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Esclusiva – Serie A e mancata ripresa del campionato: i possibili scenari. Il parere di Sferrazza, esperto di diritto sportivo

(di Mauro Sferrazza* e Marcel Vulpis) – È noto come lo sport, nel suo insieme considerato, generi una consistente percentuale del Prodotto interno lordo (PIL) del nostro Paese (circa 1,7 % a livello di “economia diretta”). Le stime più accreditate attribuiscono una quota parte del 70% al calcio, fenomeno sportivo che da solo alimenta un fatturato complessivo di oltre 4 miliardi e mezzo di euro annui, capace di incrementare le finanze pubbliche di circa 1,2 miliardi all’anno. Evidente ed indiscutibile, dunque, il suo rilievo economico.

Lo sport è, però, fenomeno variegato e complesso: dal punto di vista ludico, è attività libera, che interessa la sfera individuale del singolo; sotto l’aspetto sociale, costituisce momento di crescita educativa e di implementazione e valorizzazione delle relazioni interpersonali; sotto il profilo giuridico, pur essendo attività autonomamente organizzata secondo schemi propri e modelli specifici, rappresenta strumento primario di tutela della persona, favorendone cura della salute e virtuosi meccanismi di aggregazione.

Prima ancora che un fenomeno di rilevante impatto economico-finanziario per il Paese, lo sport, in generale, ed il calcio, in particolare (non fosse altro che per la sua capillare diffusione nella penisola), costituiscono, dunque, un importante fenomeno socio-culturale, da tutti riconosciuto.

In questi giorni viene sovente ricordato, da molti addetti ai lavori e da esponenti delle varie espressioni politiche, come il calcio non sia solo (e tanto) quello della Serie A, ma soprattutto quello giovanile e dilettantistico – movimento, questo, guidato dal presidente Cosimo Sibilia, con un milione di tesserati (per l’esattezza, 1.045.565), oltre 12mila società (per l’esattezza, 12.350), 66.025 squadre e più di 560 mila gare organizzate – che permette ai ragazzini (ed ai più grandi) di prendere a calci un pallone, in forma organizzata ed agonistica, consentendo la crescita della personalità dell’individuo in un contesto sociale sano ed equilibrato.

Inutile, poi, sottolineare come molte associazioni dilettantistiche (spesso solo con il lavoro di singoli, mossi semplicemente da spirito di dedizione e passione) riescano a sottrarre molti ragazzi alla strada ed agli ambienti criminali, come anche “attestato” dai tanti servizi giornalistici che, di frequente, ne danno conto, rammentandoci, appunto, il valore socio-educativo dello sport.

Non va, inoltre, dimenticato come la pratica sportiva rappresenti una  importante difesa – soprattutto sotto il profilo della prevenzione – del nostro sistema sanitario, indirizzando le giovani generazioni verso il benessere psico-fisico ed uno stile di vita sano.

A questo ambito (dilettantistico), dunque, occorrerà guardare con molta attenzione in questa fase di “ripartenza” del Paese e di necessaria “convivenza” con l’emergenza pandemica in corso. Del resto, più in generale, per la complessiva azione economica, politiche di bilancio restrittive sarebbero controproducenti nell’attuale fase congiunturale (superata la quale occorrerà seriamente e responsabilmente pensare, come avverte Banca d’Italia, ad una graduale ricostituzione dell’avanzo primario di bilancio), nella speranza che gli aiuti alle famiglie ed alle imprese possano avere un effetto moltiplicatore sul sistema economico, incentivando consumi ed investimenti, con sostanziali benefiche ricadute in termini di incremento della domanda globale.

Nella medesima direzione, dunque, anche per ciò che attiene all’ambito sportivo occorre rispondere con adeguate misure di sostegno ed espansive, idonee a consentire di superare l’eccezionale emergenza in atto.

Una immagine del nuovo Coronavirus partito come focolaio da Wuhan nella provincia dell’Hubei in Cina

Misure normative di contrasto all’emergenza Covid-19

In tale prospettiva è possibile osservare come alcune disposizioni siano state già emanate con il decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, che, all’art. 95, prevede per le federazioni sportive nazionali, gli enti di promozione sportiva, le società e associazioni sportive, professionistiche e dilettantistiche, la sospensione (fino al 31 maggio 2020) dei termini «per il pagamento dei canoni di locazione e concessori relativi all’affidamento di impianti sportivi pubblici dello Stato e degli enti territoriali» (al momento, tuttavia, va segnalato, che la medesima norma, al comma successivo, prevede che «iversamenti dei predetti canoni sono effettuati, senza applicazione di sanzioni ed interessi, in un’unica soluzione entro il 30 giugno 2020 o mediante rateizzazione fino a un massimo di 5 rate mensili di pari importo a decorrere dal mese di giugno 2020»: siffatta breve e mera sospensione dei pagamenti di cui trattasi potrebbe, dunque, rilevarsi insufficiente, anche attesa la prosecuzione dell’emergenza sanitaria con la correlata inevitabile stasi delle attività sportive).

Il successivo art. 96 ha, poi, previsto un fondo per la copertura delle indennità perdute dai collaboratori sportivi nel periodo di emergenza covid-19.

Il decreto legge 8 aprile 2020, n. 23, prevede, all’art. 14, che il fondo per la impiantistica sportiva possa «prestare garanzia, fino al 31 dicembre 2020, sui finanziamenti erogati dall’Istituto per il credito sportivo o da altro istituto bancario per le esigenze di liquidità delle federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate, degli enti di promozione sportiva, delle associazioni e della società sportive dilettantistiche, iscritte al registro di cui all’art. 5, comma 2, lett. c), del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242».

La Camera dei Deputati ha approvato un ordine del giorno che impegna il Governo a destinare allo sport di base i risparmi di spesa delle olimpiadi “Milano-Cortina”. Altre iniziative legislative sono in cantiere e numerose sono le proposte di aiuto e sostegno allo sport in discussione presso i competenti organi istituzionali, sportivi e politici. È evidente, del resto, che le anzidette ragioni di presidio della salute e del benessere dei ragazzi e la connotazione socio-culturale e didattico-educativa dello sport nel nostro sistema consiglia e, anzi, impone di ricercare utili soluzioni per sostenere efficacemente lo sport dilettantistico di ogni forma, ordine e grado in questo difficile passaggio, che ne mette a rischio la sua connotazione di fondo e la sua capillare distribuzione territoriale.

In questo ambito ci piace sottolineare come, ad esempio, proprio qualche giorno fa Piero Sandulli, in uno dei suoi consueti pregevoli scritti, suggeriva, “considerata la funzione di prevenzione e terapeutica dello sport”, di verificare “la possibilità di attingere ai fondi, messi a disposizione dell’Unione Europea, con il MES (purché privi di condizionamenti ed a lunga scadenza) per la sanità, anche indiretta, quale quella garantita dallo sport”.

Sport, calcio e … “ripartenza”

Le ragioni già sopra, in sintesi, espresse conducono alla conclusione della opportunità di una rapida utile ripresa delle attività sportive nel loro complesso considerate (dallo sport professionistico a quello dilettantistico, dalle attività amatoriali alla pratica sportiva nelle palestre). In questo senso, dovranno essere tecnici, medici e virologi a dettare le regole che devono essere applicate per una ripresa in sicurezza, tenuto anche conto che ciascuna disciplina sportiva ha un diverso indice di rischio.

Nel contempo, non nutriamo dubbio alcuno che la classe politica abbia il diritto-dovere di stabilire tempi ed ambiti della ripresa sportiva, svolgendo la funzione (alla stessa propria) di equo contemperamento dei molteplici interessi “in campo”, nella prospettiva della conciliazione dell’interesse (primario) alla salute con gli altri interessi “in gioco”, anch’essi di rilievo costituzionale (libertà di associazione, libertà di impresa, tra gli altri). Tutto ciò, avendo ben presente quali siano le esigenze economiche del Paese ed il rischio di perdite per il comparto sportivo stimate in circa ottocento milioni di euro (di cui, circa 500 legati all’emergenza covid-19 ed il residuo che si ipotizza come disavanzo che si sarebbe comunque verificato).

La funzione di legittimo esercizio politico-governativo, ci auguriamo, venga esercitata tenendo anche presente l’autonomia riconosciuta all’ordinamento giuridico sportivo. Infatti, non occorre mai dimenticare che quello sportivo è un ordinamento autonomo «che costituisce l’articolazione italiana di un più ampio ordinamento autonomo avente una dimensione internazionale e che esso risponde ad una struttura organizzativa extrastatale riconosciuta dall’ordinamento della Repubblica» e che, «anche prescindendo dalla dimensione internazionale del fenomeno, deve sottolinearsi che l’autonomia dell’ordinamento sportivo trova ampia tutela negli artt. 2 e 18 della Costituzione, dato che non può porsi in dubbio che le associazioni sportive siano tra le più diffuse “formazioni sociali dove [l’uomo] svolge la sua personalità” e che debba essere riconosciuto a tutti il diritto di associarsi liberamente per finalità sportive» (sono parole, queste, dei giudici costituzionali: cfr. sentenza Corte Costituzionale n. 49 del 2011).

Questa indiscutibile sfera di autonomia del mondo dello sport dovrà, tuttavia, nell’attuale fase di emergenza sanitaria, essere inevitabilmente contemperata con le ragioni di sicurezza ed ordine pubblico.

Del pari indiscusso è l’interesse che ciascuno di noi, quale tifoso o semplice appassionato per questa o quella disciplina sportiva, nutre per la ripresa delle attività sportive, così come è implicita la già ricordata funzione anche sociale insita nelle stesse. Ed in questo contesto non vi è dubbio che il calcio (e la sua massima serie) rivestano una particolare vis attractiva nel panorama delle discipline agonistiche, non fosse altro per i milioni di sostenitori e di appassionati interessati alle vicende legate all’italico pallone.

Tutti, quindi, auspichiamo una pronta ripartenza, basata su fondamenti di sicurezza, e, in tale più generale contesto, nella ripresa del campionato di vertice, volano e traino (finanziario) dell’intero movimento calcistico e sportivo. “Lavoriamo per far ripartire il calcio in sicurezza, non per farlo ripartire e basta”, così si è espresso il presidente della FIGC Gabriele Gravina, sperando in una ripresa “in tempi ragionevoli, di un settore molto importante per il Paese, sia sotto il piano sportivo che dal punto di vista produttivo e occupazionale”.

La “palla” per la ripresa della “partita” (per restare al gergo calcistico) è oggi nelle mani del Governo (anche se meglio sarebbe, forse, dire che dipende di fatto dall’evolversi della pandemia e dall’andamento della diffusione del virus, con i connessi risvolti sulla situazione sanitaria), che deciderà ascoltando, di certo, le esigenze settoriali rappresentate dai dirigenti dello sport e di quelli del calcio, in particolare.

Il rigido protocollo sanitario predisposto dal comitato medico – scientifico della Federcalcio e, oggi, in fase di revisione ed integrazione all’esito del confronto con i tecnici del Governo, è evidente, non può sic et simpliciter essere applicato a tutte le categorie inferiori. Non certo ai dilettanti, ma neppure, forse, ai professionisti della Lega Pro: sono, infatti, necessarie rilevanti capacità finanziarie ed organizzative, oltre che adeguati spazi ricettivi, sia per gli allenamenti, sia per la logistica, non sempre (o per tutti) disponibili.

Senza contare che il calciatore che gioca per diletto non può manifestare una “propensione al rischio” eguale a chi quel gioco lo svolge per professione, potendo anche confidare su controlli quotidiani ed ambienti sanificati.

In attesa di comunicazioni ufficiali e definitive da parte di coloro sui quali incombe l’onere e la responsabilità della difficile decisione potrebbe, intanto, cogliersi l’occasione per porre mano ad alcune riforme di fondo del sistema federale calcistico. Ne indichiamo, per importanza e per ragioni di sintesi, due: revisione dei pesi elettorali ed aggiornamento della composizione del Consiglio federale.

