Giorgetti (Sottosegretario di Stato) racconta la sua passione per lo sport e le nuove riforme in arrivo su SkySport
INTERVISTA AL SOTTOSEGRETARIO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO CON DELEGA ALLO SPORT – On. GIANCARLO GIORGETTI
Sky fa il punto della situazione a Palazzo Chigi sul calcio e sullo sport italiano con l’Onorevole Giancarlo Giorgetti, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega allo Sport.
L’intervista di Federico Ferri, direttore di Sky Sport, è andata in onda oggi alle ore 18.30 su Sky Sport 24.
Nuovi passaggi sempre oggi a mezzanotte su Sky Sport Football, subito dopo “Calciomercato – L’Originale”, domani alle 14:30, alle 20:00, alle 22:30 su Sky Sport Serie A e alle 18.30 su Sky Sport Uno.
Link Sky Sport.it: https://sport.sky.it/calcio/serie-a/2019/01/15/giorgetti-intervista-esclusiva-sky-sport.html
D: Onorevole Giorgetti, dal 27 giugno le è stata assegnata anche la delega allo Sport, tra quelle che già aveva come Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Più di sei mesi dopo le chiedo se le è possibile riassumere quale è lo stato di salute dello sport italiano che ha trovato e magari di metterlo in relazione con il resto del Paese. È vero che lo sport ne è lo specchio, o è meglio o peggio?
Innanzitutto lo stato di salute dello sport non dipende dal Governo, ma dipende dalle decine di migliaia di volontari che tengono in piedi il mondo dello sport. E lo sport riflette il Paese, grandi eccellenze e delle carenze. Quello che stiamo cercando di fare come Governo è di creare le condizioni affinché tutti quelli che vogliono fare sport in questo Paese lo possano fare senza appesantimenti burocratici, vessazioni fiscali ed altro.
D: Il primo provvedimento forte dopo i fatti di Santo Stefano a Milano è stato lo spostamento per volontà del Viminale della partita Genoa-Milan dalle 21 alle 15. In un giorno feriale, di pomeriggio. Prima di qualunque altro discorso, va detto che è una misura che certamente non favorisce i tifosi, che quel giorno e a quell’ora lavorano e non potranno andare allo stadio o vedere la partita in tv. Crede sia un’azione che ha futuro? Ci sono margini di ripensamento o addirittura è un provvedimento che verrà ripetuto?
Il fatto che le partite a rischio, non ce ne dovrebbero essere di partite a rischio, ma che le partite a rischio debbano essere giocate alla luce del sole, probabilmente ai fini dell’ordine pubblico è positivo. Per quanto riguarda Genoa-Milan, il problema è che si gioca di lunedì per motivi di calendario internazionale. Quindi è evidente che giocare di lunedì pomeriggio, di un giorno lavorativo non è scuramente l’ideale. La decisione ormai è presa e rimarrà tale. Mi rendo conto che per coloro che sono abbonati e che in qualche modo hanno diritto a vedere la partita, non sia l’ideale. Credo che più complessivamente tutta la programmazione del calendario debba tenere conto da un lato di quelle che sono le esigenze dell’industria, anche televisiva, legata alla dimensione del mondo del calcio, e per le situazioni dove c’è un’oggettiva situazione di criticità e delicatezza, valutare quali sono le soluzioni organizzative migliori. Anche all’estero si fa, con un po’ di intelligenza e buonsenso queste situazioni si risolvono.
D: Argomento ultras. Qui parliamo del problema di chi delinque, non della parte sana della tifoseria. Non si può affrontare la questione se non considerando anche le infiltrazioni della criminalità organizzata nelle curve, e tutto ciò che in questo mondo va ben oltre il calcio. Si crea spesso un corto circuito tra ultras stessi, forze dell’ordine e club. Quanto il principio della responsabilità oggettiva delle società di calcio contribuisce a crearlo? Quanto pesa l’arma di ricatto in mano a chi delinque?
Il principio della responsabilità oggettiva è un principio che è entrato nel diritto dello sport, è difficile che ne esca. Il tema dell’impegno da parte delle società sportive di contrasto al fenomeno degli ultras violenti, credo si sia già concretizzato visibilmente nel fatto che questi incidenti normalmente non avvengono all’interno degli stadi, ma al di fuori. La dimensione calcistica e sportiva è soltanto un pretesto per questi violenti per darsi appuntamento in determinate località e scazzottarsi, purtroppo talvolta con situazioni luttuose come quella di Santo Stefano. L’impegno che ci deve essere da parte delle società di calcio, con la collaborazione delle Forze dell’Ordine, di isolare sempre di più e, io ho usato il termine “sterilizzare”, questi violenti ed impedire che il proselitismo possa andare avanti nelle curve. Perché poi funziona così, è autoalimentato da nuove leve che arrivano e che vengono portate a partecipare a episodi di violenza.
