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Editoriale – “We have a dream…”

“WE HAVE A DREAM…”
Il 28 agosto del 1963, Martin Luther King pronunciò a Washington un discorso rimasto vivo fino ad oggi. Un discorso che ha lasciato il segno nel cuore degli americani, perchè partiva da un’idea, da un sogno (“I have a dream”). Un sogno di democrazia senza barriere e ostacoli sociali, che si è poi concretizzato, molti anni più tardi, con l’elezione di Barack Obama a primo presidente “nero” degli Stati Uniti.

Mutuando questo concetto, anche il calcio italiano, ma soprattutto la community dei tifosi giallorossi, ha un grande sogno. 
Il “dream” in questione è vedere finalmente questo club nell’élite del football mondiale, dopo stagioni di sacrifici e di scudetti gettati alle ortiche. 
L’A.s. Roma è un brand che merita di restare stabilmente nei primi dieci club del mondo, ma per farlo c’è bisogno di una forte iniezione di liquidità. Una liquidità che, in questo momento, è merce molto rara in Italia, dove gli imprenditori sono costretti spesso a chiedere l’aiuto degli istituti finanziari non solo per competere all’estero, ma anche più semplicemente per vivere. 

Per vedere questo sogno realizzato c’è solo un mezzo: passare in mani straniere. 
Noi di Sporteconomy riteniamo che AABAR sia tra le offerte non vincolanti la migliore, ma è chiaro che possono esserci anche altri soggetti (non di matrice italiana) altrettanto validi e utili alla causa giallorossa.
 
Speriamo che Unicredit e Rothschild, nel loro lavoro di screening, siano riusciti a individuare il meglio che c’è in questo momento in giro per il mondo, per lo standing e per la proiezione internazionale di entrambi i marchi. 
Rimarrei stupito se alla fine di tutto questo processo di vendita, anche molto bello sotto il profilo “teatrale” (in termini di attesa e di pathos), si finisse con un cognome italico. Sarebbe una grande delusione, ma sono certo che UC e Rothschild non faranno mai questo ai 9 milioni di tifosi/simpatizzanti del “credo giallorosso” presenti in Europa. 
Sognare sì, purchè non sia alla fine piuttosto un incubo.
Ma ripetiamo: siamo certi, al mille per mille, che due marchi di questa portata faranno solo il bene della Roma e della sua comunità.
Un ultimo elemento di riflessione è il “silenzio assordante” che sento in giro quando parlo di Aabar. A parte noi di Sporteconomy e alcuni rari alfieri dell’etere romano (tra questi Patrick vom Bruick, Mario Corsi, Max Leggeri) non mi sembra che ci sia stato uno strapparsi le vesti nel sostenere la pista araba, che, sulla carta, rimane l’unica percorribile a favore di un concreto sviluppo del team e della società di Trigoria. 
Come mai attorno a questa ipotesi araba, tra l’altro molto suggestiva e importante per il tessuto economico di questa città, non c’e stata (fino ad oggi) un’onda lunga a livello comunicazionale? Solo il finale di questa storia (forse) potrà aiutarci nella ricerca di una risposta sincera a una domanda altrettanto sincera. 
Credo che in questa città non debba migliorare solo il livello della politica, ma anche quello del mondo della comunicazione. Senza una grande stampa romana non ci sarà mai un grande club giallorosso. Quando si capirà questo forse arriveranno anche i capitali stranieri. Perchè l’immagine che diamo all’estero è di una città/Paese in perfetto stile “Guelfi e Ghibellini”. 

Il sogno di una grande A.s. Roma passa obbligatoriamente per gli investimenti stranieri. E’ tempo però che attorno a questo nuovo progetto si riuniscano tutte le forze vitali di questa città: dalla politica, al mondo dell’informazione, alla comunità dei tifosi. 

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Marcel Vulpis

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