ESCLUSIVA – L’ex sindaco Ignazio Marino racconta i retroscena del flop dello stadio dell’AS Roma (era Pallotta) e non solo…
(di Marcel Andrè Vulpis) –“Tra quattro anni (nella stagione 2016/17, nda) il nuovo stadio della Roma”. Con queste parole James Pallotta (diventato presidente del club giallorosso nel 2012) si espresse durante la conferenza stampa in contemporanea del 30 dicembre dello stesso anno.
Oggetto la presentazione della location del futuro stadio dell’AS Roma (ovvero l’area di Tor di Valle) con la presenza del sindaco Gianni Alemanno dal centro “Bernardini” (a Trigoria) e, in videoconferenza del presidente James Pallotta dalla Florida (all’interno del parco divertimenti di Orlando), assieme al giovane costruttore romano Luca Parnasi.
Da lì una corsa ad ostacoli passando, fino ad oggi, per ben 4 sindaci e 2 presidenti della AS Roma (prima James Pallotta poi il gruppo fondato da Dan Friedkin).
L’imprenditore americano Dan Friedkin ha acquistato (per 591 milioni di euro), dallo stesso Pallotta, il gruppo AS Roma, nella notte tra il 5 e il 6 agosto 2020, dopo 8 anni di gestione sotto la guida del proprietario dell’hedge fund Raptor.
Poi l’annuncio, il 26 dicembre 2021, dopo 3.313 giorni dall’avvio del progetto dello stadio a Tor di Valle. In quella data il CdA, già a trazione Friedkin, infatti, approvò lo stop dell’iter perchè “non sussistevano più i presupposti per confermare l’interesse all’utilizzo dello stadio da realizzarsi nell’ambito dell’attuale progetto immobiliare relativo all’area di Tor Di Valle, essendo quest’ultimo progetto divenuto di impossibile esecuzione”.
La notizia fu commentata sui social anche dall’ex presidente della Roma, James Pallotta, che aveva avviato il progetto in esame: “Sto malissimo per Roma e per la Roma. Qualche cxxxxxxe (sapete bene di chi parlo) ha rovinato questo grande progetto per tutti. Triste”. Un investimento, che, secondo molti addetti ai lavori, che lavorarono a questo dossier, ha bruciato almeno 60-80 milioni di euro (tra progettazioni, consulenze strategiche, ecc.). E a distanza di quasi 11 anni da quella conferenza stampa di Orlando non c’è traccia ancora della prima pietra o del primo cantiere.
Ma torniamo indietro nel tempo. Il 10 giugno 2013 il professore universitario ed ex senatore PD Ignazio Marino viene eletto sindaco di Roma, ottenendo il 63,9% dei voti in un ballottaggio contro il candidato del centrodestra e sindaco uscente (Gianni Alemanno). Il 12 giugno 2013, sempre il prof. Marino, assunse ufficialmente l’incarico di sindaco di Roma Capitale (nel frattempo l’8 dicembre 2013 viene eletto segretario del Partito Democratico con il 67,5% dei voti Matteo Renzi, attualmente fondatore e leader del partito “Italia Viva”, presente in Parlamento).
Al momento della sua elezione (in quel periodo storico il segretario del PD, partito di riferimento della coalizione di centro-sinistra, era il “reggente” Guglielmo Epifani, dopo le dimissioni di Pier Luigi Bersani avvenute il 20 aprile 2013), come sottolineato nel profilo del sito personale, Marino “trovò Roma sull’orlo della bancarotta. Nel 2013, la città era in “rosso” con una perdita di 888 milioni di euro, così come il sistema di trasporto pubblico aveva una perdita di 951 milioni di euro. Durante il suo mandato, il politico di sinistra riuscì a pareggiare entrambi i bilanci.”
Il 12 ottobre 2015 (ovvero dopo poco più di 2 anni) il politico di origini liguri (oggi 68enne) si dimise a causa di una falsa accusa di scandalo per alcune spese istituzionali che era stata mossa dai partiti di opposizione del Movimento Cinque Stelle (M5S) e di Fratelli d’Italia (FdI), anche se poi il 29 ottobre ritirò le sue dimissioni. Il 30 ottobre successivo fu estromesso dalla sua carica dopo le dimissioni di 26 dei 48 membri del Consiglio comunale. Il 31 ottobre 2015 Ignazio Marino fu sostituito da un Commissario nominato dal Governo dell’epoca (prima di arrivare alla elezione della sindaca pentastellata Virginia Raggi nel 2016).