D: Non pensa che ci sia un eccesso di legittimazione di questi gruppi, che contengono frange violente, da parte dei club? Le faccio un esempio. Noi a Sky abbiamo scelto di non dare visibilità a striscioni degli ultras, scritte offensive, contestazioni, letture di comunicati, proprio per togliere un po’ di ossigeno a chi cerca visibilità. Forse se si cominciasse a fare anche negli stadi, di mettere un po’ ai margini questi gruppi, i cattivi esempi verrebbero a diminuire e anche il potere di attrazione di questi violenti.
Sì, un problema di legittimazione mediatica, nel senso che le Forze dell’Ordine credo che affrontino questo tema non soltanto sotto l’aspetto della repressione, ma c’è tutta una metodologia abbastanza consolidata. Il problema esiste: se si dà pubblicità anche a eventi violenti, in qualche modo si celebra e si esalta un rito che per questo tipo di tifosi violenti diventa un mezzo anche di stima e autostima per attrarre delle persone deboli psicologicamente che vedono in questo modo la possibilità di partecipare a una situazione che dà un riconoscimento. Su questo tema, l’ho detto anche in occasione dell’incontro che c’è stato alla scuola di Polizia, i media svolgono una funzione importante. Enfatizzare e dare pubblicità a queste situazioni rischia di essere addirittura controproducente.
D: Gravina, in un’intervista alla Gazzetta dello Sport, ha ribadito come la posizione della FIGC sia in linea con quella di UEFA e FIFA a proposito dell’interruzione delle partite per casi di razzismo all’interno degli stadi. Fabio Capello oggi a Sky Sport 24 ha lanciato una proposta che per altro si avvicina a quello che in passato aveva detto Carlo Ancelotti (allenatore del Napoli). Ha messo al centro il ruolo del calciatore, Capello dice: il calciatore è oggetto di insulti, un collega in campo è oggetto di insulti, allora è fondamentale che siano per primi i calciatori a fermarsi, a dare un segno concreto sul campo per contribuire al fatto che la parte sana, la maggioranza del pubblico, sia solidale con i giocatori e metta al margine i razzisti. Lui proponeva di sedersi per qualche secondo in campo come segno di solidarietà e poi magari di non andare a salutare quei tifosi che si sono resi protagonisti di questi atti. Che cosa pensa di questa proposta e sul ruolo di responsabilità del calciatore.
Penso che il calciatore rappresenti per il ragazzo forse l’elemento principale di emulazione e di esempio, più del professore a scuola, o magari più del genitore. Penso che chi vive questa dimensione deve percepire l’importanza dell’esempio che lui dà nel momento in cui è in campo e gli atti che come. Questo poi ha un effetto pervasivo su tutta la filiera. Per il giovane calciatore come si comporta quando va nel campetto a giocare magari negli Esordienti o nei Giovanissimi, a quando poi va finalmente a vedere la partita. E soprattutto, in queste occasioni, è importantissima la reazione dell’altra parte del pubblico che ha gli strumenti per soverchiare e per zittire quelli che si rendono responsabili degli “ululati”. Il mondo dello sport e quello del calcio sono uno strumento formidabile in termini formativi-educativi. Tutte le componenti del mondo del calcio devono capire che assolvono una funzione sociale incredibile.
D: Recentemente in Finanziaria è stata approvata un’importante misura contro la pirateria. Di fatto si dà un Daspo a chi commette questo reato esattamente a come a chi lo commette all’interno di uno stadio. Quanto importante è questo provvedimento, soprattutto nell’ottica di affermare il principio che la pirateria è un reato.
In questo Paese deve crescere il senso civico e l’educazione civica in ogni dove. Per un certo periodo di tempo si è pensato che magari evadere le imposte fosse un atto di furbizia invece di fare un danno a tutti gli altri che ti stanno vicino. E’ questo vale anche per la pirateria, non è un atto di furbizia, è un qualcosa che deve essere ovviamente sanzionato perché altrimenti ne pagano le conseguenze tutti gli altri. E’ un percorso nel nostro Paese su cui non bastano chiaramente le leggi. Fare una legge è nulla, poi bisogna anche applicarla questa legge e ci vuole la collaborazione di tutti. Deve crescere complessivamente il senso civico e capire che ci sono delle regole scritte e non scritte che si devono rispettare.
