Calcio.Internazionale

Il caso Dani Alves e l’idea della prova tv sugli spalti

Non è intenzione di chi scrive proporre un’ulteriore estensione della responsabilità oggettiva verso le società di calcio (ma sarebbe meglio estendere, come si vedrà meglio fra un attimo, il concetto a tutti gli altri sport) i cui tifosi, anche singolarmente, si macchino di comportamenti intolleranti e palesemente razzisti, ma è di tutta evidenza che il problema esiste, ed ovviamente non solo in Spagna. Paese, quello iberico, dove peraltro la società valenciana ha già dato un buon esempio di giustizia fatta in casa, dal momento che il tifoso autore del lancio della banana è stato prontamente identificato dal circuito di telecamere interno e sanzionato sia con il ritiro della tessera di socio del club che con il divieto di accesso allo stadio a vita.
Il problema del razzismo offre comunque una grande varietà di estrinsecazione, ed, in questo senso, perde di valore anche il commento sopra espresso, secondo cui i razzisti sono soliti dare sfogo alle loro pulsioni perché protetti dal fatto di essere in gruppo.
Negli Stati Uniti, infatti, Donald Sterling, proprietario di una delle franchigie più forti dell’NBA, i Los Angeles Clippers, è stato colto in fallo durante una registrazione audio in cui esortava la sua fidanzata a non farsi fotografare o andare allo stadio con persone di colore (in particolare, lo aveva infastidito il fatto che la donna avesse pubblicato su Instagram una foto che la ritraeva insieme a Magic Johnson, una leggenda del basket americano).
In questo caso, ci hanno pensato i giocatori stessi a dare un segnale forte ed inequivocabile contro il razzismo, seppur proveniente dal proprietario del club: i cestiti hanno protestato togliendosi le magliette della squadra durante il riscaldamento e rimanendo in tuta in segno di dissenso con le frasi pronunciate dal loro patron.
Tutto questo dimostra che, laddove non arrivano (o non esistono) le norme di legge, il buon senso e l’ironia sono sempre l’alternativa migliore, soprattutto per la soluzione di un problema culturale prima ancora che giuridico, come la discriminazione razziale. (fonte: Sportbusinessmanagement – Avv. Carlo Robolà)

Da un punto di vista giuridico, o, per meglio dire, di fantagiustizia, l’episodio apre le porte ad una serie di considerazioni.Partendo dalla personale considerazione in base alla quale l’individuo che esprime il proprio disprezzo nei confronti delle persone di colore lo fa perché si sente, in qualche modo, protetto dall’anonimato che gli viene garantito dall’essere parte di una moltitudine, è plausibile ritenere che l’uso della telecamera, utile sin qui solo per scovare i comportamenti scorretti dei calciatori non visti dall’arbitro, possa far comodo anche per individuare chi, fra il pubblico, si lascia andare a tali deprecabili comportamenti, non degni di quella società civile di cui tutti proclamiamo di far parte?

Previous post

Attualita' - L'Atletico affrontera' il Real Madrid nella finale Champions di Lisbona.

Next post

#sharethederby: Coca-Cola mette in fuorigioco la rivalità Milan - Inter rendendo i tifosi protagonisti di un gol di fair-play

Marcel Vulpis

Marcel Vulpis

No Comment

Leave a reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *