Cristiano Ronaldo sì. Gigi Riva mai. Due storie, due epoche diverse
(di Massimiliano Morelli)* – Scavalcata l’enfasi di quello che viene considerato l’acquisto del secolo, e scavalcato pure il fatto che le maglie juventine con il nome di Cristiano Ronaldo sono già introvabili, affiora nella mente un amarcord in bianco e nero della prima metà degli anni Settanta legato all’unico calciatore che nella storia del football ha detto “no, grazie” a madama Juventus. Nessuno si senta offeso, perché a chiacchiere molti avrebbero – fra un “pare” e un “si dice” – rifiutato lo sbarco nella Torino bianconera. Ma in realtà, l’unico che mandò carte quarantotto un cambio di maglia che tutti ormai davano per certo risponde al nome di Luigi Riva, fromboliere del pallone d’un tempo che non c’è più.
“No, resto in Sardegna, la Juve non m’interessa”, sussurrò a più riprese il più forte attaccante italiano del Dopoguerra, non lo “mandò a dire” e soprattutto lo dichiarò in maniera elegante, senza offendere i tifosi della Vecchia Signora, tanto meno i dirigenti. Certo, qualcuno per quel gran rifiuto andò ai matti. Tipo Giampiero Boniperti, oggi novantenne, ex giocatore juventino, che visse in bianconero l’intera carriera, 443 partite, segnando due epoche: quella da attaccante per quindici anni, dal 1946 al 1961; e quella da dirigente, dal 1971 al 1990.
Un simbolo, il “cocco” di Giovanni Agnelli, elegante nei modi, educato, signore quel Giampiero Boniperti. Ma Gigi Riva da Leggiuno, classe 1944, soprannominato “rombo di tuono” da Gianni Brera, alfiere del Cagliari e da quarantacinque anni recordman di reti in Nazionale (media pazzesca, 42 partite e 35 gol), lo fece impazzire con quei rifiuti, costanti, inequivocabili.
A lui, a “Giggirrivva” l’idea di lasciare la Sardegna per far parte della corte più ambita non interessava. Boniperti presentò al Cagliari un’offerta praticamente irrinunciabile, un miliardo di lire. Poi sei giocatori a scelta. La risposta arrivò in Piemonte e fu come una mazzata per Boniperti. “Grazie, ma voglio restare a Cagliari. Per sempre”. Rimase nell’isola felice, sordo ai richiami di danè del nord, preferì la semplicità cagliaritana all’opulenza nordista, ovviamente con buona pace di chi all’alba d’ogni estate era sempre pronto a giurare che Gigi Riva avrebbe lasciato il Cagliari. Ecco, oggi si parla di bandiere, di calciatori che sono rimasti attaccati alla maglia. Si parla dell’idea di restare ancorati al club che ha trasformato i ragazzi in uomini. Quanti esempi? Da Mazzola a Rivera, passando per Maldini, Baresi e Totti…Vero, verissimo. Ma di sicuro è più facile restare una vita nello stesso club se c’è blasone da vendere, e non una provinciale da difendere (per quanto gloriosa come il club sardo). Se si vuole restare nel Milan, nell’Inter, nella Roma…certo non nel Cagliari. Per certi versi verrebbe da chiamare la neuro, al solo pensiero che un uomo possa rinunciare a ricchezza e chissà cosa altro esattamente come fece Riva. Che non volle abbandonare Cagliari per la “Milano da bere”, né per la città del Papa. Rombo di tuono restò sull’isola, del resto per la squadra sarda questo era il refrain dedicatole ogni volta che sbarcava negli stadi del continente. Preferì una provincia diventata regina nel 1970 e poi tornata a sopravvivere in quel pianeta calcio, dove vince chi ha il malloppo per “acchiappare tutto”. E gli altri stanno a guardare.
- giornalista e scrittore
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