Agli addetti ai lavori è sicuramente noto come, quanto alla composizione del Consiglio federale, ai sensi dell’art. 20, comma 2, dello Statuto della FIGC, «i voti spettanti ai Delegati della LND devono rappresentare il 34%, i voti spettanti ai Delegati delle Leghe professionistiche devono rappresentare complessivamente il 34%, con ripartizione tra le diverse Leghe professionistiche fissata in base a criteri rappresentativi stabiliti dal Consiglio federale a maggioranza qualificata, i voti spettanti ai Delegati atleti devono rappresentare il 20%, i voti spettanti ai Delegati tecnici devono rappresentare il 10%, i voti spettanti ai Delegati degli ufficiali di gara devono rappresentare il 2%».

In particolare, poi, in base all’attuale ripartizione di voti spettanti alle società professionistiche, la Lega serie A esprime (solo) il 12% dei voti, mentre alla Lega Pro spetta il 17% (il restante 5% alla Lega B). Appare evidente che i suddetti “pesi elettorali” trovavano fondamento e giustificazione in una ben diversa situazione della serie C, quando cioè, alla stessa appartenevano 100 società (contro le sessanta di oggi e, peraltro, a fronte di una esigenza, sentita da più parti, di profonda riorganizzazione anche dell’attuale organico: la serie, per come concepita, non appare capace di assorbire, nell’attuale contesto sociale ed economico del Paese, un numero così elevato di società professionistiche). I “pesi”, dunque, andrebbero riequilibrati a favore delle Leghe di Serie A e B (la misura concreta dovrebbe essere auspicabilmente definita all’esito di una proficua discussione tra le varie componenti federali), ferma restando la quota assegnata al calcio di base. Soprattutto la “B” (guidata dall’avvocato Mauro Balata, che presenta un peso economico nettamente superiore alla “C”, nonostante possa contare solo 1/3 delle società della 3a divisione, meriterebbe di salire fino al 10%.

Per l’effetto, andrebbero ridisegnate le rappresentanze delle varie componenti federali in seno al Consiglio, valutando anche la possibilità di integrazione dello stesso con innesti “esterni”, dotati di acclarata competenza e/o esperienza in materia.

PAOLO DAL PINO – presidente Lega calcio Serie A

La ripresa del campionato

Tornando alla ripresa del campionato, i vertici di Lega A e Federcalcio, anche per salvaguardare le competizioni della stagione sportiva 2020/21 ed evitare ogni rischio connesso a richieste di rideterminazione delle ingenti risorse legate ai diritti televisivi, stanno lavorando per trovare soluzioni concrete e sostenibili alla crisi generata dalla diffusione del covid-19, comprese quelle necessarie, appunto, per il completamento della stagione agonistica.

Provando ad ipotizzare una possibile prosecuzione del campionato serie A occorre, anzitutto, una delibera per posticipare (ad agosto?) la fine della stagione sportiva 2019/2020 (come noto, infatti, «la stagione sportiva federale ha inizio il 1° luglio e termina il 30 giugno dell’anno successivo»: così recita l’art. 49 delle Norme organizzative interne federali). Una tale delibera federale dovrà, inevitabilmente, essere adottata in sintonia con le “raccomandazioni” delle istituzioni calcistiche FIFA e UEFA.

Occorre, poi, pensare come, in che forma e con quali modalità prorogare i contratti – tra calciatori e società – in scadenza e che il prossimo 30 giugno cesseranno di avere effetti giuridici, salvo proroga, appunto, dei reciproci impegni negoziali, laddove la stagione agonistica prosegua oltre la predetta prefissata data.

Questi solo alcuni dei problemi da affrontare nel caso si decida di proseguire e completare il campionato, in ordine ai quali il confronto quotidiano, seppur acceso, appare fervido e tendenzialmente costruttivo da parte delle società tutte che militano nella massima serie e che, da ultimo, sembrano aver ritrovato una sostanziale unità di intenti, pur nella diversità di punti di vista e di partenza. Del resto, si tratta, con ogni evidenza, di un problema complesso, la cui soluzione – per definizione – non può essere semplice e richiede di allontanarsi da rigide posizioni estreme, agevolando, così, una equilibrata composizione di sintesi.

