Calcio-truffa e giornalismo con la “g” minuscola. Il caso Inter-Etihad
(di Marcel Vulpis) – Ad un alieno che sbarcasse questa sera in Italia sarebbe difficile spiegare come faccia il calcio italiano a mostrare, in perfetto stile Truman Show, giorno dopo giorno, il peggio di sé. Un “mantra” unico, quanto auto-distruttivo, che solo il mercato tricolore è in grado di assicurare alle cronache dei migliori quotidiani.
Questa mattina giornali e siti si sono rincorsi nel raccontare l’incredibile tentativo di truffa operato all‘Inter Fc, del presidente indonesiano Erick Thohir, da parte di due improbabili faccendieri, che hanno millantato per alcuni mesi un rapporto di vicinanza ai vertici arabi di Etihad, per una fantomatica sponsorizzazione di maglia (visto che il contratto Pirelli scadrà il prossimo giugno).
Senza entrare nello specifico di questa storia, ormai diffusa da tutti i mezzi di informazione off e on-line, quello che fa riflettere è la facilità con cui questi emuli di Totò-truffa sono riusciti ad accreditarsi nell’ambiente del calcio italiano. Il lettore medio potrebbe chiederci: Ma come è possibile che personaggi appunto improbabili possano accreditarsi a questi livelli?
La risposta è semplice: Nel calcio italiano si muovono personaggi del calibro di Steve Jobs e Bill Gates? Non ci risulta, infatti. C’è spazio per tutti, anche per i truffatori, vero o presunti. C’è una gara continua, quasi vicina allo stalking, ad accreditarsi con i presidenti dei club. L’importanti è farsi vedere in tribuna, stringere mani, farsi un selfie, raccontare mirabolanti millanterie, tanto alla fine chi verifica? Nessuno. Tutto è possibile nel calcio tricolore.
In un passaggio di Ecce Bombo (1978 di Nanni Moretti) c’è il senso di questo editoriale, ma, soprattutto, la modalità relazionale di molti personaggi “gravitanti” nel mondo del calcio: “Faccio cose, vedo gente”.
Basterebbe fare delle “verifiche” con questi personaggi (ricordate il presunto sceicco arabo – rivelatosi altro caso di “bufala” – che sembrò, per un periodo, interessato all’AS Roma?) e tutto si scioglierebbe come neve al sole.
Nel caso del club nerazzurro, invece, questo tentativo di truffa è andato avanti per circa tre mesi. Sarebbe bastato fare una telefonata negli Emirati Arabi Uniti, magari passando per l’Ambasciata o l’ICE, e l’operazione Totò-truffa sarebbe subito terminata, accompagnando questi “signori” alla porta. Etihad è da alcuni mesi in Italia legato all’accordo su Alitalia ed è anche lo sponsor iper-munifico del Manchester City, ex club di Mancini. Insomma poteva essere meno difficile del previsto capire la “qualità” degli interlocutori: e invece…
A questo si aggiunga il livello-medio dei giornali italiani incapaci ormai di fare una verifica, nonostante le buone offerte delle compagnie telefoniche. Purtroppo telefonare è impegno mentale e sudore, meglio pubblicare, per primi, la falsa notizia e raccontare alla mensa del giornale o sul profilo Twitter di aver fatto lo scoop.
Basta digitare “Etihad prossimo sponsor Inter” ed esce un mondo preoccupante: gli stessi che da questa mattina urlano allo scandalo per la presunta truffa, il 18 ottobre 2015 hanno pubblicato “la qualunque”, pur di non rimanere fuori dal temone della giornata.
https://www.google.it/?gws_rd=ssl#q=Etihad+sponsor+prossimo+Inter
Una fotografia inquietante dell’intero comparto, prima “aedo” e poi “censore” (verrebbe da dire di se stessa, se non fosse che hanno già dimenticato cosa scrissero sul web il 18 ottobre ultimo scorso).Non li elenchiamo per pudore e rispetto di categoria, ma basta scorrere con il mouse per capire il livello di imbarcata presa dalla stragrande maggioranza dei giornali interessati a temi di sport.
Non ci crederete, ma una delle pochissime testate ad essere sfuggita alla figuraccia è stata proprio l’agenzia Sporteconomy su cui scrivo. Non per particolare maestria giornalistica, ma perché seguiamo una regola semplice: se la notizia non è verificata non la si pubblica in pompa magna. Meglio vantarsi una volta di meno, che rimanere sputtanati dal SEO su Google. Nell’era digitale è un problema non da poco. Non vinceremo (forse) mai il Pulitzer, ma almeno non ci prenderemo una sonora pernacchia “digitale”.
No Comment