Esclusiva/Calcioscommesse – Il ‘teorema’ Gervasoni e il caso del portiere Alberto Fontana
Reo di essere stato convocato per una partita, per certi versi inutile, come Chievo Verona-Novara del 30 novembre 2010. Non un match di cartello di serie A, ma una gara secca di Coppa Italia (finita per tre reti a zero per i gialloblù), più difficile da vincere che da perdere.
E’, però, una di quelle gare che Carlo Gervasoni ritiene possa aver generato per alcuni giocatori del Novara “infedeli” una somma vicina ai 150 mila euro. Eppure per il procuratore Roberto De Martino, Gervasoni dice sempre la verità, non si sbaglia mai (come nel caso di Rijat Shala, non a caso poi assolto con formula piena nonostante le indicazioni opposte dello stesso).
Sporteconomy, come per il calciatore kosovaro Rijat Shala (risultato assolutamente innocente), ha letto con attenzione le carte dell’inchiesta, la difesa d’appello dell’avvocato Davide Gatti, ma, soprattutto, ha voluto sentire, in esclusiva, il portiere Alberto “Jimmy” Fontana.
D: Che partita è stata quel Chievo-Novara del 30 novembre 2010, che l’ha scaraventata in nel nuovo filone di inchiesta?
R: Una partita come tante altre, dove non era poi così impossibile prevedere una vittoria del Chievo, visto che giocavamo con le seconde linee ed io per primo in quel periodo venivo solo utilizzato per le gare di Coppa Italia, sulla base di un turnover naturale, che avviene ciclicamente in ogni club che si rispetti, quale che sia la serie.
D: Cosa ricorda di anomalo di quella gara al Bentegodi?
R: Come fu più volte ricordato dal conduttore de LA7 era un campo ignobile, difficilissimo, lento, per certi versi anche melmoso. Insomma un campo dove non disputare alcuna partita. Eppure giocammo lo stesso.
D: Ma più in generale notò qualche anomalia?
R: No, assolutamente. Il Chievo Verona vinse perchè era più forte e sfruttò al massimo il fattore campo. Non notai nulla di strano nè tra i miei compagni, nè tra i veronesi. Nessuno di noi avrebbe voluto perdere, siamo tutti professionisti, ma ripeto giocavamo con le “seconde linee”. E’ sufficiente leggere i tabellini di quella partita e qualsiasi giudice si accorgerebbe che al massimo c’erano quattro elementi del Novara che avevano fatto più di 4-5 presenze in campionato. Eravamo indubbiamente più deboli rispetto ai nostri avversari. In sintesi, una squadra di riserve e anche piuttosto giovani. Mi sarei meravigliato se avessimo vinto al termine della gara e infatti finì 3-0 per loro.
D: Ha mai avuto contatti con Gervasoni?
R: No, assolutamente. In alcuno modo. Credo di non averlo mai incontrato non solo nell’ambiente calcistico, ma soprattutto in campo. Trovo difficile aver potuto ordire una trama del genere, senza averlo mai sentito direttamente o indirettamente.
D: Ma allora perchè è finito, nonostante tutto, in questo scandalo?
R: All’inizio di questa storia sono rimasto basito, non ci credevo neppure. Poi dopo aver metabolizzato lo shock mi sono fatto una idea personale.
D: Puo’ spiegare meglio cosa intende?
R: Voglio dire che il mio nome emerge solo dopo il terzo interrogatorio di Carlo Gervasoni. Nei primi due non si parla assolutamente della mia persona, poi gradualmente lo stesso inizia a ricordare a pezzi e alla fine, sulla base della tesi del “sentito dire”, emerge il mio nome.
D: Perfetto, ma perchè il suo nome e non quello di un altro?
R: Perchè nel “modus operandi” di Gervasoni e del suo modo di intendere questi business illegali non poteva non esserci la figura del portiere (secondo lui figura centrale nella combine di una partita di calcio). Esce così il nome del sottoscritto, taciuto fino a quel momento. Della figura del portiere, ormai, si puo’ dire tutto e il contrario di tutto, perchè dietro ogni errore si puo’ costruire la tesi del complotto.
D: Gervasoni parla di personaggi equivoci (il cosiddetto “clan degli zingari”) negli alberghi dei rititi nel pre-partita. Ha mai visto quel giorno dei movimenti anomali?
R: L’albergo di Verona scelto dal Novara calcio era un posto dove non c’era solo la nostra squadra, ma diversi manager d’azienda o business men, ma posso garantirle di non aver visto assolutamente nulla che potesse far pensare a una combine e anche il mio compagno Ventola, coinvolto in questa indagine era tranquillissimo. Non ho riscontrato alcun elemento di nervosismo o di particolare freddezza in lui. E’ un giocatore del sud, particolarmente emotivo e me ne sarei accorto se fosse stato nervoso o freddo nei confronti di alcuni di noi.