In questo contesto, peraltro, annotiamo come tra le tante autorevoli voci della massima serie intervenute sul dibattito in corso, il presidente Saverio Sticchi Damiani (Lecce) si stia facendo apprezzare sempre più, non solo per la sua indiscussa specifica competenza, ma soprattutto per il suo approccio equilibrato e costruttivo alla risoluzione dei problemi sul tappeto, dimostrando saggezza, pur a dispetto della sua ancora giovane età, oltre che una visione di sistema.

Da condividere l’invito, espresso da diversi presidenti, alla ripresa e conclusione del campionato, ma solo qualora le condizioni sanitarie (e del Paese) lo consentano in sicurezza. Riteniamo, però, che condictio sine qua non per una utile ripresa del campionato debba essere considerata anche l’assicurazione in ordine alla regolare prosecuzione e conclusione del campionato.

Occorre, dunque, sperare e lavorare per una ripresa del campionato, per le tante ragioni che qui, seppure in rapida sintesi, si è cercato di riassumere. Del resto, una effettiva ripresa dell’attività agonistica del calcio di vertice significherebbe che nel Paese ci sono le condizioni per una ripartenza della complessiva attività economica (e presto, speriamo, anche di quella sociale).

I calciatori e la gran parte delle società hanno voglia di riprendere la normale quotidianità sportiva e tornare a confrontarsi con gli avversari sul campo, mettendo in gioco le proprie abilità tecniche ed agonistiche, ma occorre un comune sentimento di cautela e prudenza che scongiuri il rischio di errori che possano nuocere alla salute di tutti.

Serie A 2019/20 | Sampdoria-Juventus
Stadio Luigi Ferraris – Tribuna: lounge

La sorte dei campionati e, segnatamente, di quello di serie A.

Ma se la ripresa del campionato (o il completamento del calendario) non sarà possibile? Quid iuris?

Evidente che, a quel punto, ogni società avrebbe interesse ad una data soluzione piuttosto che un’altra.

Qui, non essendo interessati ad un dato predefinito esito, proviamo ad immaginare qualche possibile scenario, vagliandone (per quanto possibile e pur ovviamente nella connessa inevitabile alea di ogni procedimento) la sua “tenuta” giudiziaria, muovendo dalla ineliminabile premessa che non c’è, evidentemente, una soluzione che soddisfi tutti i legittimi interessi in gioco e le variegate (per certi versi, contrapposte) esigenze delle diverse società coinvolte.

Premettiamo che la disamina che segue è limitata al torneo di serie A (e, quindi, di riflesso, a quello di serie B, parte alta classifica), perché la situazione delle categorie di serie D e Lega Pro appare alquanto diversa e merita, dunque, un separato, specifico, approfondimento. Si aggiunga che, anche alla luce della concreta effettiva situazione, quantomeno, come registrata dai media, può anche presumersi o, comunque, non escludersi l’adozione di meccanismi tali da non pregiudicare gli interessi di alcuno (i.e. promozioni e retrocessioni).

Nella seguente breve disamina di ciò che potrebbe accadere nell’ipotesi in cui non fosse possibile la ripresa dei campionati (o, almeno, di quello di serie A) proviamo ad ipotizzare i possibili scenari, su alcuni dei quali la discussione, da parte di addetti ai lavori e società interessate, è aperta da tempo.

Tra le soluzioni sul tappeto, quelle dell’annullamento del campionato e della cristallizzazione della classifica. Entrambe hanno pregi e scontano difetti.

La prima (annullamento del campionato), forse, è la più giusta, anche perché quella che corrisponde maggiormente alla realtà delle cose, considerato che il campionato, non conclusosi (anzi, lontano ancora dal concludersi), non può essere considerato regolare. Un provvedimento federale in tal senso è, quindi, quello forse destinato ad una maggiore probabilità di tenuta nel caso (non improbabile) in cui la questione fosse portata da qualche società all’attenzione della giustizia amministrativa.

