A.A.A. cercasi la pubblica utilità del futuro stadio dell’AS Roma
Riproponiamo una intervista all’urbanista Paolo Berdini sul tema della “pubblica utilità” del futuro stadio della AS Roma, uscita lo scorso 25 settembre 2015 su questa agenzia stampa. Ieri come oggi la troviamo molto attuale e abbiamo deciso di riproporla, come elemento di discussione e riflessione nei prossimi giorni tra addetti ai lavori e non solo. La tesi di Berdini è che Marino non ha svolto nel modo migliore il suo ruolo di sindaco, che non era quello di accettare la prima proposta (Tor di Valle) presentata dagli americani della Roma, ma di valutare se quella proposta “privata” potesse essere messa a confronto con altre aree che hanno un maggiore “deficit” urbanistico. Con l’obiettivo di individuare la migliore soluzione “pubblica”, quella sì, per la città. Di seguito il testo dell’intervista.
Gli innumerevoli articoli in uscita in questi giorni sul tema della pubblica utilità del progetto collegato al futuro stadio dell’AS Roma (nell’area di Tor di Valle) porta ad una serie di riflessioni tecniche. Sporteconomy ha approfondito questa tematica con l’urbanista Paolo Berdini.
D: Professore, perché nel progetto dello stadio della AS Roma si parla di pubblica utilità?
R: La risposta è semplice. Nella delibera approvata dalla Giunta e dal consiglio comunale si parla di pubblica utilità, perché sono previste una serie di opere a supporto del progetto nell’area di Tor di Valle, scelta per la costruzione del nuovo stadio.
Come, per esempio, il potenziamento della Roma-Lido solo per citarne una delle più importanti. Essendo state inserite nel progetto giallorosso hanno trovato poi una convergenza politica appena lo stesso è finito in discussione in Campidoglio.
D: Qual è la sua posizione al riguardo?
R: Il concetto di pubblica utilità è stato tirato per i capelli. Non può essere solo questa la pubblica utilità, soprattutto se non si ha la certezza dei tempi (tre anni per costruire e consegnare lo stadio, nda).
D: La colpa è del presidente James Pallotta?
R: No, assolutamente. Pallotta è un imprenditore privato, ha presentato un suo progetto con una serie di proposte che ritiene valide per il futuro stadio dell’AS Roma. Non ce l’ho con lui, ci mancherebbe.
D: E allora con chi?
R: Se parliamo di amministrazione pubblica è chiaro che il ruolo del sindaco (Ignazio Marino, nda) in questa partita doveva essere radicalmente diverso.
D: Si spieghi meglio.
R: Il sindaco di Roma, chiunque esso sia, deve avere una visione di scenario (anche in ambito urbanistico) di grande respiro. Questo non è avvenuto. Ma se vogliamo essere ancora più specifici si doveva aprire un tavolo pubblico di discussione su questa area e magari anche su altre.
D: Perché?
R: La risposta è semplice. Perché un sindaco, dopo aver ricevuto un progetto di queste dimensioni, doveva analizzare se lo stesso impianto non si poteva inserirlo in un’altra area, magari con un maggiore deficit infrastrutturale.
D: A quale area sta pensando?
R: Più che ad una area, ad un quadrante specifico. Penso a Roma Est, dove c’è un forte deficit infrastrutturale. Lì, per esempio, bisognava intervenire. Su questo aspetto Marino ha completamente abdicato al suo ruolo, accettando, senza se e senza ma, l’idea di Tor di Valle portata avanti da Pallotta. E’ il sindaco che deve guidare, non il contrario. L’ipotesi Tor di Valle doveva essere messa a confronto con altre e solo dopo prendere una decisione (sempre da parte del Comune). Tutto questo non è accaduto e deve far riflettere. Si è persa sicuramente, almeno per il momento, una grande opportunità di dibattito e confronto.
D: Però il sindaco è, pur sempre, un amministratore “pro tempore”?
R: Cinque anni potenziali non sono pochi. Detto questo anche negli Usa, dove c’è un maggiore liberismo urbanistico, sono i sindaci a decidere dove costruire gli impianti sportivi, non i privati, che, al massimo, possono solo proporre aspettando l’analisi dell’amministrazione pubblica di turno. Questo a Roma non è successo.
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