Su questo spiacevole finale a sorpresa l’ex sindaco Marino, tornato da tempo a lavorare negli States (sempre in ambito medico-scientifico), è più volte intervenuto sui giornali (soprattutto di taglio politico), mentre sul progetto dello stadio della Roma a Tor di Valle, parte integrante (a fasi alterne) anche della sua azione politica (nelle vesti di sindaco della Capitale d’Italia), fino ad oggi non aveva fornito una ricostruzione puntuale delle ragioni che portarono al fallimento dello stesso.
Imprenditoria, affari e politica, si sono fortemente intrecciate nel corso di questa storia, che vede l’AS Roma, ancora oggi, pur con un nuovo presidente (Dan Friedkin), senza una “casa” di proprietà (anche perchè, nel frattempo, i Friedkin hanno scelto di abbandonare l’area di Tor di Valle per quella di Pietralata). Per la cronaca, anche i nuovi proprietari a stelle e strisce (così come all’epoca Pallotta) hanno dichiarato di poter consegnare il nuovo impianto in poco più di 3 anni (entro il 2026). Ma sono molti a sostenere che i tempi non saranno questi e si attende anche l’esito dell’assegnazione dell’edizione 2023 dell’Expo, dove la città di Roma è candidata (assieme ai sudcoreani di Busan e ai sauditi di Riyad), per capirne i relativi sviluppi. Nelle settimane scorse, infatti, il più importante Festival di intrattenimento della capitale del Regno saudita, il brand “Riyadh Season“, ha scelto di investire sulla maglia dell’AS Roma per un budget biennale di 25 milioni di euro. Un’operazione che ha creato forte disagio nel management del Bid di Roma2030, ma soprattutto in “casa” Comune di Roma, chiaramente schierata con la Fondazione guidata dall’esperto DG Lamberto Mancini (già direttore generale del Touring Club Italiano e della Fondazione Cinema per Roma, oltre che AD di Lingotto Fiere e degli Studios di Cinecittà).
Una vittoria del progetto di Riyadh, infatti, con la maglia del club giallorosso, sponsorizzato proprio da un marchio saudita, potrebbe creare, in fase di assegnazione, più di qualche mal di pancia. Non a caso, da diversi giorni, i bookies inglesi non accettano più “scommesse” sulla vittoria della capitale del Regno saudita.
Tornando al tema dell’impiantistica, la pratica dello stadio della Roma è sul tavolo del 4° sindaco (dal 2012 ad oggi) chiamato ad intervenire su questa operazione: ovvero Roberto Gualtieri (PD), eletto “primo cittadino” lo scorso 21 ottobre 2021. E non è detto che al termine del suo mandato (avverrà a fine 2026) riesca anch’egli a chiudere questa pratica, trasformando l’idea del nuovo stadio in una vera e propria “leggenda metropolitana“, di cui, purtroppo, non si conosce la parola “fine”.
Di questo e di ciò che successe a livello di politica interna (soprattutto al PD), nella giunta comunale dell’epoca, ne abbiamo parlato diffusamente in questa intervista, in esclusiva, con l’ex primo cittadino Ignazio Marino (nella foto in primo piano)*, che ha sottolineato con forza, in diversi punti, come il fallimento del progetto dello stadio a Tor di Valle si sia trasformato, tra l’altro, in una grave perdita in termini di opportunità per l’intera città (un piano “mostre” da 1,2 miliardi di euro svanito nel nulla, per una serie di responsabilità anche di natura politica).
D: Prof. Marino, tornando alla sua esperienza come sindaco di “Roma Capitale”, a posteriori, perché a Roma è così difficile costruire uno stadio di proprietà?
