Ghiretti (SG Plus): Anche nello Sport è il futuro che pilota il presente…
(di Alberto Morici) – Roberto Ghiretti (nella foto in primo piano) Presidente e AD di SG Plus (tra i più importanti player nell’advisoring in ambito sportivo), 20 anni fa inaugurava a Parma lo “Studio Ghiretti” (oggi SG Plus), presentadosi, sin dalla sua nascita, come una delle realtà di consulenza più moderne e innovative nel mercato dello sport-business tricolore. Sporteconomy lo ha intervistato per tracciare, insieme al dirigente emiliano, un vero e proprio percorso di storytelling tra passato, presente e futuro.
D: Ghiretti, a distanza di questi primi 20 anni di attività, come è cambiato il mercato del marketing sportivo?
R: In Italia è cambiato profondamente, soprattutto negli ultimi 30. Ho lavorato, a livello dirigenziale, a partire dalla stagione ‘82/’83, con una storia ed una passione personale mai sopita per il mondo della pallavolo. Già a 27 anni, come giovane dirigente di volley, avevo vinto il mio primo scudetto. Proprio in quel periodo ho iniziato a studiare e a lavorare nel marketing sportivo. Un percorso non semplice perché arrivavo da studi profondamente umanistici. Negli anni ’70 tra l’altro sono nate le prime facoltà del marketing nel nostro Paese. Da allora è ovvio che di acqua sotto i ponti ne è passata. Allora contava la visibilità del marchio e poco di più, ma, già all’epoca, io ho avuto la fortuna di collaborare sia direttamente, sia nel ruolo di giovane manager della Lega volley. Molti anni fa si cercava di costruire, nel mondo dello sport, principalmente prodotti integrati e/o integrabili nel loro percorso di sviluppo.
Ripeto di acqua è passata sotto i ponti. E’cambiato tanto ma non è cambiato tutto: mi spiego meglio. Oggi quello che conta è la diversificazione del prodotto e un’organizzazione sportiva deve essere in grado di poterlo fare. All’epoca contava la visibilità del proprio brand, oggi conta invece avere un prodotto di marketing che non sia solo un mero contenut9 sportivo. Bisogna infatti investire su percorsi di storytelling, di coinvolgimento (live e in ambito televisivo), facendo sentire il “fan” sempre al centro della scena. Chi riesce ad essere appetibile, prende prima il tempo e il cuore e poi, dopo, sfrutta al meglio il business. Mi ricordo, proprio 20 anni fa, all’inizio, venne a trovarmi il direttore marketing del NBA e ci raccontò alcuni aspetti del lavoro negli States; tra questi ci fu una frase che mi colpì particolarmente: “Una mano al cuore, una mano al portafoglio”. Nel senso che è necessario diversificare l’offerta: i tifosi facciamoli sentire protagonisti, perchè lavoriamo per loro e magari, un giorno, riusciremo a avvicinarli, poi a fidelizzarli, infine a farli sentire partecipi. Così saremo anche in grado di chieder loro di pagare, ma soprattutto prima ancora dei soldi, dobbiamo chiedere il loro “tempo” perché è il bene più prezioso. Questi concetti li ho imparati per strada, non ho fatto studi specifici sull’argomento. Ai miei tempi non esisteva il settore dei Master in Marketing e Management dello Sport; il primo è stato il corso ideato a San Marino, ben 26 anni fa, da Marco Brunelli (oggi Segretario Generale della FIGC), iniziammo ad investivi, perché, in Italia, non ci si poteva iscrivere ancora ad un master in sport marketing. Poi a questo ci pensò il professor Sergio Cherubini, che, appunto, alll’Università di Tor Vergata, lanciò la prima edizione di un master specialistico.
Oggi formazione e investimenti sono la normalità nel mondo dello sport-business. Chi è andato avanti nel settore ha sempre fatto questo e ha spinto sull’acceleratore per entrare in contatto con la fan base di riferimento. Per esempio un tifoso della Premier League fidelizzato, lascia al proprio club, in un ciclo di vita, più di 350mila di sterline. Anche le società sportive italiane dovrebbero riflettere su questi numeri.
Purtroppo, o per fortuna, senza strategie non si va da nessuna parte. Lo sport impone una forte “specializzazione”. Noi sicuramente, come SG Plus, ci siamo specializzati sin dai primi anni di attività sul mercato nazionale. La nostra è una “boutique” ed io all’epoca amavo definirla, una “bottega rinascimentale”, nel senso che ci piace studiare, costruire, pensare, sempre qualcosa che sia comunque innovativo. Del resto poco si crea, molto si mutua e il benchmark è una delle qualità che chiunque opera nel marketing sportivo deve avere nella propria expertise. Anche il mercato dello sport business e della comunicazione sta cambiando radicalmente. Le aziende ormai parlano di ESG Environmental, Social & Government. Ecco lo sport tricolore su questi temi lo vedo al momento un po’ assente”.
D: Ha anticipato la mia successiva domanda, perché quello che volevo chiederle è se, in Italia, facendo un parallelo con altri mercati altrettanto maturi (come Spagna Inghilterra Francia o la stessa Germania) esistano delle criticità, sia dal punto di vista culturale, ma anche sotto il profilo pratico/operativo.
