FAIR PLAY FINANZIARIO: UNO STRUMENTO CHE FA ANCORA MOLTO DISCUTERE
(di Daniele Rizzi) – L’Uefa nel 2010 ha varato misure restrittive per regolamentare il rapporto tra entrate e uscite dei club (con impatto reale a partire dal 2012) con l’obiettivo di garantire alle società di calcio sostenibilità e continuità nel medio-lungo periodo.
Il punto centrale prevedeva il raggiungimento del pareggio di bilancio per tutti i club, con il fine ultimo legato all’autofinanziamento societario. Nel 2008 il 47% delle società europee riportava perdite rilevanti nei propri conti, al punto che i 718 club di prima divisione del calcio europeo generavano circa 1,7 miliardi di euro di disavanzo negativo. Nel 2017, il risultato aggregato di questi stessi club europei è diventato positivo, con i profitti che si sono attestati intorno ai 600 milioni di euro.
Tutto perfetto visto così, ma leggendo tra le righe, ci si accorge di come alcune lacune abbiano permeato diversi criteri, quali lo stratagemma dei “finti prestiti” per occultare l’acquisto di un giocatore, oppure la mancanza di regolamentazioni per i trasferimenti dei calciatori tra club riconducibili alla stessa “famiglia”.
Dal 2018, è stata così introdotta una riforma che obbliga i club ad indicare nei bilanci i benefit contrattualmente concordati con dipendenti e calciatori, così come riportare contabilizzati i ricavi provenienti dalla vendita dei biglietti, dalle sponsorizzazioni, dai diritti televisivi e da qualsiasi altro introito commerciale. Il tutto, a supporto delle lacune di trasparenza emerse nel passato.
I club sono stati inoltre chiamati ad indicare le modalità con cui hanno determinato il valore dei trasferimenti dei propri calciatori, iscrivendo a bilancio il ricavo o il costo derivante dalla cessione o dall’acquisto di un giocatore, distinguendo tra trasferimenti a titolo definitivo e trasferimenti a titolo temporaneo, introducendo così il delicato sistema delle “plusvalenze”.
E qui emerge un ulteriore neo, dettato dal fatto che non sempre quel “valore” (la plusvalenza) iscritto a bilancio, corrisponde effettivamente ad un introito in denaro. Molti calciatori, talvolta, vengono di fatto “scambiati” tra loro dai rispettivi club senza dar vita ad una reale uscita monetaria, facendo apparire lo scambio come una mera operazione volta a “sistemare il bilancio”.
Benefici, questi, consentiti dal FFP, ma che allo stesso tempo hanno scatenato notevoli polemiche. Due club su tutti, Manchester City e PSG, negli anni sono stati soggetti a indagini per presunte violazioni dei parametri finanziari imposti dall’Uefa. A nulla è servito nel 2014 multare le stesse società per 60 milioni di euro, e punirle con il ridimensionamento delle rose per le competizioni europee della stagione successiva.
Anzi, proprio il Manchester City ha espresso nuovi “metodi creativi” per aggirare le regolamentazioni imposte dall’Uefa (fonte Der Spiegel). Il quotidiano racconta come il club inglese abbia ridotto artificialmente i costi di gestione attraverso finanziamenti che vanno contro le regole.
Se questo non dovesse bastare, il City, attraverso la società controllante “City Football Group”, ha poi investito sull’acquisto di club in tutto il mondo (Melbourne City in Australia, New York City in Mls, Sichuan Jiuniu in Cina) e sulla costruzione di nuove infrastrutture, ovvero costi che non incidono nelle valutazioni del FFP. I ricavi derivanti da queste gestioni, però, contano non poco per sistemare il bilancio.
Se esistono dunque delle meccaniche legali e legalizzate che permettono a certe società di superare certi limiti di spesa, o di aumentare il fatturato strutturale, come può essere colmato il gap con gli altri competitor?
Il Psg, ad esempio, in una sola sessione di mercato, nell’estate del 2018, ha completato i due trasferimenti più onerosi della storia del calcio (Neymar e Mbappé) per una cifra vicina ai 400 milioni di euro. Il club francese ha sostenuto l’investimento utilizzando un’altra istituzione al limite del regolamento, il prestito con diritto di riscatto, per portare Mbappé nella capitale parigina senza incappare nelle restrizioni del FFP.
Insomma, sembra essere una riedizione in chiave moderna del vecchio detto “fatta la legge, trovato l’inganno”. In questo caso, però, si tratta di veri e propri artifici di bilancio, tra l’altro perfettamente regolari, per aggirare dei parametri che, almeno inizialmente, promettevano di essere molto più stringenti.
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