R: Ripensare la città significa anche renderla attraente ai capitali privati stranieri, che possono essere utilizzati per sviluppare nuove infrastrutture e servizi. Una strategia che porta con sé anche nuove opportunità di lavoro – oggi così necessario a Roma e in Italia. In questa prospettiva, nel 2014, ho immediatamente ascoltato il Presidente della società calcistica AS Roma, James Pallotta, quando mi disse di voler realizzare il nuovo stadio di proprietà della squadra. Si trattava del più consistente investimento privato nella Capitale, pari a oltre 1,2 miliardi di euro. Di questi, pretendemmo che 320 milioni fossero destinati alla realizzazione d’importanti opere infrastrutturali per la città. Le altre risorse erano destinate alla costruzione di un “business district” disegnato da uno dei principali esponenti mondiali del decostruttivismo, l’architetto Daniel Libeskind, lo stesso che con il suo progetto aveva vinto precedentemente la competizione internazionale per ridisegnare “Ground Zero” a Manhattan, dopo la distruzione delle Torri Gemelle del World Trade Center, l’11 settembre 2001. Il suo progetto, elegantissimo, si articolava su un’elaborazione grafica dei “conci”, i blocchi di pietra delle costruzioni romane, e riprendeva un disegno di Giovanni Battista Piranesi, che Libeskind riuscì a scomporre in 3 torri che intendevano richiamare i materiali delle origini storiche dell’antica Roma.
D: In un certo momento del suo mandato sembrava che filasse tutto liscio, relativamente a questo progetto, poi cosa è successo?
R: Nell’autunno 2014 subì ritardi dovuti alla lentezza decisionale dei partiti politici, soprattutto del Partito Democratico. Con l’assessore all’Urbanistica, Giovanni Caudo, indicammo subito che volevamo che oltre la metà dei 60mila spettatori previsti (in termini di capienza, nda) potesse raggiungere lo stadio con mezzi su rotaia, metro o treno, in modo da evitare il caos automobilistico che si crea a Roma ogni volta che vi è una partita allo stadio Olimpico, privo di una rete di trasporto su rotaia. A inizio settembre 2014 riunii la Giunta per votare il progetto e sottoporlo al voto del Consiglio Comunale. Il giorno dopo al voto della Giunta non solo le opposizioni, ma anche diversi esponenti della maggioranza, in particolare del Partito Democratico, iniziarono a esprimere dubbi e opinioni contrastanti sia sull’idea dello stadio privato della AS Roma, sia sul luogo dove sarebbe dovuto sorgere. Il presunto rischio idrogeologico divenne il “mantra” attorno al quale il progetto fu avvolto dai media ed è stato inutile ripetere che l’unica autorità preposta, l’Autorità di bacino del Tevere, aveva escluso ogni rischio di tale natura. Ma il percorso non si annunciava così semplice: riunione dopo riunione, Mirko Coratti, presidente dell’allora Consiglio Comunale, annunciava di portare il tema dello stadio al voto, ma c’era sempre qualche cosa che bloccava l’iter. Chissà quali discussioni avvenivano fuori dall’Aula. La dichiarazione di pubblico interesse sul progetto venne votata poi il 22 dicembre 2014.
D: Quello che è successo all’ex presidente Pallotta, ovvero di investire milioni di euro non arrivando mai a vedere la nascita dello stadio, non è stato, alla fine, secondo lei, un autogol per l’intero tessuto socio-economico di Roma.?
R: James Pallotta, che aveva già avviato il lavoro per il progetto esecutivo (in cui investì suoi fondi per decine di milioni di euro), coinvolgendo anche partner internazionali come la banca d’investimento Goldman Sachs, era molto allarmato per i ritardi incomprensibili. Per questo mi chiese un nuovo incontro che avvenne l’11 settembre 2014.
