Diritti tv – Infront: Colpevoli di voler fare business. Trattati come la Spectre
(di Marcel Vulpis) A leggere le “Cronache di Narnia“, apparse sui principali giornali generalisti, oltre che politici (come per esempio Il Fatto Quotidiano), emerge un’immagine del calcio, più da “Chicago anni ’30”, che da Terzo Millennio “illuminato”.
La carnevalata di “Operazione Fuorigioco”
Non c’è mai una “misura” in ogni cosa raccontata sui giornali italiani. Il mondo del pallone sembra un regno di sordidi evasori dediti solo ad operazioni contra legem. Le Fiamme Gialle hanno persino sequestrato beni e denaro per 12 milioni di euro, quasi a voler far immaginare (nella testa di tifosi ed addetti ai lavori) la fuga all’estero di presidenti, procuratori e calciatori. Poi va ad analizzare, caso per caso, e scopri che Aurelio De Laurentiis (patron dell’SSC Napoli) sarebbe indagato per poco più di 8.000 euro (euro più euro meno), che nel bilancio del 2012, pesava per meno dello 0,01 per cento. Sì avete capito bene, per meno dello 0,01 per cento. Su un fatturato all’epoca di 140 milioni di euro netti quanto pesa una fattura di quella entità? Sarebbe bastato, eventualmente, in questi tre anni di lavoro della GDF, chiamarlo a sanare e la problematica sarebbe finita lì con il classico “ravvedimento oneroso“, previsto per qualsiasi cittadino della Repubblica italiana. No, invece, tutti nel frullatore della “gogna mediatica”. Giusto quindi che De Laurentiis si sia arrabbiato con i media e abbia parlato, a ragione e non a torto, di “Fuffa”, perché tale è.
Abbiamo scelto De Laurentiis come esempio emblematico, ma, poi, potremmo parlare della posizione stralciata e non notificata ad Andrea Della Valle e ad altri soggetti (circa una decina), perché, nel frattempo, le soglie di evasione si sono modificate e quello che, potenzialmente, nel 2012, poteva essere considerata evasione (ma sempre dopo tre gradi di giudizio) oggi non lo è e verrà archiviata. Però, il nome di Della Valle non è stato eliminato, a priori, da quella lista degli indagati. Vi è rimasto per fare audience da parte dei giornali e tv per poi, velocemente, far notare che non verrà chiamato in giudizio.
Due pesi e due misure
Se il calcio è reo, colpevole di eventuale evasione (messo con sistematicità alla “berlina”), in un altro mondo, quelle delle multinazionali operanti nella Rete e con quartier generali in paesi diversi dall’Italia (parliamo di Google, Amazon, ecc.), ci troviamo di fronte a richieste, sempre da parte dello Stato, di 300 milioni di euro per “presunta” evasione. Eppure nessuno ha gridato allo scandalo.
La notizia è stata trattata come una trattativa fiscale molto delicata tra questi grandi gruppi e il Governo, che punta a recuperare gettito erariale. Ma nomi e foto dei dirigenti di questi grandi gruppi non appaiono negli articoli. Come narrazione giornalistica è Google contro lo Stato italiano. Come se Google fosse qualcosa di indefinito, di impalpabile. Però, ripeto, l’eventuale evasione del calcio italiano, nel 2012, è stata di 12 milioni di euro, quella di Google, sempre che sia provata, di oltre il 400%. Eppure di “gogna” mediatica, di accanimento terapeutico in ambito giornalistico, non vi è traccia, se parliamo di questi colossi mondiali del business digitale. Appunto, due pesi e due misure. Tutto tipicamente italiano, tutto tipicamente ridicolo, oltre che patetico.
Infront trattata come la “Spectre” di James Bond in 007
E poi c’è il caso di Infront Italy, parte di Infront Sports & Media, di proprietà, da alcuni mesi, del colosso cinese Dalian Wanda, che l’ha acquisita per oltre 1,050 miliardi di euro.