D: Cosa ne pensa della possibilità di istituire un tavolo allargato, un momento di dialogo fra tutti i protagonisti del mondo dello sport a proposito di tutti i temi che riguardano la legalità?
Credo che sia, non solo necessario ma indispensabile. Il fenomeno del calcio è un fenomeno sociale che coinvolge la stragrande maggioranza della popolazione italiana. Se noi riusciamo a trasformarlo oltre che in un fenomeno sportivo in un fenomeno industriale, perché anche la realtà di Sky lo dimostra, senza di voi il sistema del calcio non avrebbe le risorse per mantenersi a questi livelli di competitività anche a livello internazionale. Può essere l’occasione per un momento di crescita civile collettiva, però tutte le componenti devono essere messe a sistema. Non è che il Governo con delle leggi cambia la situazione, le leggi sono l’espressione finale di un sentire condiviso. Questo tavolo, che secondo me deve essere continuativo, che monitora la situazione che dà continuamente contributi per questo tipo di crescita è fondamentale. Non ci sono soltanto gli ululati nei campi in Serie A, ci sono anche fenomeni nei campetti di periferia in cui i genitori si picchiano per partite dove dovrebbe semplicemente trionfare il momento del gioco e del divertimento. Dobbiamo crescere un po’ tutti.
D: Quando si parla di problemi del calcio, viene spesso citata la televisione, gli interessi della televisione, i soldi del mondo del calcio come un uomo nero, un elemento negativo. Credo che lavorando nel dettaglio su tutto quello che è il mondo del calcio, si possa scoprire con grande evidenza quanto gli interessi dei tifosi siano molto spesso coincidenti con quelli della televisione, avere un bello spettacolo, avere dei begli impianti, avere degli stadi pieni, avere degli ottimi orari per godersi lo spettacolo delle partite. Perché c’è questo atteggiamento verso il mondo delle televisioni, visto con questa negatività?
Siamo in una fase sociale in cui, come ha osservato il Censis, un po’ di demagogia vale per tutti, anche per questa dimensione. Nella legge del Bilancio abbiamo messo.. per costringere le società di calcio a fare dei bilanci certificati, puntuali, veritieri, abbiamo subordinato il fatto che i diritti televisivi, che pagano Sky e altri, vengono riconosciuti soltanto a quelli che fanno bilanci puliti, veri e trasparenti. E’ un modo concreto come utilizzare il contributo che dà la televisione per valorizzare il sistema.
D: Lei è un grande appassionato di Premier League?
Sì, è vero.
D: La Premier League sta diventando una sorta di NBA del calcio europeo, un campionato di eccellenza anche per come viene proposto e organizzato. Che cosa importerebbe come primi provvedimenti, imitazioni da quel modello?
Il fascino della Premier League sono questi stadi di proprietà delle società, sempre pieni, nonostante la copertura televisiva che c’è. Come riuscire a copiare questo tipo di modello, in cui c’è la partecipazione e la partecipazione delle città dietro la loro squadra? In Premier League e anche nelle serie inferiori, la città partecipa e va a tifare correttamente, dopo i provvedimenti della Thatcher e di Taylor, la squadra del cuore. Questa partecipazione sociale a un grande evento sportivo tradotto in una dimensione “industriale”, di business e di altissimo livello. C’è business, ma anche partecipazione delle comunità, il mix non funzionerebbe, quello che un po’ manca qui.
D: Ho una curiosità. Perché un ragazzo di Varese diventa tifoso del Southampton da giovane e poi lo rimane per tutta la vita, mi pare?
Una volta c’era il subbuteo che aveva una sua poesia, c’erano tutte le squadre, con tutte le divise e io avevo preso il Southampton. Da quel momento iniziai a seguirlo. Di notizie non ce ne erano a quell’epoca, poi comprarono Keegan dall’Amburgo e cominciarono a diventare anche un po’ importanti e poi è rimasta questa passione che ho trasmesso a mio fratello che è nato quindici anni dopo di me, cresciuto senza subbuteo ma già con la divisa del Southampton a tre anni.
D: È vero che lei ha fatto un ritiro, o ha provato a fare un ritiro, da portiere con una squadra?
