Punto e a Capo

A.s. Roma: Public company? No, grazie…

Non vi è dubbio che le grandi manovre intorno alla A.s. Roma stanno creando alla squadra e alla dirigenza giallorosa più confusione che altro. Il “tormentone” del momento è l’idea “public company”.Una realtà che non ci sembra possa funzionare per motivi soprattutto pratici. La proposta, come è stata avanzata, comporterebbe la distribuzione del capitale in molteplici mani (poco forti), generando due grossi problemi: il primo di ordine societario, dove si perderebbe di vista il capitale di riferimento e si verrebbero a creare non pochi problemi sulla gestione societaria stessa; il secondo, ancor più importante, è che i soci non riceverebbero nient’altro che l’azione stessa (da “delistare”, inoltre, dalla Borsa).

Attualmente la Roma calcio non è in grado di sostenere una tale strategia, perchè non è in grado di dare qualcosa di tangibile all’azionista. La public company si basa sul concetto di entrare nel capitale a larga distribuzione avendo in cambio una partecipazione decisionale all’interno della società, ma anche una fattispecie di uso o concessione di quota parte della proprietà stessa. Non si può chiedere ai piccoli soci (30mila?) di restare sotto il controllo di uno zoccolo duro (circa 10 soci) che, di fatto, gestisce e decide le strategie societarie senza poter partecipare alle stesse in modo concreto.

Gli esempi di “public company” che in questi giorni vengono portati alla ribalta come Real Madrid e Barcellona non tengono in considerazione che i due club spagnoli sono proprietari di impianti sportivi e dello stadio e i soci sono proprietari di un posto all’interno dello stadio, oltre a poter votare per decidere il Presidente del club. Differenze sostanziali e non trascurabili. Se in futuro, nel progetto Roma , si parlasse dell’acquisto o della costruzione di un nuovo stadio a totale gestione Roma, ciò potrebbe cambiare le carte in tavola.

Restando sull’attualità, per concludere, se è lecito chiedere il passaggio in altre mani (si è fatto sul Corsera anche il nome di Flavio Briatore) della società o comunque l’ingresso di un socio forte, ci sembra invece poco credibile ipotizzare una “public company” con questi presupposti. Se è lecito colpevolizzare il management giallorosso sulle scelte gestionali ed “economiche”, non ci sembra invece corretto utilizzare l’idea “public company” per sostituire l’attuale proprietà. Chi è interessato a comprare l’As Roma, tutta o in parte, faccia la sua proposta. (A.G.)

Foto: Rosella Sensi, Amministratore delegato dell’As Roma

Non vi è dubbio che le grandi manovre intorno alla A.S. Roma stanno creando alla squadra e alla dirigenza giallorosa più confusione che altro. Il “tormentone” del momento è l’idea “public company”. Una realtà che non ci sembra possa funzionare per motivi soprattutto pratici. La proposta, come è stata avanzata, comporterebbe la distribuzione del capitale in molteplici mani (poco forti), generando due grossi problemi: il primo di ordine societario, dove si perderebbe di vista il capitale di riferimento e si verrebbero a creare non pochi problemi sulla gestione societaria stessa; il secondo, ancor più importante, è che i soci non riceverebbero nient’altro che l’azione stessa (da “delistare” inoltre dalla borsa). Attualmente la Roma calcio non è in grado di sostenere una tale strategia, perchè non è in grado di dare qualcosa di tangibile all’azionista. La public company si basa sul concetto di entrare nel capitale a larga distribuzione ……….

Previous post

Basket- Euroleague rinnova con Mediapro

Next post

Olimpiadi - Una Fondazione per la gestione degli impianti di Torino 2006

Marcel Vulpis

Marcel Vulpis

No Comment

Leave a reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *