Griezmann rompe la partnership con il colosso della tecnologia Huawei e diventa un caso internazionale
(di Alessandro Presta) – Il calciatore francese del Barcellona Antoine Griezmann ha da poco concluso la sua partnership di sponsorizzazione con Huawei (società cinese di tecnologia). Secondo quanto riporta il portale specializzato “SportBusiness”, la separazione nasce da una vicenda che riguarda il trattamento dei musulmani uiguri (etnia turcofona di religione islamica che vive nel nord-ovest della Cina) da parte della Cina. Dal 2017 Griezmann è ambasciatore di Huawei ed è già apparso più volte in pubblicità per i loro smartphone.
Il calciatore (attraverso la sua pagina Instagram) ha denunciato il fatto che, tramite un software di riconoscimento facciale, la società cinese avrebbe contribuito alla sorveglianza di questa minoranza etnica. Una mossa che segue quella di altri suoi colleghi, come Mesut Ozil (calciatore dell’Arsenal) e Kalidou Koulibaly (difensore del Napoli), i quali già si erano schierati a favore degli uiguri.
Secondo alcune recenti rivelazioni del “Washington Post”, esisterebbe infatti un programma in grado di identificare, attraverso le telecamere, i tratti somatici di questa etnia e di avvertire la polizia. La strategia è stata ideata per controllare le città della regione autonoma dello Xinjiang (Cina). Le azioni di controllo intraprese sarebbero necessarie per pacificare una regione che da tempo è dominata da disordini, compresi attacchi terroristici.
Dopo le dichiarazioni di Griezmann, non si è fatta attendere la risposta di Huawei. La società vuole infatti chiarire con il calciatore la propria posizione, difendendo il lavoro dell’azienda nell’affrontare le questioni sui diritti umani, sull’uguaglianza e a proposito della discriminazione.
La Cina, in seguito a questa denuncia, è stata pesantemente criticata a livello internazionale per le sue azioni nei confronti degli uiguri. Secondo quanto scrive “SportBusiness”, ci sono pesanti accuse verso la Repubblica Popolare Cinese, tra cui quella di “rinchiudere” parte di queste persone in “centri di formazione professionale”. Lo Stato, in risposta, afferma di non maltrattare la sua popolazione.
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