In quell’occasione mi mostrò, commentandole, una serie di traduzioni in inglese di articoli di stampa italiani che riferivano l’ostilità del Partito Democratico: “Look, Mayor Marino, city councilman Panecaldo said…., …. Member of Parliament Lorenza Bonaccorsi said…”. Gli spiegai che molti politici italiani avrebbero detto qualunque cosa per ottenere una piccola foto e un’intervista di poche righe sulla cronaca locale di un quotidiano e che, nella maggior parte dei casi, non avevano studiato la documentazione tecnica del progetto. Confermai il mio impegno di completare la valutazione del progetto da parte del Consiglio Comunale entro 10-12 settimane. Tre mesi dopo, fatto quest’ultimo passo, con il voto in Campidoglio del 22 dicembre 2014, trasferii immediatamente tutto il materiale alla Regione Lazio per le valutazioni necessarie. Dieci mesi dopo, il 31 ottobre del 2015, al momento del mio allontanamento con le famose dimissioni dei consiglieri del PD dal notaio, la Regione Lazio non aveva ancora neanche convocato la conferenza dei servizi per valutare la documentazione dello stadio. L’incertezza amministrativa è la peggiore condizione per gli investitori privati, soprattutto per chi investe dall’estero. Se il trascorrere del tempo non viene considerato una variabile importante si rischia di allontanare gli investitori che non si avvicinano a Roma, considerata un contesto amministrativo inaffidabile, governato da logiche non da libero mercato competitivo ma che ricordano quelle dei feudi e dei feudatari che sembrano tanto più forti quanto più piccolo e chiuso resta il feudo.
D: Più in generale che difficoltà ha incontrato nel corso del suo operato, quando ha cercato di attrarre nuovi investitori stranieri non solo nel calcio? Siamo un Paese tecnicamente e/o burocraticamente difficile?
R: Burocraticamente difficile è un eufemismo. Le racconto un aneddoto. Nel dicembre 2014, ottenni da un imprenditore straniero la promessa di una somma cospicua, 2 milioni di euro, per restaurare le colonne della basilica Ulpia nel Foro di Traiano, restauro che sarà ultimato con quei fondi privati entro la fine del 2023. Non solo mantenne la promessa ma versò i primi 500mila euro entro una settimana dal nostro colloquio. Sei mesi dopo pensai che non avesse mantenuto la promessa e volli verificare. Dopo un giorno di ricerche nella amministrazione del Campidoglio scoprii che aveva versato quella somma consistente immediatamente, sette giorni dopo il nostro colloquio, e li aveva inviati sul conto corrente del Campidoglio con la causale “come da accordi con il Sindaco Marino“. Nessuno se ne era accorto, quindi nessuno mi aveva avvertito e io, sei mesi dopo, dovetti scusarmi con il donatore per non avergli neanche detto “grazie”. Inoltre, scoprii che il Campidoglio non aveva neanche un conto corrente dedicato alle donazioni filantropiche. Tutto questo è un vero peccato perché, di contro, Roma Capitale ha professionalità eccezionali, per esempio quelle necessarie per la realizzazione di un progetto di restauro così imponente e delicato come quello per cui avevo chiesto – e ottenuto – il sostegno del filantropo straniero.
D: Se potesse tornare indietro nel tempo, sempre relativamente al progetto stadio dell’AS Roma, cosa cambierebbe concretamente nella sua strategia? Ci sono stati momenti anche di “fuoco amico” su questo tema specifico o no?
R: Del fuoco amico ho già raccontato. Se dovessi tornare indietro convocherei la cittadinanza presso lo Stadio Olimpico ed elencherei per nome e cognome tutti i politici che per un motivo o per l’altro creavano ritardi, ostacoli, e lavoravano per non realizzare un’opera così importante in modo trasparente, entusiasmante per i tifosi e utilissima alla economia della Capitale. Insomma, coinvolgerei la cittadinanza in un progetto partecipato al di fuori delle stanze chiuse della politica.
D: Qual è il suo commento rispetto alla gestione del nuovo sindaco Roberto Gualtieri?
R: Come sa vivo e lavoro in Ospedale e all’Università a 8mila km di distanza (negli States, nda). Posso solo dire che, nel mese di ottobre (2023, nda) sono stato a Roma e ho trovato la città incredibilmente sporca e per tornare a casa dal barbiere ho dovuto camminare oltre un’ora perché c’era uno sciopero dei mezzi pubblici e non era neanche possibile trovare un taxi. Dal giorno dopo ho ripreso la mia bicicletta e sono caduto due volte per le buche. Inoltre, ho visto con dolore il ritorno dei venditori abusivi e delle distese di tavolini anche nei luoghi più prestigiosi di Roma, come vicino al Pantheon.