D: E’ d’accordo che, ormai, nel calcio si muovono personaggi quantomeno “strani”?
R: Non lo posso escludere a priori, ma solo perchè nel calcio girano tanti soldi e forse non c’è un livello culturale eccessivamente elevato. Il calcio è uno sport nazional-popolare.
D: Cosa pensa di Carlo Gervasoni, il teste-chiave di questa indagine?
R: Un testimone “puro” o “diretto” ha un grande valore in una indagine come questa, ma Gervasoni parla troppo spesso per “sentito dire”. E’ semplicemente un pentito. Credo che un pentito abbia un valore nel momento in cui puo’ essere riscontrato o verificato tutto ciò che sa o racconta agli inquirenti. Non mi sembra che sia il caso di Carlo Gervasoni, a partire dalla mia storia.
D: Il “sentito dire” è collegato alla conoscenza di questo pentito con il calciatore del Chiasso, Almir Senan Gegić attualmente latitante. Se si consegnasse agli inquirenti quale sarebbe il suo primo pensiero?
R: Sarei strafelice, perchè sarebbe il mio migliore alleato, perchè mi potrebbe scagionare, visto che non sono in alcun modo coinvolto in questa ipotetica combine.
D: Come sta passando queste ultime ore pre-sentenza d’appello?
R: In modo molto normale. Sto prestando la mia opera all’interno di una scuola calcio per bambini nella provincia di Cuneo. E’ una attività che svolgo ogni anno e non è questa storia che mi può o deve distruggere la vita.
D: Cosa rimarrà di questa storia?
R: Il dolore che provocato nei miei famigliari. Mi creda, non sono affatto contento di quello che sta succedendo ed ero sicuro che sarei stato assolto già in primo grado, ma non ho paura di niente e di nessuno e il prossimo 2 luglio sarò a Roma, perchè credo fermamente in questa nuova commissione e nel lavoro di studio delle singole difese. Non si può essere condannati per un “sentito dire”. Io credo nella giustizia e non può finire così. Sono innocente e lo dimostrerò.
D: E se anche questa volta non risultasse assolto?
R: Proseguirò fino all’ultimo grado di giudizio come qualsiasi persona che si professa innocente.
D: E’ vero che è molto credente?
R: Sì, ma non voglio passare per un “pretino”. Ho sempre pregato fino ad oggi, ma per le cose belle della mia vita. Questa invece non lo è sicuramente. Pregherò dopo il 2 luglio, solo per “ringraziare”, ma è un mio momento personale che non condividerò con nessuno.
D: Ci ha colpito anche il discorso del contratto quinquennale con il Novara, un mese prima di quella partita al Bentegodi?
R: Una partita non si trucca mai e per me non esiste la possibilità di tradire i compagni di gioco, a priori. Figuriamoci di fronte a questa opportunità professionale che mi aiuterebbe a creare un nuovo futuro professionale. Solo un cretino distrugge il proprio futuro.
D: Si ritiene danneggiato?
R: Sì, molto. Non escludo di querelare chi mi ha tirato dentro, senza alcun motivo, in questa storia. E’ vergognoso che sia avvenuto e soprattutto deve farci riflettere sui rischi del cosiddetto “de relato”.
L’impressione che emerge da questa intervista è che Carlo Gervasoni non possa essere considerato come il teste chiave dell’indagine, a meno che tutto ciò che ha raccontato non sia verificabile punto per punto da parte degli inquirenti. Al momento ci sono troppi “sentito dire” e non si può condannare sui ricordi, neppure troppo freschi, di questo soggetto. Perchè il rischio di rovinare la vita di un potenziale innocente, come nel caso di Rijat Shala, non vale l’intera indagine in esame. Su questo speriamo che la commissione d’appello ragioni e confermi le condanne solo per quei casi incontrovertibili. Ma non lo è sicuramente quello di Alberto Fontana.
(di Marcel Vulpis) Si entra nel vivo dello scandalo calcioscommesse con l’appello del 2 luglio prossimo a Roma, dove sfileranno, nuovamente in aula, una serie di calciatori delle massime serie professionistiche che non sono riusciti a dimostrare la loro completa innocenza. Tra questi spicca il caso di Alberto Fontana, portiere del Novara calcio, finito nel tritacarne delle rivelazioni di Carlo Gervasoni, il “pentito” più ascoltato dalla procura di Cremona (guidata da Roberto De Martino).
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