Donald Trump 45° presidente USA e un’Inauguration Day non proprio trionfale
(di Jacqueline Rastrelli) – Donald Trump è il 45° Presidente degli Stati Uniti. Ha prestato giuramento a Washington in un’atmosfera particolare per questo genere di evento. Ma non poteva essere diversamente.
E’ stata una cerimonia fuori dal comune. Solitamente le investiture equivalgono una grande celebrazione di unità nazionale. Ma l’atmosfera non è stata propriamente all’insegna dell’armonia. E non solo perché è cominciato a piovere proprio quando Donald Trump ha cominciato a parlar. Il nuovo Presidente è arrivato piuttosto accigliato, così come Melania e il loro figlio Barron, che, apparentemente, avrebbe dato tutto per essere altrove. Ha abbracciato Michelle Obama, per nulla incantata, ma non ha stretto la mano a Hillary Clinton. Né l’ha degnata di uno sguardo. Tutti sembravano essere a disagio, come a un matrimonio tra famiglie che si detestano. Cosa che contrasta sorprendentemente con Barack Obama che, con il suo fare sempre molto alla mano, è arrivato sorridendo. Tutta la famiglia Trump era presente, ovviamente. Melania risplendente in un completo azzurro di Ralph Lauren, ispirata senza “se” e senza “ma” dal vestito che indossava Jackie Kennedy al giuramento di suo marito nel 1961; tutti i bambini, ma anche la sorella di Donald, Maryanne, giudice federale.
Tutta Washington, o quasi, era presente: i presidenti Jimmy Carter, George W. Bush, Bill Clinton. George Bush padre era assente, perché in ospedale. Anche Hillary Clinton, vestita di bianco, il colore delle suffragette, era parte della partita, malgrado il contesto che deve essere stato abbastanza doloroso per lei. “Sono qui per onorare la nostra democrazia”, ha scritto su Twitter. E se inizialmente Trump non gli aveva stretto la mano, sembra aver recuperato alla colazione offerta dal Congresso, dando prova di maggiore cortesia del suo predecessore Dwight Eisenhower, che, nel 1953, si era rifiutato di uscire dalla macchina per incontrare Harry Truman alla Casa Bianca. Erano presenti anche i leader politici, i giudici della Corte suprema, Bernie Sanders, i futuri ministri, Omarosa Manigault (una delle vincitrici della trasmissione di Trump The Apprentice che avrà un ruolo nella prossima Amministrazione), Kellyanne Conway, la direttrice della sua campagna elettorale in un vestito tricolore di Gucci che ha chiamato “la divisa rivoluzionaria di Trump”. Mancavano però all’appello una settantina di rappresentanti democratici che hanno deciso di boicottare la cerimonia, ritenendo il nuovo presidente illegittimo. Anche John Kerry. Il Segretario di Stato ha trovato di meglio da fare.
Mai nella storia dei giuramenti si era assistito a un tale boicottaggio di massa: questo rito proprio della democrazia americana è sempre stato un momento di riconciliazione nazionale. Anche gli artisti invitati hanno avuto problemi nel decidere come comportarsi. Uno dei cantanti del coro mormone del Tabernacolo, presente all’investitura, ha dato le dimissioni, perché non voleva partecipare alla cerimonia. Neanche la folla, meno numerosa di otto anni fa, era di umore conciliante se si giudicano i canti intonati a suon di “mettetela in galera” quando sui maxi schermi è apparso il volto di Hillary Clinton. Forse perché, contrariamente ai giuramenti di Obama, era molto meno diversificata con una maggioranza schiacciante di bianchi. Donald Trump arriva al potere con l’indice di popolarità più basso della storia: secondo i sondaggi, solo il 40% degli americani approva il lavoro svolto nel periodo di transizione. Cosa che non ha scalfito Trump che ha immediatamente risposto ai sondaggi con un tweet: “Il movimento continua, comincia il lavoro”.
Ma la cosa che più colpisce è il suo discorso. Di solito, gli oratori mettono da parte le tensioni per fare appello all’unità. Il senatore democratico Schumer ha invocato “la frattura con i media” e le divisioni del momento. Trump aveva spinto forte già dal primo mattino.
Per quanto riguarda il discorso del nuovo Presidente, invece di promettere come i suoi predecessori un futuro roseo e di predicare l’unità, ha ripreso il tono cupo e apocalittico della sua campagna. Ha descritto Washington come se fosse una città nemica appena espugnata. Ha poi dipinto un paese in pieno caos, assediato, parlando di fabbriche chiuse, crimine, gang, droga. In poche parole, un “carnaio” che lui fermerà, privilegiando la strategia dell’”America first”, il suo cavallo di battaglia. L’immagine che si serberà di questa giornata, è sicuramente quella di un Presidente che brandisce il pugno in segno di vittoria. Cosa che non fa presagire proprio bene per la salute dell’unità nazionale. Prova ne sono le tante manifestazioni avvenute prima, durante e dopo la cerimonia.
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump in una foto tratta dal web
I primi passi fatti venerdì scorso da Donald Trump alla Casa Bianca sono a immagine e somiglianza del nuovo Presidente degli Stati Uniti: pungenti. In molti ormai sanno del ritorno di Winston Churchill nello Studio Ovale. Obama aveva spostato il busto del grande statista inglese nel 2009, con grande sdegno dei repubblicani. Per gli osservatori più sagaci questo gesto fa il pari con la prossima visita di Teresa May al Presidente americano e alla voluta rottura della politica “troppo” Atlantica svolta fino ad oggi.
L’era post Obama ha già mietuto vittime. A pochi secondi dal giuramento, il sito della Casa Bianca appariva trasformato radicalmente. Niente più sezioni sui diritti di LGBT e portatori di handicap, fuori anche la sezione sul riscaldamento climatico . Il sito ora fa bella mostra di se di un bel programma sull’energia, che spiega che il Presidente Trump eliminerà “le politiche nefaste e inutili” come quella sul clima. Si fa anche richiamo a “più polizia”. Anche la fase di smantellamento del’”Obamacare” è iniziata. Ha fatto pace con la CIA, con una visita prima rimandata poi confermata, a Quantico, ma ha ribadito più volte il suo odio per la stampa. L’aria di censura aleggia sulle pagine social delle grandi Agenzie federali.
Cosa succederà non possiamo dirlo, vista la peculiarità dell’uomo Trump. E neanche possiamo permetterci di giudicare i primi passi. Certo è che l’imprevedibilità preoccupa, così come i toni cupi e guerrafondai, soprattutto in un momento storico così delicato. Trump non è uno sciocco, altrimenti non sarebbe arrivato fino a qui, ma il Mondo non si gestisce come gli affari (o forse si?) e un gesto di umiltà nei confronti di chi lo “consiglierà” non sarà interpretato altro che come un gesto di forza. Buon lavoro Presidente.
- giornalista romana specializzata in tematiche “estere”
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