Calcio&Norme – Il problema della gestione degli esuberi degli atleti
Questo
fenomeno è stato ed è determinato, principalmente, dal progressivo, notevole
ampliamento che, nel tempo, ha registrato e registra il numero dei calciatori
dei quali le società ritengono di avere bisogno , in specie ove partecipanti a
plurime competizioni, nazionali ed internazionali, nonché dall’utilizzazione
della durata massima ( cinque anni ) dei contratti di lavoro dei suddetti
calciatori, rispondente sia alla volontà di vincolare il più possibile gli
stessi, sia alla volontà di temporalmente diluire il più possibile gli oneri
delle loro retribuzioni.
Considerate
però l’estrema aleatorietà e mutevolezza dell’attività sportiva, spesso legata
anche a fattori ed eventi del tutto imponderabili ed imprevedibili, non di rado
e, anzi, sempre più spesso si dà il caso che organici di giocatori ritenuti
adeguati in una certa stagione sportiva non lo siano più in quella / e
successiva / e .
Ne
deriva che , in questo caso, alcuni di tali giocatori risultino non più utili
ed utilizzabili come prima e che, quindi, finiscano per essere, come si usa
dire nel gergo tecnico giuslavoristico, in esubero.
Ne
discende, ancora, sempre per rimanere in ambito calcistico, ma la cosa vale in
generale, che i giocatori in esubero non più rientranti nei programmi di loro
utilizzo da parte della società siano, in qualche modo e di fatto, messi da
parte rispetto agli altri colleghi che, invece, sono considerati utili ed
utilizzabili .
Si
ha, quindi, il caso dei così detti “ fuori rosa” o emarginati che, spesso, non
solo non vengono utilizzati e neppure convocati per le gare ma che vengono
fatti allenare a parte.
A
questo proposito, finora, il CCNL dei calciatori professionisti stipulato dalla
FIGC, Lega Calcio ed AIC, vietava espressamente di estromettere qualsivoglia
giocatore dalla partecipazione agli allenamenti con la prima squadra.
La
violazione di tale divieto comportava per il calciatore il diritto o di
chiedere ed ottenere la risoluzione del contratto con risarcimento del danno o,
a scelta del calciatore stesso, il solo risarcimento
del danno con contestuale obbligo per la società di reintegrarlo negli
allenamenti con la prima squadra.
Non
infrequenti e ben noti, d’altronde, sono stati e sono i casi in cui ciò si è
verificato e si verifica in concreto, specialmente di recente.
Forse
proprio per questo, scaduto il suddetto CCNL, una delle richieste avanzate
dalla Lega Calcio per rinnovarlo e che, nel momento in cui scrivo, appare
essere diventato, se non l’unico, forse il principale ostacolo al rinnovo,
consiste nella discrezionale possibilità di far allenare a parte , non con la
prima squadra, taluni giocatori.
A
questa richiesta l’AIC ha opposto ed oppone un netto e radicale rifiuto,
poiché, almeno così è dato di capire, ritiene che una siffatta possibilità si
possa prestare facilmente ad essere usata come surrettizio mezzo di pressione
nei confronti di calciatori, affinchè si inducano o a rinnovare e/o prolungare contratti alle condizioni
volute dalla società o a risolvere
anticipatamente tali contratti,
accettando magari prestiti o cessioni non graditi, dovendo sottostare
passivamente alle unilaterali volontà e decisioni della società stessa.
Preoccupazioni
queste che, peraltro, non possono onestamente dirsi né infondate né
pretestuose, in particolare alla luce di taluni comportamenti recenti e
reiterati di qualche società.
Al
punto che, non a sproposito, si è parlato e si parla di fenomeni di mobbing:
vale a dire, per usare una definizione molto sintetica, di tutte quelle
pratiche e di tutti quei comportamenti del datore di lavoro e/o di suoi
dipendenti e collaboratori che, quand’anche formalmente ed apparentemente
leciti, tuttavia, siano volti ad emarginare, mortificare, dequalificare ed
espellere il lavoratore.