R: Culturalmente il gap c’è ancora. Mi spiego meglio. Esistono attività formative più o meno valide, perché troppe “parole al vento” ancora esistono e ciò ha fatto sì che tutti abbiano raggiunto una coscienza su modelli e percorsi. Poi c’è un gap, invece, sostanziale. Secondo me, ancora oggi, c’è chi cerca di avere molti risultati in breve tempo e possibilmente senza spenderci troppo. Il marketing, da un lato, è un costo, ma non può non essere considerato un costo nell’accezione del termine. Molti clienti puntano spesso a risultati immediati, senza investire tempo e denaro, continuando poi a proporre sempre il solito prodotto (magari un bellissimo prodotto, un pò più raffinato, ma nulla di più). Credo che per molti alla fine sia come andare in trattoria, per arrivare a mangiare sempre una buona pastasciutta. Magari piace, però, poi, non mi viene voglia anche di cose diverse, se il “ristoratore” continua a servire la pastasciutta tutte le volte. Capisci che se c’è qualcuno che la offre in modo più raffinato e più evoluto sicuramente mi può piacere.
D: Si spieghi meglio Ghiretti…
R: Secondo me un prodotto sportivo è necessario quotidianamente e vale per tutte le categorie (grandi e piccole). Ripeto i miei discorsi sono scalabilissimi a tutti i livelli; dall’altra parte bisogna avere coscienza e costruire progettualità. Questi due elementi rappresentano fatica e impegno. Allora ho preferito anch’io, nel mio percorso personale, di puntare decisamente su una bottega rinascimentale, dove si aveva cura estrema per ogni particolare. Forse abbiamo sbagliato poche volte e questo lo dico con orgoglio, perché in un mondo in cui tutti cercano il profitto noi non lo abbiamo cercato. Abbiamo cercato piuttosto solo i buoni bilanci, puntando a far crescere tanti giovani professionisti del marketing sportivo. Quando abbiamo fatto la presentazione deò mio libro (“E’ il futuro che pilota il presente. Il ruolo della società sportiva nel territorio, tra idea e realtà”) a Parma (in Duomo), abbiamo fatto la foto con chi c’era e mancavano una quindicina di amici. Ho visto peròcirca 70 ragazzi che abbiamo formato e che oggi occupano un ruolo nello sport. Questo mi creda mi rende fortemente orgoglioso. Chi fa impresa deve tenere presente anche questo, oggi come domani. A Milano poi abbiamo organizzato un convegno sulla cosiddetta “Generazione Zeta”. Non ce l’ha mica ordinato il dottore. Dovevamo festeggiare i primi 20 anni di attività, ma vi è anche l’impegno di rendicontare, di dare concretezza al pensiero di una vera e propria “centrale culturale”, perché lo sport è cultura e dobbiamo ricordarcelo e ricordarlo quotidianamente (soprattutto all’esterno) a tutti i potenziali stakeholders.
D: Sulla base della tua esperienza, traguardando scenari futuri, da qui ai prossimi 5-10 anni, cosa ti aspetti avverrà nel marketing sportivo tricolore?. Vedi uno sport più all’avanguardia rispetto ad altri, oppure geograficamente più evoluto?
R: Se ci saranno delle evoluzioni dico che il Sud Italia è ancora piuttosto penalizzato per la carenza di investimenti. Più in generale, lo sport italiano è penalizzato da società che non riescono a diversificare il prodotto. Noi come SG Plus stiamo facendo una raccolta di best practice di società regionali e interregionali, quindi non le più forti sotto il profilo dimensionale. Ci siamo concentrati su quelle che sono riuscite a costruire un prodotto che consente di vivere con dignità e di dare risposte ai bisogni della loro comunità di riferimento. Ci dobbiamo pertanto soffermare sulle risposte che si intende dare ai bisogni della fan base/territorio di riferimento. Che sia milioni di persone, migliaia o centinaia, questo è un tema sul quale bisogna riuscire a creare a far emergere questi lunghi 20 annio di attività nello sport. Noi di SG Plus ci crediamo e il sottoscritto, per primò, non smettera mai di crederci fino all’ultimo.
Le idee di Roberto Ghiretti nell’ambito sportivo sono sempre state tante e nel corso del suo percorso lavorativo, grazie anche alla collaborazione di chi gli è stato di fianco, di chi lo ha conosciuto e che in lui ha creduto, hanno preso forma (aziende, sport makers, pubbliche amministrazioni, partners e collaboratori).
L’autore, oggi a Milano, ha voluto ribadire che: “SG Plus è una “bottega rinascimentale”, una fucina di creatività e nuove idee. Il libro è la sintesi di ciò che abbiamo costruito. Le celebrazioni dei 20 anni sono iniziate a Parma, per proseguire a Roma e concludere a Milano, con un convegno sulla “Z GENERATION”. La pandemia non lascerà macerie, perché lo sport ha retto come veicolo sociale importante. Ma devono cambiare le strategie e le attitudini delle società sportive, proprio come cambia lo sport. Le Federazioni devono essere artefici del cambiamento, Se si cambia, si cresce. Risulta quindi necessario stimolare dei patti e delle alleanze educativi. Lo sport è un antidoto a tutti i malesseri sociali: la società deve essere strumento di realizzo delle politiche sociali”.
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