Media – L’intervista di Sporteconomy su Sslazionews.it
D: Il 6 maggio 1998 La S.S. Lazio entra per la prima volta nel borsino milanese, con il progetto sviluppare un business atto a diversificare le fonti di reddito e potenziare l’assetto patrimoniale della società. Come giudicò allora questa scelta e come la giudica oggi ?
R: Poteva essere sicuramente interessante. Poteva essere l’inizio di un’era in stile inglese. Il problema è che siamo in Italia e anche l’accesso in Borsa è stato gestito all’italiana: mera raccolta di denaro sul mercato. Non è questa la Borsa, almeno quello che io ho come idea dei mercati finanziari. Oggi sarebbe meglio se tutti e tre i club uscissero dalla Borsa. A posteriori è stato un errore strategico, non eravamo pronti mentalmente e culturalmente.
D: La Lazio è stata seguita da Juve e Roma, ma presto questa scelta non si è rivelata buona a causa della grossa volatilità del titolo, si sono presto messi in evidenza fattori di elevata rischiosità dovuti sopratutto alla variabilità degli introiti generati dai risultati sportivi. In Inghilterra la situazione è completamente diversa, il numero dei club quotati supera i 20,cosa manca all’Italia?
R: In Italia l’andamento della Borsa è ancora strettamente collegato al risultato sportivo. All’estero vengono valutati i progetti di investimento soprattutto a livello strutturale. Anche in Inghilterra c’è solo un club che vince il titolo nazionale, gli altri team dovrebbero essere a priori tutti giù come andamento borsistico. Lasciando stare il livello attuale dei mercati, collegato a una situazione congiunturale perdurante, più in generale i club inglesi per esempio danno maggiori informazioni al mercato e ai “buyer” (banche, società di investimento). Questo consente di fare una serie di valutazioni che oggi non sono possibili sul mercato tricolore.
D: La non diversificazione dei ricavi, l’alto peso del valore dei giocatori sul bilancio e l’influenza dei cosidetti rumors potrebbero essere tamponate con la presenza di infrastutture importanti quali stadi e o cittadelle dello sport che oltre ad aumentare il valore del titolo ne ridurrebbero il rischio essendo investimenti a lungo termine. Eppure in Italia si è restii a concedere le relative autorizzazioni. Perchè?
R: Si è restii a concedere le relative autorizzazioni, perchè siamo la nazione degli 8mila comuni e degli 8 mila sindaci. In un mercato dove tutti vogliono mettere bocca e non solo è chiaro che non si farà mai mattina. Dall’altro è pur vero che se le regole fossero più flessibili come in Europa ci ritroveremmo a dei piccoli stadi con degli eco-mostri in perfetto stile speculazione edilizia. Questo ad onor del vero.
D: Ma il calcio è davvero un bene di consumo pronto ad essere “industrializzato”?
R: Sì lo è siamo noi italiani che in questo momento non siamo capaci nell’inserirlo in un corretto processo di industrializzazione. La colpa è solo nostra e degli attuali management. Si parla di club professionistici, ma siamo veramente sicuri che lo siano in tutti i settori?
Io, personalmente, ho qualche dubbio.
fonte: www.sslazionews.it
L’intervista del direttore Marcel Vulpis (Sporteconomy.it) sul portale sportivo www.sslazionews.it.
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