nel Libro Bianco sullo Sport , il quale non propone tutela alcuna rispetto al fenomeno dell’ambush marketing. Vieppiù, la possibilità di esperire rimedi giudiziali sembra ricondursi agli strumenti offerti dagli interventi comunitari relativi alle pratiche commerciali (Direttiva 2005/29/CE) e alla pubblicità ingannevole e comparativa (Direttiva 2006/114/CE), a condizione che siano integrati i presupposti stabiliti dalle relative disposizioni .
Spostando l’analisi agli strumenti offerti dalla normativa sulla concorrenza sleale, l’effettiva applicabilità degli stessi presenta alcune difficoltà di ordine pratico. Tali rimedi sono esperibili solo nel caso in cui l’ambusher è concorrente diretto dello sponsor ufficiale e solo da parte di quest’ultimo, essendo presupposto per la configurabilità di un atto di concorrenza sleale la sussistenza di un rapporto di concorrenzialità tra soggetto attivo e soggetto passivo. Invero, l’ambush marketing si distingue da altre forme di concorrenza sleale per il fatto che, per lo più, non viene stabilito direttamente un rapporto con le prestazioni di un concorrente, ma ci si limita, come detto, a sfruttare la scia di notorietà dell’evento, spesso “solo” attraverso la promozione di manifestazioni, concorsi, campagne pubblicitarie in coincidenza di tempo o di spazio.
Anche un’azione contrattuale dello sponsor ufficiale nei confronti dell’entità sponsorizzata si appalesa sovente inidonea ad ostacolare le pratiche di pubblicità “parassitaria”, atteso che raramente si può imputare agli organizzatori una violazione di specifiche obbligazioni in relazione ai comportamenti scorretti di terzi.
Infine, non sempre è possibile dimostrare la responsabilità aquiliana dei “guerriglieri”, dovendosi affermare sia la condotta antigiuridica, sia il danno e il relativo nesso causale.
Vista l’insufficienza degli strumenti delineati, ci si è convinti della necessità di apposite previsioni di legge. In mancanza di norme specifiche risulta, infatti, estremamente difficile il ricorso alle più ampie fattispecie sanzionate dalla legge penale, stante il divieto di applicazione analogica e interpretazione estensiva .
(2/continua)
Seconda parte dell’intervento dell’avvocato Luca Ferrari sul tema dell’ambush marketing in ambito sportivo.
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