E’ la più importante struttura a livello mondiale nella intermediazione di diritti tv sportivi e nella commercializzazione di attività pubblicitarie, oltre che player nel settore dell’ospitalità sportiva (con case histories importanti nei più importanti eventi come Fifa World Cup, ecc.). Infront, molti anni fa, si chiamava Media Partners, l’ha fondata un gruppo di manager milanesi guidati da Marco Bogarelli, tecnicamente il manager italiano più esperto in questo settore.
Una sorta di Steve Jobs, di guru, nell’intermediazione dei diritti audiovisivi sportivi. Ha cambiato il modo di approcciare questo mercato, l’ha visto (inteso come scenario futuro), l’ha progettato, l’ha realizzato. Senza le sue intuizioni oggi il calcio italiano sarebbe ancora in un vero e proprio Medioevo, come offerta di intrattenimento televisivo.
Unica colpa? Una colpa molto grave nel nostro Paese: voler essere il migliore, voler diventare il più importante player, voler far business e generare ricchezza per sé, il suo gruppo ed i suoi collaboratori. Un problema in Italia, anche serio.
Questo obiettivo o ambizione, a seconda di come la si voglia leggere ha generato una serie di “nemici”, di invidie e gelosie (in diversi ambiti), che hanno portato o stanno portando altri soggetti (non visibili ma sicuramente individuabili dal mondo degli addetti ai lavori) a volerlo “ridimensionare”. Non l’ha scritto nessuno su Il Fatto Quotidiano, su La Repubblica, sulla Gazzetta dello Sport o sul Corriere della Sera, lo scriviamo noi di Sporteconomy, perché a differenza di altri ci possiamo permettere, ad oggi, di scrivere ciò che è vero senza interpretare mozziconi di intercettazioni telefoniche, strappate di qua e di là, rimpastate nel frullatore della gogna mediatica, di cui parlavamo sopra.
Qual è l’unico metodo in Italia per “ridimensionare” un soggetto, un’azienda, un personaggio politico? L’indagine giudiziaria (attivata magari attraverso una denuncia anonima) e la condanna, attraverso il ludibrio mediatico, su giornali e tv.
Il 9 aprile 1992 Bettino Craxi in un famoso intervento televisivo dichiara: “C’è un clima infame, un clima da caccia alle streghe nel nostro Paese“. A distanza di 24 anni, parafrasando il pensiero del politico di matrice socialista, possiamo dire la stessa cosa nel mondo del calcio: “C’è un clima infame” – che può generare solo distruzione e non costruzione di valore aggiunto.
Cercare, nell’interpretazione di una mezza frase decontestualizzata, presente nel brogliaccio delle indagini, una presunta verità (che semmai deve determinare il giudice monocratico, non il giornalista di turno),è un esercizio che non ci appartiene, perché non ha alcun valore giuridico e tantomeno giornalistico, e, soprattutto, non accettiamo questo clima “giustizialista” da prima Repubblica, che vediamo dove ci ha portato o dove ci sta ancora portando, quale che sia il settore di riferimento.
L’anatema Berlusconi – Chi gli ha stretto la mano deve “pagare”
L’altro aspetto abbastanza ridicolo, per non dire patetico, è il “tema” delle relazioni dei manager di Infront con Silvio Berlusconi (patron rossonero e fondatore di Forza Italia).
Da oltre due anni che va avanti questa “carnevalata” di Infront in versione “Spectre”
e c’è un evergreen che non tramonta mai: Bogarelli è vicino a Galliani (Ac Milan) e a Silvio Berlusconi, quindi per forza, facilita gli interessi di Mediaset ai danni di Sky. Come se conoscere Galliani e/o Berlusconi sia poi una colpa genitoriale da pagare per tutta la vita, a partire dallo sviluppo del proprio business.