Le
pratiche ed i comportamenti i questione sono vietati per legge, ai sensi
dell’art. 2087 C.C.,
oltreché dell’art. 2103 C,C.
in caso di dequalificazione, che, in attuazione dell’art. 32 della Costituzione
( “Diritto alla salute psico-fisica ed alla tutela della personalità”) pone a
carico del datore di lavoro l’obbligo di salvaguardare, non solo la persona
fisica, ma anche la personalità morale del lavoratore.
Aggiungasi
che le pratiche ed i comportamenti suddetti possono essere, altresì, rilevanti
e sanzionabili anche sul piano penale, in particolare ai sensi degli artt. 572
( Maltrattamenti) e 610 ( Violenza privata) C.P.
Non
sussiste, pertanto,alcuno spazio, almeno giuridicamente legittimo e lecito, per
poter, in qualche modo e sotto qualsiasi forma, legittimare le pratiche ed i
comportamenti di cui trattasi: né mediante la contrattazione di lavoro,
collettiva e/o individuale, né mediante regole dell’ordinamento sportivo che,
pur godendo di autonomia e di specificità, deve però sottostare alle norme , in
specie se, come nel caso in oggetto, inderogabili ed indisponibili,
dell’ordinamento statale.
Ciò,
però, a mio avviso, non può portare ad aprioristicamente ignorare e
disconoscere l’esistenza del problema della gestione di esuberi che si possano determinare nell’ambito degli
organici di calciatori.
La
corretta soluzione del problema andrebbe cercata e trovata, a mio parere,
mutuandola ,con gli opportuni adattamenti, da quelle che il diritto del lavoro
offre in casi analoghi.
Più
precisamente, si potrebbe :
a)
Prevedere,
nell’ambito delle NOIF della FIGC e del CCNL applicabile ai calciatori, la
possibilità per le società di dichiarare, motivandolo, uno stato di esubero
nell’ambito dell’organico dei giocatori alle dipendenze ;
b)
Il numero dei
calciatori dichiarati in esubero non potrebbe essere inferiore a tre e superiore
a sei;
c)
La dichiarazione di
esubero dovrebbe essere preceduta da una consultazione con le OO.SS. maggiormente
rappresentative dei calciatori su base nazionale: la consultazione dovrebbe
esaurirsi in un arco temporale di venti giorni con un verbale che recepisca le
valutazioni e le posizioni delle parti ;
d)
Ai giocatori
dichiarati in esubero dovrebbe essere offerta la possibilità di risolvere il
contratto dietro corresponsione di una indennità una tantum stabilita di comune
accordo tra le parti o, in mancanza di quest’ultimo, determinata da una
Collegio permanente di arbitratori scelti di comune accordo tra la Lega Calcio e le
OO.SS. di cui sub c) o, in difetto, dalla FIGC. L’indennità, in questo caso,
andrebbe determinata sulla base dei compensi dovuti per la residua durata del
contratto, proporzionalmente diminuiti del vantaggio costituito dall’immediata
percezione in capitale degli stessi ed in ragione delle concrete probabilità
del calciatore di reimpiego in altra società a condizioni più o meno omogenee a
quelle godute. A questo proposito, è opportuno sottolineare che, secondo
principi generali del diritto del lavoro, è riconosciuta la compensazione per
il lavoratore del danno con il lucro ed è fatto obbligo al lavoratore-
creditore di non aggravare, con propri comportamenti puramente passivi ed
omissivi, la posizione e gli obblighi del datore di lavoro- debitore;
e)
In alternativa a
quanto sub d), al calciatore dovrebbe essere offerta la possibilità di rimanere
alle dipendenze della società, alle stesse condizioni, fino alla naturale
scadenza del contratto, ma, in questo caso, accettando di essere escluso dagli
allenamenti con la prima squadra e di non essere convocato per le gare della
squadra stessa. Qualora al calciatore venisse offerta la possibilità di reimpiego
presso altra società, a condizioni almeno non inferiori a quelle godute e tale
offerta fosse rifiutata, gli emolumenti dovuti allo stesso calciatore
potrebbero essere diminuiti del 15 % in caso di primo rifiuto, del 30 % in caso
di secondo rifiuto e sino ad un massimo del 50% in caso di terzo rifiuto ;
f)
I calciatori dichiarati in esubero dovrebbero
essere immediatamente iscritti in apposite liste presso una speciale Agenzia
del Lavoro costituita da FIGC, Lega Calcio e dalle OO.SS. di cui sub c), pariteticamente
gestita da tali soggetti, la cui attività venga finanziata da un contributo
speciale posto a carico, rispettivamente,per 2/3 delle società di calcio e per
1/3 dei calciatori, volta a facilitare l’incontro tra domanda ed offerta di
lavoro calcistico professionistico. Nei casi di rifiuto delle offerte
lavorative proposte dalla Agenzia, si applicherebbe quanto previsto sub e).
