Ci risiamo, in A si litiga per la torta dei diritti tv. Lega a pezzi solo per questioni di bottega
(di Marcel Vulpis) – Calcio specchio della società italiana, della politica, ma anche di una incapacità ormai endemica di trovarsi ad un tavolo e trovare una soluzione condivisa. Situazione kafkiana se si pensa che a litigare non sono milioni di persone, come nel caso della politica (divise tra sinistra, destra e M5S) ma appena 20 dirigenti (quelli della Lega calcio Serie A).
Il tema del contendere è sempre quella benedetta torta dei diritti tv (oggi audiovisivi) da oltre 1 miliardo di euro. Si litiga sui diritti tv per un motivo molto semplice: il tesoretto è portato in dote dall’advisor (Infront Italy) non lo si deve andare a cercare in giro per le stanze dei più importanti broadcaster del Paese. Ci pensa appunto per tutti e 20 i presidenti il board di Infront (oggi presieduto da Luigi De Siervo – nella foto in basso).
Escludendo i diritti tv, di ricavi da calcio aggiuntivi ne vediamo ben pochi, anche perché, ad eccezione di Juve e di pochi altri top club, sono veramente limitate le realtà calcistiche in grado non solo di andare in utile (mediamente 6 società su 20) ma anche di avere qualche idea commerciale, oltre quella di spartirsi il bottino dei ricavi televisivi.
Quindi si litiga per esempio sulla riforma della governance, su nuove idee per il futuro, ma sull’unica fonte di sostentamento del calcio tricolore. Se non fosse così elevata (grazie soprattutto al lavoro portato avanti dall’advisor Infront) il calcio tricolore sarebbe praticamente “decotto”. Ecco perché è pazzesco che si debba assistere a queste sceneggiate, quando, invece, tutti e 2o i presidenti (o i loro rappresentanti) dovrebbero lavorare in modo coeso per far crescere l’intero settore e pensare a far divertire i milioni di italiani, che, ancora oggi, sono innamorati di questo sport.
Ecco perché ieri i sei top club (Juve, Inter, Milan, Roma, Napoli e Fiorentina) si sono alzati e se ne sono andati dall’assemblea di Lega dove i restanti 14 presidenti (tra cui anche la SS Lazio di Claudio Lotito) lasciando tutti sorpresi. Poi è stato il turno di Adriano Galliani, che ha preso il microfono e ha spiegato le ragioni di questo strappo dei top club.
Per la cronaca i 14 mini/medi club di calcio italiani ritengono di essere trattati male nella redistribuzione delle risorse in esame. Vorrebbero infatti che la parte uguale per tutti passasse dal 40 al 50%, che la percentuale collegata ai bacini di utenza passasse da 30 a 20%, mentre i risultati sportivi sono l’unica voce che verrebbe confermata al 30%. Vorrebbero inoltre che per le retrocesse il paracadute non fosse, come adesso, una somma totale fissa da spartirsi in tre (60 milioni di euro), ma una percentuale pari al 6% dei ricavi.
Le mosse future: tra i due gruppi sicuramente ci saranno degli incontri per superare la frattura, ma al momento sembra insanabile. Se fino al 27 marzo (data in cui si riunirà il primo Consiglio Federale della FIGC) non ci saranno novità, si proverà a convocare una nuova assemblea tra il 18 ed il 21 aprile. Se anche in questo caso non si dovesse arrivare ad una fumata bianca, il passo successivo è il “commissariamento”. Ipotesi non improbabile, tant’è che Malagò (CONI) si è già espresso in tal senso invitando la FIGC a trarre le proprie conclusioni in caso di “fumata nera”.
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