Un personaggio come Bogarelli è normale che abbia conosciuto e intrattenuto relazioni commerciali (se parliamo di diritti tv del calcio) con questi due signori, visto che casualmente, da oltre 25 anni, sono tra i dirigenti sportivi più famosi probabilmente del nostro Paese. Non ho capito sinceramente, in alternativa, con chi avrebbe dovuto relazionarsi il dr. Bogarelli: con il custode di Milanello?. Ma questo teorema dell’assurdo è uno dei pilastri della teoria che vorrebbe appunto Bogarelli e la sua dirigenza come i “grandi manovratori” economici del calcio tricolore, anche perché vicini a Berlusconi e a Mediaset (passaggio “ideologico” ben presente anche in alcune domande del giornalista Oldani di Report). Dove Berlusconi è Maleficent e Infront l’esecutore della strega.
Un teorema talmente risibile, che ci sarebbe da riderci sopra per i prossimi 20 anni, purtroppo, però, per alcune testate è una colpa da pagare e torna ciclicamente in molti pezzi, instillando il dubbio che ciò sia vero nelle istituzioni, nel grande pubblico, nei media, in perfetto stile Inception.
Per quanto ci risulta Infront quando è andato a gara per la prima acquisizione dei diritti audiovisivi della serie A è sempre stato nettamente avanti rispetto a qualsiasi altro competitor, che avrebbe potuto offrire più soldi e più garanzie bancarie rispetto alla società di via Deruta, 20. Questo non è mai avvenuto: Infront ha sempre dato al calcio, non ha mai tolto. A leggere i giornali italiani, sembra che Infront sia una sanguisuga che toglie risorse al nostro sistema.
E’ qui la malafede o la poca conoscenza del settore. Infront ha sempre erogato con puntualità le tranche del denaro che come Advisor della Lega doveva assicurare nell’ambito del primo contratto e in quelli successivi. E’ sempre andato a crescere e mai a decrescere come volumi di affari erogati. Abbiamo letto in alcuni articoli che l’altra grande colpa di Infront sarebbe quella di guadagnare da questa intermediazione. Incredibile: ci sarebbe quasi da vergognosi, e invece poi scopri che Infront è una società privata votata al business e alla soddisfazione dei propri clienti (Lega, club, sponsor). Quindi giusto che guadagni se lavora bene, come attualmente fa. Cosa dovrebbe fare? Lavorare gratis per club, leghe, sponsor e network tv. Il fatto che guadagni e anche bene purtroppo ad alcuni soggetti dà un fastidio terribile e lì rientriamo nel campo della invidia e gelosia.
Infront garantisce al sistema calcio italiano una liquidità e affidabilità che nessun altro gruppo italiano o internazionale potrebbe garantire, anche alla luce dell’operazione Dalian Wanda. E’ l’unica sicurezza reale che oggi ha il mondo del calcio italiano. Non ve ne sono altre: solo due club su 20 (il Sassuolo ci arriverà gradualmente attraverso il Mapei stadium), come la Juve, e da quest’anno l’Udinese, hanno una struttura competitiva se parliamo di costi e ricavi, gli altri senza stadio “soffrono”, chi più chi meno. Ma questa sofferenza non è generata da Infront come vorrebbero farci credere alcuni stimati colleghi, ma dalla mancata capacità (per il momento) da parte degli altri 17 presidenti di creare modelli autonomi di sostenibilità economica.
E’ colpa di Infront se in Italia non si fanno gli stadi? Non credo. E’ colpa di Infront se si parla di austerity e di monte salari ridotti, ma in molti club il rapporto salari/fatturato supera l’80 per cento e in alcuni casi supera anche il 110 per cento? Non credo. E’ colpa di Infront se alcuni presidenti hanno cercato nella disperazione dei loro bilanci un sostegno dall’unica società italiana che oggi è “liquida”? Non credo.
Vedo tanti, troppi Savonarola della domenica, ma molti pochi soggetti in grado di capire che il problema non è Infront, ma la mancanza di progettualità di molte società. Infront risponde per il suo mandato di advisory con la Lega, ma certamente non risponde dei “casini” dei club italiani a livello di bilancio. E’ un “rosso” profondo. Ormai ci sono procuratori più ricchi dei presidenti stessi e dei calciatori. Anche questo fa riflettere. Forse è un segno dei tempi, certamente c’è da chiedersi come abbia fatto il calcio italiano a depauperare questo enorme tesoretto dei diritti tv. E cosa ci facciano ancora oggi con questi soldi le stesse società.
