Crisi calcio – La Premier league scricchiola
La situazione economica della Premier League scricchiola parecchio e con i conti in rosso non ci sono soltanto le piccole o medie società, ma soprattutto i maggiori club. Non a caso la classifica dei debiti è capeggiata proprio dal Chelsea che ha accumulato un rosso che sfiora gli ottocento milioni di euro. Roba da far tremare i polsi a qualsiasi società non solo di football. È vero che il suo patron russo Roman AbramoviÄ? è uno degli uomini più ricchi del mondo e garantisce alla squadra allenata da Scolari (stipendio di 4,9 milioni di euro all’anno) una gestione operativa fluida, ma il debito resta e aumenta ogni settimana perché a complicare le cose da un po’ di tempo c’è anche il fattore-sterlina. La moneta di Sua Maestà Britannica Elisabetta II nell’ultimo anno ha visto diminuire il suo valore nei confronti dell’euro di circa il 12 per cento e se la comparazione viene fatta con il dollaro la forbice si allarga a oltre il 20 per cento. Un aspetto rilevante perché i calciatori che arrivano dalle scuderie del Centro-Sud America amano stipulare contratti in dollari mentre quelli che provengono dalla terraferma del Vecchio Continente ormai si sono abituati a ragionare in euro anche quando si tratta di mettere nero su bianco.
LA SITUAZIONE – Il Chelsea ha un mega debito, ma neppure il Manchester United, campione d’Europa in carica, può sorridere. Il rosso dei Red Devils all’ultima rilevazione attendibile sfiora i 775 milioni di euro, però il club di Malcolm Glazer, gestito in campo dal manager sir Alex Ferguson, non sembra preoccuparsi troppo e per allontanare le sirene del Real Madrid, e ha proposto a Cristiano Ronaldo un rinnovo del contratto sino al 2013 da quasi 11 milioni di euro, ossia 170mila sterline la settimana, spiccioli a parte. Uno stipendio superiore a quello percepito dal milanista Ricardo Kakà (9 milioni) ma inferiore a quello di Zlatan Ibrahimovic che Moratti ha fatto lievitare a 12 milioni di euro a stagione sino al 2013. I debiti vanno di moda in Inghilterra e sono distribuiti in ogni angolo del Regno. Il Liverpool è in rosso per quasi 450 milioni di euro. Nel territorio metropolitano di Londra c’è l’Arsenal che grazie agli arabi dispone dell’Emirates Stadium, uno degli impianti più belli e moderni del mondo, ma per vari motivi si deve confrontare con 343,26 milioni di debiti. Nella lista della società che hanno superato i 100 milioni di euro di passivo c’è il Middlesbrough (quota 108). Peggio i conti del Fulham (-232,55 milioni euro). I tifosi del Manchester City hanno brindato giustamente all’arrivo dello sceicco Mansour Bin Al Nahyan, noto per il suo ampio portafoglio a mantice, ma i libri contabili segnano comunque debiti per oltre 130 milioni. Quisquilie avendo un patron del genere nella stanza dei bottoni, eppure il dato poco piacevole resta ben in vista.
WEST HAM IN VENDITA – Nuvoloni neri sul West Ham ufficialmente in vendita. La squadra allenata da Zola (tecnico in bilico secondo i tabloid britannici) tra i suoi simpatizzanti annovera Barack Obama, presidente eletto dagli americani per guidare la nazione più potente del mondo, ma non pochi analisti considerano questo club in una posizione ad alto rischio dopo la perdita dello sponsor (compagnia aerea fallita) e la malconcia situazione economica del suo massimo dirigente di Björgólfur Guðmundsson. La situazione non è da canna del gas però i tifosi degli Hammers sono a dir poco preoccupati. Il modello calcistico inglese viene citato spesso e volentieri da una pletora di opinionisti come il non plus ultra per organizzazione, stadi pieni, vendita intelligente dei diritti televisivi, presenza in Borsa, gestione del marketing, abilità di sfruttamento del merchandising, etc, etc ma basta poi alzare un po’ il tappeto per scoprire che sotto è accumulata parecchia polvere (leggi debiti). Non tutto ciò che brilla è oro giallo. La maggior parte dei club della Premier League, dopo una fase virtuosa iniziata alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso , adesso vive da tempo al di sopra dalle proprie possibilità e nei momenti di crisi i nodi vengono al pettine. Certo, si può continuare a tirare avanti, spendere e spandere anche con tanti debiti, però è necessario che ogni tanto arrivi in soccorso qualche zio d’America, meglio ancora se russo o arabo con le borse piene di soldi.
CASE HISTORY – Il caso-inglese è molto interessante perché é un’industria calcistica che si può tranquillamente definire “matura". I massimi dirigenti della Football Association, avendo inventato un secolo e mezzo fa lo spettacolo di massa più amato nell’era contemporanea, sono convinti che il fenomeno abbia ulteriori margini di espansione e ancora capace di attirare altri capitali indigeni e stranieri utili allo scopo. L’altra faccia della medaglia. Lontani dalle luci della ribalta alcuni storici club anglosassoni che da tempo vivono fuori dalla Premier League e dal grande business e militano nelle divisioni inferiori come la nostra serie B o in Lega Pro (ex serie C), dopo aver venduto gli stadi di proprietà allocati in aree appetibili dal punto di vista immobiliare, ormai sono “adottati" dagli stessi tifosi che periodicamente oltre al biglietto d’ingresso alle partite si autotassano per permettere alle loro squadre di continuare a esistere nonché partecipare alla Coppa d’Inghilterra con la speranza di veder cadere davanti ai loro occhi una delle big trafitta dai colori del cuore. Il modello-inglese, avendo sfruttato prima e meglio di qualsiasi altro sistema calcistico al mondo tutti i plus accessori, adesso è a un bivio e sarà istruttivo comprendere come reagirà alla situazione in atto che non né bella né semplice da risolvere nonostante sia “too big to fail”.
fonte: Il Corriere dello Sport
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