D: Ci spiega meglio la frase che ha postato tempo fa su Facebook” “cacciato a calci”. Ce l’aveva con il PD del periodo renziano? Come hanno fatto a “dimissionarla” dopo 28 mesi di mandato? Non si è creato in questo caso un pericoloso “vulnus” democratico?
R: Il Partito Democratico non tollerava la mia presenza in Campidoglio e sarebbe stato disposto a qualunque atto pur di liberarsi di un amministratore che definiva onesto, ma che non rispondeva a quell’omologazione che la dirigenza del Partito desiderava. Menti libere e indipendenti non sono gradite e, soprattutto, non è gradito chi, invece della linea di comando di partito, utilizza criteri basati sul merito per la selezione della classe dirigente. Non erano trascorsi neanche 4 mesi dalla mia elezione del giugno 2013, che, in poche settimane, avevo avviato nuove soluzioni per l’emergenza abitativa dei più poveri, chiuso al traffico privato via dei Fori Imperiali, chiuso la discarica di Malagrotta (aperta da cinquant’anni), e già i media locali e nazionali descrivevano il conflitto tra il Partito Democratico e il proprio Sindaco.
Il 24 ottobre 2013 il quotidiano La Repubblica titolava “Marino sotto accusa” e il Presidente del Consiglio Comunale, il politico Mirko Coratti (PD), avvertiva dalle pagine nazionali di quel giornale che non poteva essere discussa in Consiglio la decisione della Giunta che stabiliva i nuovi criteri per le nomine negli enti e nelle aziende comunali, perché, minacciava Coratti: “Se la mettiamo in discussione adesso, non passa il bilancio”. Quell’atto proponeva di selezionare le figure apicali delle aziende controllate dal Comune con strumenti di competizione pubblica, trasparente, di sfoltire le nomine ed escludere gli ex sindaci, consiglieri comunali e regionali, parlamentari: misure che non entusiasmavano per nulla né il PD, né gli altri partiti. Nei 28 mesi del mio Governo i partiti politici non hanno mai permesso che quell’atto giungesse nell’aula del Consiglio per essere approvato, bocciato o comunque almeno discusso.
Ma chi avrebbe potuto immaginare che per far cadere il sindaco di Roma si sarebbe fatto ricorso alle dimissioni, presso un notaio, di un’inedita e nuova alleanza dei consiglieri del Partito Democratico e di alcuni eletti nella coalizione erede del Movimento Sociale Italiano (MSI)? Un’alleanza che ha creato vergogna e disgusto tra gli elettori, ma che ha trovato sostegno nelle parole di Marco Causi, autorevole deputato del Partito Democratico, che il 20 novembre 2015 arrivò a dichiarare che: “…bisogna coinvolgere i più vasti strati della popolazione senza distinzione di colore politico. In Sicilia MSI e PCI si alleavano contro la Mafia”.
D: In sintesi, ultima domanda: la rivedremo di nuovo in politica o, ormai, è una esperienza terminata definitivamente? Se sì, in quale contenitore? Ha avuto, ad esempio, contatti con la nuova segretaria Schlein? Rivede un PD di sinistra?
R: Non conosco la segretaria “Elly” Schlein (eletta lo scorso 12 marzo 2023, nda) ed ella non mi ha mai cercato. Il PD ha rinunciato a impegnarsi per tutto ciò che ci rende uguali, dalla sanità, alla scuola pubblica, ed è diviso non solo sui diritti civili ma anche su quelli sociali. È un partito in cui la segretaria afferma (e sono convinto che lo pensi) di essere contro gli armamenti e contro gli inceneritori, ma poi vuol costruire a Roma l’inceneritore più grande d’Europa e vota per aumentare la spesa in armamenti. Come è scritto nella Bibbia, nel libro del “Qoelet”, “c’è un tempo per ogni cosa” e “oggi non è per me il tempo di questa politica“.
* Ignazio R. Marino, nato a Genova 68 anni fa – MD, ScD – Professor of Surgery, Sidney Kimmel Medical College, Thomas Jefferson University –Executive Vice President for Jefferson International Innovative Strategic Ventures – Thomas Jefferson University and Jefferson Health – Executive Director, Jefferson Italy Center.
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