La manina “fatata”
Gira voce negli ambienti della procura di Milano, ma magari sarà una leggenda metropolitana, che, alla fine, tutto questo pastrocchio dell’indagine sui diritti audiovisivi del calcio sia nata da una letterina inviata in Procura senza firma. E sì, perché l’Italia è la nazione del coraggio. Purtroppo intuite la mia ironia ed è chiaro che tutto nasce dalla “delazione”: Termine quest’ultimo ancora non pubblicato sui famosi giornali di cui sopra. Questo l’hanno dimenticato. Strano, verrebbe da dire. Uno può anche raccontare gli incredibili (per quanto banalissimi) discorsi di Bogarelli o del manager Ciocchetti al telefono con i presidenti dei club, ma dovrebbe, per onestà intellettuale, ricordare che tutto questo nasce esclusivamente dalla “delazione”. La forma più infame di concorrenza (chiaramente sleale).
Tra l’altro è bene ricordare che i 20 club di A, ancor prima della legge Melandri, quando la trattativa era individuale e non collettiva, si sono sempre affidati per l’intermediazione dei loro diritti tv a Bogarelli (allora ceo di Media Partners).
Con l’approvazione della legge Melandri, molti pensavano che Infront sarebbe stata ridimensionata, e invece la società milanese ha sempre vinto sia nella prima asta, che nelle successive proposte di rinnovo, aumentando costantemente gli importi erogati alla Lega e quindi ai club.
Quindi cosa era rimasto per cercare di “ridimensionare” il livello di business di Infront: la delazione, che avrebbe poi portato ad una indagine giudiziaria e quindi al successivo frullatore mediatico delle intercettazioni telefoniche. E’ un film già visto, anche questo tutto tipicamente italiano. Dove non arrivi con la libera concorrenza l’unico metodo è l’inganno e la viltà (parliamo chiaramente della “manina fatata” del delatore di cui sopra).
Su questa telenovela torneremo nei prossimi giorni, perché raccontare i fatti come stanno è l’ABC del nostro lavoro, purtroppo vedo che non c’è proprio la voglia di andare oltre la ricerca del presunto vizio eventualmente presente nella intercettazione telefonica da bar.
C’è, però, una legge ineluttabile che torna sempre ciclicamente: quando si innescano situazioni articolate e complicate come queste si sa da dove si parte ma non si sa mai dove si va a finire e credo che non si sia capito che l’eventuale “ridimensionamento” di Infront Italy o delle sue velleità commerciali produrrebbe un disastro economico nel mondo del calcio che la metà basta. Oggi Infront per il calcio italiano è un valore, non un disvalore. Mi permetto di dire, un pilastro su cui costruire un modo nuovo di fare calcio, che può passare anche attraverso nuove regole (non credo che Bogarelli e Ciocchetti siano dirigenti chiusi rispetto all’evoluzione del mercato né al dialogo – non mi risulta), nuove governance, ma nel rispetto della libera concorrenza, che non può essere soffocata da piccole e meschine gelosie di personaggi che non si mostrano chiaramente.
“C’è un clima infame, da caccia alle streghe”, ripeto, ma mi auguro, che, alla fine, si arrivi a capire che solo dall’unità di tutti i soggetti coinvolti nel sistema calcio si può partire per progettare una crescita futura soprattutto sui mercati internazionali, dove Premier league, Bundesliga, Ligue1 e Liga spagnola, possono anche eventualmente non avere un advisor, ma se anche l’avessero non lo tratterebbero come un delinquente come avviene nel nostro Paese. Il commento di questo lunghissimo editoriale lo lascio ai nostri lettori e agli appassionati di calcio e di sport. Molti potrebbero vedere in questo fondo un tentativo di “controinformazione”. Direi di no: semplicemente informazione, raccontando oggi come domani come stanno realmente i fatti in questa telenovela dei diritti tv di Infront.
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