Assolutamente, si.
D: Quale?
L’ho fatto a Chiavenna, andai con il Varese, io sono di Varese, e feci il ritiro. Invece di fare le ferie, le vacanze, di andare chissà dove. Per il fisico, mi fece bene e ho capito come funziona quel mondo lì.
D: Non l’hanno confermata, poi
No. Secondo me, ero molto bravo, ma non sempre il giudizio personale è sufficiente. Ho preso un altro tipo di carriera, dove spero di dare un qualche contributo, comunque positivo.
D: Può spiegare la riforma dello sport che ha in mente?
Noi, la prima cosa che abbiamo fatto è stata, da un lato un intervento, non tanto sul CONI, che rimane l’ente chiamato a fare la politica sportiva, ma quanto su CONI Servizi, che è la gestone economico-finanziaria dei tanti denari che lo Stato nette a disposizione dello sport e che dovrebbero essere orientati anche alla promozione dello sport di base, in particolare quello della dimensione educativa e formativa nel mondo della scuola e anche in chiave preventiva, in dimensione sanitaria. Io ricordo che le visite medico-sportive sono l’unica forma di screening di massa che si fa in età giovanile. Forse, diciamo così, andrebbero valorizzate adeguatamente. Poi, abbiamo fatto un provvedimento, del quale si parla pochissimo che, invece, secondo me è importantissimo, lo sport bonus anche sulla manutenzione ordinaria. Cioè, tutti coloro che in qualche modo danno un contributo per migliorare le strutture sportive pubbliche, lo possono dedurre dall’imposizione fiscale. È una forma con cui possiamo sostanzialmente cercare di mettere, non dico a norma, però di migliorare un attimino gli impianti sportivi dove giocano i nostri ragazzi. Poi, il nostro obiettivo è creare le condizioni per cui tutto l’associazionismo sportivo di base possa, in qualche modo, lavorare e fare giocare i nostri ragazzi senza l’incubo che arrivi l’agenzia dell’entrate, che arrivi l’input. Per cui uno, alla fine, è responsabile personalmente. Il presidente di un’associazione sportiva dilettantistica è responsabile personalmente e solidalmente con il proprio patrimonio per le obbligazioni di tutti quelli che in qualche modo lavorano lì. Devo dire che questi sono gli eroi veri, che tengono in piedi lo sport italiano. Io l’ho sempre detto, anche scherzosamente, a Malagò, non è Malagò, ne Giorgetti, che tiene in piedi lo sport italiano. Sono queste decine di migliaia di eroi civili che si assumono questo tipo di responsabilità.
D: Ce n’era bisogno? Non bastava il CONI? E non c’è il rischio di una lottizzazione politica dello sport, che lo sport perda l’autonomia da questo punto di vista?
Ce n’era bisogno, lo sport non perde la sua autonomia. Anzi, viene valorizzata l’autonomia dello sport nella dimensione sportiva, mentre per quanto riguarda il pericolo di lottizzazione, CONI Servizi, i vertici vengono nominati dal Ministero dell’Economia prima, vengono nominati adesso. Il rischio che in qualche modo lo sport venga condizionato dalla politica, c’è sempre stato. Forse, è meglio fare chiarezza nella distinzione dei ruoli ed evitare confusioni.
D: Da questo punto di vista, quali saranno i prossimi passi?
Stiamo lavorando sulla legge delega che, in qualche modo, metta ordine su tutta la dimensione dello sport professionistico, semiprofessionistico e dilettantistico. C’è tanta, tanta gente che lavora nel mondo dello sport, ma che non ha una definizione giuridica precisa, tutti coloro che lavorano nelle palestre, che hanno delle forme di rimborsi forfettari, ma che non hanno nessuna forma di tutela giuridica e anche in previsione previdenziale. Nella semplificazione, tenendo presente le negligenze di semplificazione, dare un inquadramento a tutto questo mondo, secondo me è giusto. Questo è l’obiettivo su cui stiamo lavorando.
