Serie A - Serie B

Aveva ragione Brera. Chi critica Gigi Riva e’ un emerito cretino…

(di Massimiliano Morelli) – A noi più di quel “Rombo di tuono” coniato da Gianni Brera, piace un’altra frase, sempre dettata dalla verve breeriana, e ovviamente legata al mito: “Chi critica Gigi Riva è un emerito cretino”. Può bastare per sottolineare il fatto che fosse unico nel suo genere, uno come Riva? Ecco, l’istantanea dell’inetto che osava deteriorare l’immagine del campione di tutti – perché pur essendo il terrore degli avversari restava sempre un galantuomo; e per questo lo applaudivano ovunque scendesse in campo – è perfetta per decifrare l’immortale del football, il tratto d’unione fra il calcio in bianco e nero e quello a colori, la leggenda d’un calciatore che mantiene intatto un record da oltre quarant’anni, quello dei gol prodotti con la maglia azzurra: 35 in quarantadue partite, una “media pazzesca” direbbe qualche scavezzacollo dell’attuale etere. Per la cronaca si tratta del primato più longevo della storia del nostro calcio, e se solo si pensa che nessuno è riuscito ad avvicinarsi a quella quota, e soprattutto a quella media, ecco che si ha la visione cristallina del più forte attaccante italiano del dopoguerra, uno da Hall of fame per intenderci. Perché dopo di lui in azzurro ci sino stati Boninsegna e Graziani, Pruzzo e Paolo Rossi, Schillaci e Vialli, Altobelli e Balotelli, Totti e Baggio, ma nessuno, sottolineo nessuno, ha raggiunto Riva. Che a suo tempo, era il 1973 e l’Italia sconfisse 2-0 il Brasile all’epoca campione del mondo in occasione del settantacinquesimo anniversario della Federcalcio, scavalcò Piola e Meazza, calciatori dell’anteguerra che avevano dominato le graduatorie azzurre con l’Italia due volte mundial e una volta regina olimpica.
Scorrono veloci i settant’anni di Riva: da Leggiuno a Cagliari, dove sbarcò mugugnando salvo ricredersi subito e “fare” famiglia con gli isolani; il rifiuto a madama Juve, mentre Giampiero Boniperti andava ai matti e non sapeva più cosa offrire per smuoverlo: avrebbe offerto sei giocatori a scelta al Cagliari più due miliardi, e a Riva perfino le chiavi della città di Torino, oltre a un ingaggio da nababbo. Macché, lui resto nella sua isola felice, compagno fedele di tifosi considerati di serie B per quel luogocomunismo del “pecorai” e “banditi” insito in chi è convinto che la Sardegna sia circoscritta a chi parla con le consonanti raddoppiate. Beata ignoranza di chi è convinto di saper tutto, come “sanno tutto” tanti di quelli che in questi giorni hanno fatto razzia di news sulla Rete per raccontare quel “chi è stato Gigi Riva” che fa tanto “lettori”. Banditi dell’informazione, ma mai banditi come Graziano Mesina, uno che rischiava l’arresto (e che venne pure arrestato) per andar a vedere il fromboliere lombardo che aveva scelto la Sardegna. Eccola la scelta di vita, con buona pace di chi destina le sue scelte di vita perfino dove il calcio non esiste…ma se c’è una valanga di danè, allora vada bene pure una militanza sconosciuto (in Africa come in Medio Oriente).
Riva è lo scudetto del Cagliari e la rasoiata alla Germania Ovest nell’Azteca della leggenda; è le gambe massacrate dagli interventi goffi del lusitano Americo e dell’austriaco Hof al Prater di Vienna, maledetto giorno in cui il Cagliari perse l’alfiere, tre giorni dopo aver sbancato la San Siro interista, 1-3. Rimase fuori sei mesi, Gigi Riva, e il Cagliari chiuse al settimo posto quel campionato che stava dominando come quello precedente, anno di grazia 1970, e che fu vinto – guarda le contraddizioni – proprio dall’Inter demolita fra le sue mura amiche. E che dopo quell’1-3 vivacchiava al settimo posto della classifica. Riva è un signore, distinto e galantuomo, lo era in campo e lo resta oggi che, settantenne, si stupirà di tante attenzioni. Lui, che pensava alla fortuna di essere nato in Italia. “Faccio il calciatore perché sono nato qui, fossi nato in Alaska starei ancora a spalare la neve”. Trovatemene un altro così.
Il compleanno di Gigi Riva, indimenticato campione di calcio degli anni ’70, che, proprio ieri (classe ’44), ha tagliato il traguardo dei primi 70 anni ci porta a fare una serie di riflessioni (sportive e non). 

Lo ricordiamo per la memorabile partita Germania-Italia 3-4 (Mondiale ’70), ma anche e soprattutto per il primo ed unico (per adesso) scudetto tricolore del Cagliari (sempre in quel magico anno 1970). Fu proprio Gigi Riva, insieme ai suoi compagni, a compiere quell’impresa, che rimarrà nella storia dell’isola. “Rombo di Tuono”, così lo hanno chiamato per anni mentre ancora giocava, è stato, però, e soprattutto, un calciatore “vero”. Campo- allenamenti, allenamento-campo. 

Quasi una rarità se chiudiamo gli occhi e li riapriamo, oggi, sui rettangoli di gioco della serie A. Incontrare Riva magari a Coverciano (centro FIGC) ti fa capire cosa era realmente il calcio 40 anni fa. Oggi è un qualcosa di più surreale, più vicino alla Playstation e a Vanity Fair. Le movenze, le esultanze, le parole nelle interviste, i tagli dei capelli, per non parlare dei tatuaggi, che ormai ci aiutano anche a identificarli in campo, come fossero degli “animali” di una specie rara. C’è qualcosa di anomalo in questo calcio moderno, che non ci piace troppo. Perché va bene pagare anche stipendi importanti, ma a questi stipendi poi non seguono prestazioni importanti. E allora quando vediamo squadre con il 75 per cento di stranieri (dai nomi improbabili – come direbbe Tavecchio, numero uno della Federcalcio – e sottolineo: ha perfettamente ragione), non sarebbe meglio andare a scovare un nuovo “Rombo di tuono” del Terzo millennio, piuttosto che continuare a pagare Carneadi dai nomi esotici? Non sarebbe meglio, appunto, individuare un nuovo Gigi Riva o un Paolo Rossi? Ma perché in questo paese facciamo sempre l’esatto contrario di quello che dovrebbe insegnarci la ragione e perché no, il buon senso? Se ci si pensa è pazzesco. 

E allora, per una volta, su questa agenzia giornalistica, che racconta quasi sempre storie più economiche che umane, abbiamo deciso di fare uno strappo alla regola invitando Massimiliano Morelli, giornalista sportivo innamorato del Cagliari calcio e delle sue atmosfere a raccontarci cosa ha rappresentato Riva per una intera generazione italiana, fatta di uomini e non di mezze figure. 

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Marcel Vulpis

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