Dal ring alla Jihad, la triste parabola del kickboxer che progettava attentati
La kickboxing, finisce suo malgrado, sotto i riflettori delle cronache giudiziarie per le presunte attività terroristiche di un 27enne marocchino accusato dalle autorità italiane di progettazione di attività terroristiche nella città di Roma.
Tra gli arrestati nel blitz antiterrorismo in Piemonte e Lombardia c’è anche Abderrahim Moutaharrik, atleta di kickboxing il cui nome e le cui immagini sono anche presenti sul web in relazione a numerosi combattimenti sportivi a cui ha partecipato. Era in procinto tra l’altro di unirsi all’ISIS come foreign fighter.
L’uomo faceva infatti parte della cellula jihadista, sgominata dalle indagini dei Digos e dei Ros coordinate dalla Procura Distrettuale di Milano, pronta a partire per unirsi all’Isis in Siria ma che intanto stava pianificando attentati a Roma; all’ambasciata israeliana e al Vaticano.
Abderrahim Moutaharrik, in un messaggio del 25 marzo scorso, inviato a un altro degli arrestati, Mohamed Koraichi, diceva: “Per questi nemici giuro, se riesco a mettere la mia famiglia in salvo, giuro sarò io il primo ad attaccarli (…) in questa Italia crociata, il primo ad attaccarla, giuro, giuro che l’attacco in Vaticano con la volontà di Dio“. Adesso il kickboxer è in carcere, anche se dichiara di essere totalmente estraneo alle accuse addebitategli dalle autorità giudiziarie competenti.
Chiaramente in questa storia la disciplina del kickboxing non c’entra assolutamente nulla, se non per il fatto che fosse la passione sportiva principale del presunto terrorista arrestato dalla Polizia di Stato. Una pubblicità negativa che non merita, per i valori sportivi di lealtà e coraggio da sempre diffusi nelle centinaia di palestre italiane dove si pratica quotidianamente. Sport di integrazione, purtroppo utilizzato male (questo sì, bisogna sottolinearlo) da questo giovane atleta caduto nella rete dell’islamismo più acceso.
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