D: Milano-Cortina: l’Italia può tornare a sperare di ospitare un’Olimpiade, a crederci concretamente come obiettivo? Anche perché i suoi alleati di governo non sembrano appoggiare questo tipo di grandi eventi
È vero, nel senso che c’è stata discussione tra di noi. Alla fine, abbiamo trovato questo tipo di soluzione che, per carità, non sarà perfetta, per cui abbiamo dato il via libera alle città candidate, con la clausola, a condizione che tutti gli oneri, diretti o indiretti, in qualche modo non facciano capo allo Stato, ma alle comunità e alle regioni che hanno promosso l’evento. A questa condizione, alla fine anche il Movimento 5 Stelle ha aderito. Adesso, dovremo definire esattamente contrattualmente questa dimensione. Personalmente, ritengo che questo tipo di evento, sia un evento importantissimo per l’Italia ma, soprattutto, aggiungo io, per la montagna italiana, che è un prodotto, tra virgolette, è un brand, da vendere in tutto il mondo.
D: Cito tra le sue deleghe quella dell’adozione di iniziative volte a promuovere i valori dello sport. Da questo punto di vista non può che venirmi in mente la scuola. Quando io ero piccolo, e penso anche lei, sentivo già parlare dell’importanza di introdurre maggiormente lo sport nelle scuole, come valore educativo e formativo per i ragazzi, e quindi della necessità di strutture nelle scuole e non soltanto. Adesso siamo più grandi, sia io che lei, ma l’argomento è assolutamente identico. Dobbiamo introdurre lo sport nelle scuole perché è utile per i ragazzi ma la situazione, lo dico per i miei figli, non è cambiata. Da questo punto di vista, ci possiamo lasciare con un impegno serio e concreto per lo sport nelle scuole, come valore innanzitutto?
Quando facevamo Sport noi a scuola era ginnastica, adesso si chiama attività motoria. Ci sono due dimensioni: prima quella dell’impiantistica sportiva in generale e poi quella legata ovviamente alle scuole. Qui c’è un programma, in parte che dipende dal Dipartimento dello Sport, in parte dal Ministero dell’Istruzione, dove abbiamo cominciato a canalizzare i finanziamenti e i contributi agli impianti polivalenti, che possono servire sia alla dimensione scolastica sia alla dimensione extrascolastica.
D: E’ pieno di impianti liberi la mattina che potrebbero essere utilizzati dalla scuola?
Esattamente. Qui ci vuole maggiore collaborazione anche tra le Federazioni e la dimensione scolastica, e credo sia necessario che anche le istituzioni scolastiche si aprano un attimino all’utilizzo delle palestre, quando ci sono. E poi c’è la dimensione del Personale, qui c’è un disegno di legge che è già stato approvato dalla Camera dei Deputati, ora al Senato, c’è l’impegno da parte del Ministro dell’Istruzione Bussetti, che essendo un ex professore di Educazione Fisica ha una sensibilità particolare sul tema e proprio settimana scorsa abbiamo fatto al Ministero dell’Istruzione un momento d’incontro con i Coordinatori dei Professori di Educazione Fisica delle scuole, è un argomento su cui noi puntiamo tantissimo, che appunto la nuova società Sport e Salute, che nasce in eredità da Coni e Servizi, ha proprio tra le proprie finalità anche quella di essere un braccio operativo per promuovere questa dimensione dello sport a scuola e dei valori connessi allo sport a scuola, perché non c’è soltanto l’attività fisica, c’è anche soprattutto l’insegnamento che uno trae dalla pratica sportiva, perché dal momento in cui uno fa sport, poi diventa un tifoso informato e consapevole, e normalmente riesce anche ad essere un corretto.
D: Uno sportivo praticante conosce il senso della vittoria e anche quello della sconfitta. E dunque sa perfettamente interpretare le situazioni di gioco come spesso non avviene in molti campi
Infatti qualcuno si è messo a sorridere e proprio in quella circostanza io ho detto che la cosa fondamentale che insegna lo sport è che insegna a perdere, perché quando vinci va tutto bene. Bisogna saper perdere e bisogna insegnare ai nostri ragazzi, che sono abituati e magari crescono nei vizi del tutto è dovuto, a saper accettare la sconfitta. Sono molti di più quelli che perdono di quelli che vincono, quindi, per definizione, questa è una dimensione di crescita collettiva importante.
D: Su questo argomento dello sport nelle scuole ci ripromettiamo di tornare da lei, per seguire questo percorso
Assolutamente sì, questo è un must dell’impegno di governo, sta scritto anche nel contratto di governo.
D: Al termine del suo mandato da Sottosegretario allo Sport, lei sarà soddisfatto se…
Sarò soddisfatto se questo Paese diventerà un Paese di tifosi sportivi praticanti, cioè del fatto che la cultura sportiva, sia in termini di pratica che di educazione sportiva e di fairplay, diventi un patrimonio condiviso e diffuso.
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