Diritti tv: Lotti, con decreto ministeriale, spedisce in soffitta la legge Melandri
Maggior equilibrio e competitività sul modello del calcio inglese. Cambiano i pesi percentuali di diversi parametri nella nuova riforma.
di Marcel Vulpis*
Con la firma apposta dal ministro dello sport Luca Lotti sul decreto di redistribuzione dei diritti televisivi del calcio (operativo dalla stagione sportiva 2018/19), finisce definitivamente in soffitta la cosiddetta legge Melandri (decreto legislativo 9 gennaio 2008 n.9).
Alla base del nuovo tracciato normativo vi è l’idea di un maggiore riequilibrio/competività (tra grandi e piccoli club), con l’obiettivo di incentivare le società di serie A a lavorare sul prodotto (sia negli stadi, sia in ambito televisivo), promuovendo politiche di marketing finalizzate a riportare i supporter negli impianti e a catturarne di nuovi attraverso un’offerta audiovisiva sempre più multi-piattaforma.
La “ratio” del decreto Melandri partiva da una base uguale per tutti pari solo al 40% (troppo penalizzante per le società più piccole). Nel nuovo decreto (DM) questa soglia sale al 50%, seguendo ciò che avviene da tempo sul mercato inglese. Un altro elemento forte della Melandri era la determinazione della percentuale assegnata al risultato sportivo, che non poteva mai essere inferiore al valore definito per i bacini di utenza. Adesso il 30% dei risultati sportivi inseriti, per esempio, nel decreto ministeriale appena firmato, conferisce maggior peso a quanto raggiunto nell’ultimo campionato (15%), a sua volta scomposto in due percentuali: 12% (posizione raggiunta in classifica) e 3% (punti realizzati nella classifica finale). Un ulteriore 10% viene assegnato guardando agli ultimi cinque campionati. Appena 5%, infine, alla storia dei club dal 1946/47 ad oggi (con l’inserimento di nuovi punteggi per i risultati internazionali).
Praticamente è stata rovesciata la “piramide” studiata nel decreto Melandri, che dava alla “storia” di ciascun club un peso percentuale doppio (10%) e superiore di 1/3 rispetto alla attuale riforma (15%), mentre l’ultimo anno pesava per il 5% (tre volte inferiore a quanto previsto dal DM Lotti).
Modifiche sostanziali sono presenti anche sul terreno dei bacini di utenza, che, nel precedente perimetro normativo, erano da cercare nella media ponderata di una serie di indagini sui tifosi presenti sui territori (25%) e, in misura minore, sulla popolazione residente nelle piazze calcistiche (5%). Nella riforma Lotti, invece, si parla di “radicamento sociale”, che, nel complesso, non pesa oltre il 20% ed è così suddiviso: 12% collegato ai biglietti pagati dagli spettatori nelle ultime tre stagioni e 8% all’audience tv certificata dell’ultimo campionato (in base all’Auditel e ad un algoritmo di ponderazione, combinando diversi fattori tecnici). Due parametri sicuramente più “scientifici” rispetto al passato, dove, nella quantificazione delle fan-base (bacini dei tifosi), c’erano state contestazioni sia sul metodo di analisi utilizzato, sia sui numeri emersi dalle indagini demoscopiche commissionate dalla Lega.
Il decreto attuativo firmato dal ministro Lotti determinerà una vera e propria rivoluzione nella redistribuzione della torta dei cosiddetti “tv rights”, ma, soprattutto, rilancia, nel sistema calcio, due concetti guida abbandonati da tempo: riequilibrio e competitività. (fonte: Il Corriere dello Sport – 2 marzo 2018)
* direttore agenzia Sporteconomy
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