Del resto, non può trascurarsi di considerare che ogni società si è preparata, in senso agonistico e tecnico, per raggiungere un dato risultato al termine della disputa di un intero campionato, ossia dopo aver giocato tutte le partite previste dal torneo e non già solo poco più della metà delle stesse.

Possono esservi società che hanno condotto una preparazione atletica tale da evitare un brusco calo fisico nella parte finale della competizione e che, dunque, pagherebbero, in ipotesi di “cristallizzazione” della classifica, un prezzo ingiusto. Analogamente dicasi per quelle società che hanno operato cospicui investimenti nel mercato di riparazione, che si vedrebbero doppiamente penalizzate (in ipotesi, costo inutile dell’investimento e mancato accesso alle competizioni europee o retrocessione, a seconda della posizione in classifica) laddove si impedisse alle stesse di provare a mettere a frutto sul campo l’impegno finanziario assunto.

Una immagine tratta dal web (fonte: TheStadiumBusiness)

In altri termini, una classifica (parziale) di un campionato che non è e non può considerarsi regolare, non può dare verdetti di alcun tipo, tantomeno sancire la retrocessione di società che hanno effettuato investimenti e coinvolto la passione di tanti sostenitori, se non di intere città.

Del resto, nella individuazione della soluzione capace di provocare meno danni e/o ingiustizie occorre tenere in debita considerazione anche le prospettive future del calcio, salvaguardando il sistema e la tenuta dello stesso. Disperdere investimenti di società con bilanci sani e con un indebitamento sostenibile e/o disincentivare assetti proprietari che hanno manifestato la volontà di investire in questo giuoco non va nella direzione del perseguimento dell’interesse del sistema calcio, nel suo complesso considerato, e non può neppure essere interesse di alcuno.

Certo, la soluzione dell’annullamento dei campionati scontenta chi era in lotta per lo scudetto ed i club di serie B interessati alla promozione nella serie superiore.

Si potrebbe, allora, in subordine, pensare ad una sorta di annullamento “attenuato” del campionato: titolo assegnato all’esito di uno scontro diretto tra le prime due della classifica (gara secca, o con andata a ritorno, magari da programmare a luglio, così da ridurre al minimo i rischi sanitari di tutti), nessuna retrocessione, due promosse dalla serie B, con conseguente torneo a 22 squadre per la (sola) stagione sportiva 2020/21 (un precedente in tal senso si è già verificato qualche anno fa, nella stagione sportiva 2003/2004).

In alternativa, la soluzione della “cristallizzazione” della classifica avrebbe il pregio di premiare i risultati sin qui acquisiti sul campo: assegnazione dello scudetto, accesso alle competizioni europee e retrocessioni sulla base della classifica maturata ad oggi. Siffatto “pregio”, tuttavia, è al tempo stesso un … “difetto”. E si, perché varrebbe anche in questa ipotesi quanto sopra osservato: se cioè, una società ha impostato la propria stagione contando su una maggiore “freschezza” agonistica nel finale di torneo, con la correlata possibilità di rastrellare più punti delle concorrenti di pari obiettivo di classifica? E cosa dire a quelle società che hanno fatto, a gennaio, corposi investimenti che si rivelerebbero del tutto improduttivi? La classifica non sarebbe veritiera e l’ingiustizia apparirebbe evidente.

Questa scelta, per contro, renderebbe, di certo, meno problematico il problema dell’assegnazione dello scudetto: assegnazione del titolo a chi è oggi in testa, oppure, considerato che, a quanto si legge sui media, sembra configurarsi una sorta di gentlemen’s agreement tre le interessate in ordine alla attribuzione del titolo non “a tavolino”, è possibile, ad esempio, ipotizzare una gara a due o un mini-torneo tra le prime in classifica, per stabilire chi meriti il tricolore. La diversa soluzione, che sembra essere stata adottata in Olanda (mancata assegnazione del titolo) non convince. E gli stessi cugini di oltralpe sembrano andare in altra direzione (assegnazione titolo).

