Editoriale – Sogniamo un paese libero da tutti i lacci che lo stritolano…Passiamo però dalle parole ai fatti
Ma al di là di tutte queste belle parole (ampiamente condivisibili), quello che mi preme ricordare (in primis al nostro presidente e poi al capo del Governo, che rappresenta l’intera nostra classe politica) è che, adesso, non è più tempo di parole, promesse, discorsi mirabolanti. E’ tempo solo di “fatti”. Non c’è più tempo di parlare, bisogna passare all’azione. E l’azione deve essere veloce, diretta e senza tentennamenti. Non è un problema di punti o centesimi di spread che possiamo potenzialmente perdere o guadagnare, quanto piuttosto di persone, di essere umani che rischiano di chiudere attività o semplicemente partite IVA per l’inadeguatezza delle misure messe in campo dal nostro governo. Quelle partite IVA che, però, sono una “anello” forte della nostra economia. Soggetti che, con il loro lavoro, permettono, insieme al pagamento delle tasse (al netto degli evasori – piaga endemica a livello nazionale) da parte dei contribuenti, di mandare avanti l’intero Paese.
Siamo stanchi, signor Presidente, e lo dico, nel mio piccolo, da editore e giornalista. Siamo stanchi di pagare senza ricevere, di stare più in banca o alla posta, che nelle nostre aziende, perché ormai è un pagamento continuo. E’ giusto pagare, ma è giusto anche poter ricevere uno straccio di servizio. E questo, ormai, non avviene quasi mai. E’ un paese senza cabina di regia, dove comandano più le lobbies (al calduccio dei loro uffici a pochi metri dai palazzi del potere) delle persone che lavorano e rischiano in proprio. Così non va, ma, soprattutto, siamo stanchi di vedere queste cose ogni giorno come in un “Truman Show”. Peccato, però, che non sia un film, ma frammenti della nostra vita.
Sarebbe bello, un giorno, vivere in un Paese, dove venga prima l’idea e, poi, eventualmente, le tasse da pagare per renderla attiva. Invece, è l’esatto contrario.
Vi siete mai chiesti come mai gli Steve Jobs, i Larry Ellison, i Bill Gates, e parlo solo di alcuni dei principali magnati a livello mondiale, siano nati negli Usa e non nel nostro Paese? Non è solo una questione di numeri, di statistica. E’ che negli USA lo Stato fa di tutto per mettere il cittadino, che ha un sogno, nelle condizioni di realizzarlo. Qui è l’esatto contrario. Troppe le lobbies, le “cammarille”, gli inciuci, gli “amici degli amici” da scavalcare o da accontentare, per mettere, invece, al primo posto il merito o le qualità individuali.
In America si parla di “american dream”, qui, in Italia, le eccellenze sono poche (è da capire infatti che modello di economia sia da perseguire nel prossimo futuro) e al posto dei sogni sono rimasti gli “incubi”.
Provocazioni a parte, ci auguriamo che, in questo 2014, si possa ripartire dallo spirito dei nostri padri costituenti. Loro sì l’avevano un sogno: ricostruire il Paese. Chi è venuto dopo si è solo applicato nel distruggerlo. Oggi si respira però un’aria nuova: c’è voglia di riscatto, ma anche tanta rabbia, tanto malumore. La gente non ce la fa più. Qualcosa sta cambiando e come in ogni momento epocale, questo cambiamento può essere positivo come negativo.
Anche il mondo dell’informazione è ad un bivio: modificare il proprio modello di generazione e fruibilità dei contenuti, così come i principali aspetti di management.
Venire, per esempio, a conoscenza di editori che sfruttano giovani pagandoli anche pochi euro a pezzo non è da paese civile, anzi. Lo sanno tutti inclusi i sindacati e l’ordine dei giornalisti. Perchè tutti tacciono o alzano le braccia? Non è girandosi che si risolvono i problemi della categoria.
Tutto questo deve cambiare. Il lavoro non deve far rima con sfruttamento di chi è nella posizione più debole. Non è questo il Paese che voglio lasciare da giornalista e da editore ai miei figli. E non è possibile vedere a poche ore dal 2014, ancora contributi pubblici per l’editoria per 175 milioni di euro a giornali bolliti, vecchi, neppure letti da chi li scrive. E’ un chiaro elemento di concorrenza sleale nei confronti dei soggetti editoriali (soprattutto dell’online) che non ne beneficiano. Così si droga un comparto (la carta principalmente) e si uccide sul nascere un altro (l’editoria online). Mi permetto di dire: o a tutti o a nessuno.
Quando finirà questa “carnevalata” ai danni dei contribuenti? Quando questo Stato deciderà di uscire dalle logiche degli amici degli amici, aprendosi definitivamente all’online, perché la carta è morta? Ci vuole tanto per capirlo? Speriamo che questo “j’accuse” venga raccolto da qualche anima pia nel Governo (a partire dal premier Enrico Letta) o magari dal rottamatore Matteo Renzi (neo segretario del PD). Perché, prima o poi, questo Paese si rialzerà dal torpore in cui è immerso; il problema è capire la data di questo giorno, per poter festeggiare in piazza tutti quanti l’era della nuova Repubblica italiana.
(di Marcel Vulpis) Ancora poche ore e si chiude un 2013, che gli italiani (semplici lavoratori, imprenditori, e, più in generale, addetti ai lavori) ricorderanno come uno dei più duri della storia del nostro paese. Questa sera il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sicuramente farà un richiamo ai valori etici della nostra comunità e ricorderà l’importanza di avere un governo stabile, soprattutto nei confronti dei mercati internazionali, particolarmente sensibili (in negativo) all’andamento ondivago della nostra politica.
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