Euro2016: ma Italia-Germania è sempre nel ricordo dell’Azteca
(di Massimiliano Morelli)* – Neanche a dirlo, contro i panzer la partita delle partite resta quella dell’Azteca, Mexico City e data del 17 giugno 1970 tatuata sul cuore d’una nazione che rimase sveglia per sventolare il Tricolore davanti a tv in bianco e nero, senza telecomando ma con l’immancabile soprammobile poggiato sopra.
In tante case, su quelle televisioni c’era un centrino fatto a mano e sopra una gondola incapace di dondolare: in altre, campeggiava lo statico carretto siciliano, omaggio dei parenti che vivono in Trinacria.
L’Italia? Una nazione calcisticamente campione d’Europa ma politicamente vittima – ma ancora non lo sapeva nessuno; o se qualcuno lo sapeva, non ce l’ha detto in tempo – degli sconquassi del Sessantotto, che quelli li paghiamo ancora oggi, ma questa è un’altra storia.
Italia-Germania è la voce di Nando Martellini che urla “non ringrazieremo mai abbastanza i nostri ragazzi” al termine d’una battaglia epica, immortalata da una targa apposta all’ingresso dello stadio messicano dove compare la scritta, indelebile, che omaggia la partita del secolo.
Quattro a tre, anzi, come dicono i romantici del football, quelli che vissero quella storica notte, “ItaliaGermaniaquattroatre”, tutto attaccato e senza quei maledetti hastag che adesso vengono trascritti perfino sulle partecipazioni di nozze.
Boninsegna-gol, poi passa un’eternità e pareggia Schnellinger, milanista dell’epoca che pare Bruto mentre accoltella Giulio Cesare, perché tutti potevano costringere gli italiani all’insonnia ma non lui, che giocava da noi. I supplementari in Italia forse neanche sapevamo cosa fossero, lo scopriamo per forza di cose in presa diretta mentre l’immagine sbiadita a volte si sofferma troppo sul pubblico, minus valenza d’una regia povera, d’altri tempi. Il braccio offeso di Beckenbauer viene infiocchettato da un fazzoletto che gli cinge il collo mentre quel furetto di Gerd Muller raddoppia e i nostri osservano la palla che lemme-lemme oltrepassa la linea di porta. E tutto pare svanire fin quando nella notte dell’irrealtà Burgnich – terzino che a fine carriera conterà dopo vent’anni di serie A sei reti in 495 partite – s’inventa centrattacco e uccella il portiere tedesco per un pareggio che sembra miracoloso.
Sei minuti e tocca a Gigi Riva, il re di Sardegna, griffare il 3-2. Poi Muller, basso e tarchiato, svetta di testa e produce il terzo gol dei suoi, mentre Rivera fa passare la palla fra il palo e la sua coscia, Albertosi smoccola che pare l’odierno Buffon e stanno tutti di nuovo al centro, pronti a ripartire. Altro che tiki-taka, undici passaggi di fila e il golden boy sta dall’altra parte, area tedesca, mentre il suo piede destro da abatino infila la porta di Sepp Maier, mica un “saponetta” qualsiasi. E così, da quella notte arteriosclerotica e irripetibile, i tedeschi sognano la rivincita.
Che non gli è riuscita dodici anni dopo a Madrid, finale mundial conquistata 3-1 con un gol nostro ogni dodici minuti (Rossi, Tardelli Altobelli), compagno Breitner che riduce le distanze quando è ormai tardi e Pertini gongola suli spalti; né a Dortmund dieci anni fa, quando Del Piero e Grosso offrirono spumante italiano perfino a quella ragazza con le gote colorate rosso, nero e giallo in lacrime, istantanea che già stava facendo il giro del mondo mentre Bergomi veniva invitato a fare le valige per andare a Berlino. Sì, davvero ci siamo fatti mancare nulla in questa vita…E adesso il nuovo capitolo di questa storia infinita è Italia-Germania ad Euro2016 all’interno del nuovo stadio di Bordeaux. Gli azzurri hanno paragonato la Germania ad un Everest da scalare. Il paragone ci sta come la notizia che proprio l’Everest è stato scalato negli anni da molti appassionati di montagna, anche se dopo fatiche sovrumane. Ma di fronte alla tenacia e alla determinazione non c’è Germania (o Everest) che tenga. O almeno così speriamo.
- giornalista sportivo e scrittore romano
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