Laddove si optasse per la “cristallizzazione” occorrerebbe, poi, decidere a quale giornata fermare (appunto, cristallizzare) la classifica. Sotto siffatto profilo, infatti, occorre considerare che la 25° giornata di campionato non si è completata, mentre sono stati effettuati i recuperi della 26° giornata, ma non anche, appunto, quelli della precedente. Pertanto, l’ultima giornata di campionato regolarmente completata ed alla quale si dovrebbe cristallizzare la classifica è quella n. 24, non essendo possibile, per diritto, ma prima ancora per logica, tenere conto di risultati ottenuti da alcune società in una giornata di campionato che non è stata da tutti disputata.

Fatta questa scelta, fermo quanto sopra detto quanto allo scudetto, verrebbero automaticamente determinate le squadre (da comunicare all’UEFA) che accedono alla Champions league ed alla Europa league e quelle che retrocedono alla serie inferiore.

Sotto quest’ultimo profilo, tuttavia, sembra dettata da maggior buon senso, oltre che basata su un più solido sostegno logico-giuridico, l’ipotesi della retrocessione dalla serie A alla cadetteria di sole due società (anziché tre), con correlata promozione (dalla serie B), dunque, di soli due club (anziché tre).

È, questa, la soluzione cui sembra avviata la Lega francese, che, in Italia, troverebbe anche sostegno nella mancata acquisizione di un diritto alla promozione (in difetto di disputa e vittoria dei play off) dei clubs di serie B in posizione di classifica successiva alla seconda. Queste ultime, infatti, potrebbero vantare solo una mera chance, ma non un vero e proprio diritto (soggettivo perfetto) alla promozione (tantomeno, diretta) alla massima serie. Chance perduta (sempre che, peraltro, all’esito del torneo regolare le società interessate si fossero, poi, venute effettivamente a trovare in posizione utile per l’accesso ai play off) non per effetto di una delibera federale, bensì per causa di forza maggiore, attesa la impossibilità – derivante dall’emergenza pandemica in corso – di prosecuzione del campionato e di conseguente disputa dei play off.

Insomma, la mancata disputa dei playoff e la conseguente mancata individuazione del terzo club che acquisisce il diritto alla promozione, fa propendere verso la preferibile soluzione di limitare a sole due le retrocessioni dalla serie A.

È vero, come sottolineato da alcuni giuristi, che le “regole del gioco” non possono essere cambiate in corsa. Ma qui non è in discussione l’an (se cambiare la regola), bensì il quomodo (ossia come cambiarla). Una modifica di una qualche regola, cioè, appare necessaria, inevitabile.

Infatti, la regola della retrocessione dalla serie A di tre clubs (con conseguente promozione nel massimo campionato di tre società dalla serie B) appare recessiva rispetto a quella secondo cui le società retrocedono (o vengono promosse) quando si vengano a trovare agli ultimi tre posti in classifica (o nei primi tre, all’esito degli eventuali playoff, per le promozioni dalla B), al termine di un campionato (completato e) regolare. Perché è questa la regola principale e lo stesso obiettivo istituzionale primo di ogni Federazione: assicurare la regolarità delle competizioni dalla medesima organizzate. Appare, in altri termini, prioritaria l’esigenza di non derogare al merito sportivo e di seguire le sorti decretate dai risultati maturati (ma solo a conclusione dell’intera stagione) sul campo.

L’assunto giuridico della impossibilità del cambio di regola in corsa (per giustificare che devono traslocare, dalla serie B alla serie A, e viceversa) le tre originariamente ed ordinariamente previste società non regge, dunque, ad un più approfondito e sereno esame della complessiva fattispecie, alla luce degli effetti prodotti dall’emergenza sanitaria in atto. E, del resto, la Federcalcio, già per la scorsa stagione sportiva, proprio per la Serie B, ha apportato una deroga sul relativo ordinamento (v. Comunicato ufficiale n. 40/A del 30 luglio 2019) di cui all’art. 51 delle norme organizzative interne federali.

 

  • avvocato ed esperto di diritto sportivo

 

 

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