Alle società che utilizzassero giocatori provenienti dalle apposite liste in
oggetto andrebbero accordati sgravi fiscali e/o contributivi.
Alla luce degli enunciati, peraltro indicativi ed
esemplificativi, di cui alle lettere che precedono, Federsupporter si riserva
di formulare più articolate e puntuali proposte da sottoporre all’attenzione
delle Istituzioni sportive e dei soggetti rappresentativi, rispettivamente,
delle società sportive e degli atleti professionisti, nonché alle forze
parlamentari e politiche, onde si possa aprire un sereno e proficuo confronto
sulle tematiche in discussione e, auspicabilmente,
si
possa pervenire a soluzioni concordate e condivise da riversare in disposizioni
regolamentari, contrattuali e legislative.
Tutto
ciò, fatto salvo che, a parere di chi scrive e non da ora, come pure già
ribadito in miei precedenti documenti ( cfr.in particolare documenti del 14
settembre e del 29 novembre 2010
in www.federsuppoorter.it), è giunto finalmente
il momento di superare l’anacronistico inquadramento, risalente al 1981, del
rapporto di lavoro dell’atleta professionista in quello di lavoro subordinato,
continuando ad ignorare l’evoluzione socio- economica e giuridica in materia
lavoristica intervenuta nel frattempo: segnatamente con la così detta “ Legge
Biagi” ( legge delega n. 30/ 2003 e decreto legislativo delegato n. 276/2003).
Lavoro
dell’atleta professionista che, sempre a mio parere, ben più appropriatamente
andrebbe configurato oggi come di lavoro autonomo coordinato e continuativo a
progetto o a programma.
Circa,
infine, l’astensione dal lavoro proclamata dall’AIC per l’11 e 12 dicembre prossimo,
ferma restando la legittimità di tale iniziativa ( i calciatori professionisti
sono lavoratori dipendenti) , poiché la suddetta astensione rappresenta la
forma più estrema di autotutela sindacale, ritengo che sarebbe stato e sarebbe
forse preferibile ricorrere a forme più gradate ed intermedie.
Penso,
per esempio, alla redazione, all’illustrazione ed alla diffusione alla pubblica
opinione, mediante conferenze stampa ed anche pubblicazione a pagamento su grandi
quotidiani nazionali, in specie sportivi, di un documento che esponga e spieghi
le principali ragioni della categoria.
Penso,
inoltre, alla devoluzione dell’equivalente degli emolumenti relativi ad una
gara di campionato a scopi ed Enti benefici, anche a dimostrazione del fatto
che il malcontento e la protesta della categoria non sono attribuibili, secondo
quella che oggi sembra essere l’opinione comune e prevalente, ad avidità,
cinismo, egoismo, alla difesa oltranzistica ed irragionevole di privilegi,
temuto conto che i calciatori, in specie i più noti ed affermati, oltreché da
ammirazione ed affetto, sono circondati anche da una inevitabile e forte
invidia sociale.
Il problema della gestione degli esuberi di
atleti professionisti da parte delle società sportive. (Avv. Massimo Rossetti- Responsabile dell’Area Giuridica- Legale)
Come
è noto, gli atleti professionisti sono qualificati per legge ( art. 3, 1°comma,
legge 23/03/1981, n.91) lavoratori subordinati e le società sportive sono
qualificate, sempre per legge ( art. 10,1°comma, della succitata legge
n.91/1981), imprese con fine di lucro, potendo essere costituite solo nella forma
di società per azioni o a responsabilità limitata.
Ciò
premesso, in specie nelle società calcistiche, si è sempre più frequentemente
posto e si pone il problema della gestione di esuberi di calciatori alle
dipendenze di tali società.
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