Il “dark world” delle scommesse illegali, dove il vip paga “l’agente” con orologi e cash negli “ape bar”
Il denaro contante. E gli orologi da decine, se non centinaia di migliaia di euro. La chiave per spiegare quello che succede nel mondo losco e pericoloso del gioco illegale che produce oltre un miliardo e mezzo al mese, si riassume tra il fruscio del denaro contante e lo scandire perfetto di quegli orologi. I soldi, ok, ma i super gioielli da polso a che servono? Un passo indietro. Si sa, la stella polare di chi sceglie la via del gioco è il dark gaming – le scommesse illegali – perchè per vip, attori, calciatori o rockstar, mantenere l’anonimato è vitale. E’ per questo che le giocate e le vincite per evitare controlli e quesiti imbarazzanti degli istituti di credito, sottolinea agipronews, ‘parlano’ solo cash e in forma anonima. E allora, quando si fa clic sul sito illegale, ci si lega ad una “promessa” di pagamento. Ma nel caso dei calciatori o dei vip in generale – rivela una fonte che vuole rimanere anonima – «non c’è problema, la garanzia è negli orologi da capogiro o in qualche gioiello di valore» .
Il punto centrale, per calciatori e vip è sfuggire alla registrazione on line. E allora, se tutto deve restare nell’ombra, la scommessa corre sul 5G, rimbalzando tra chat e cellulari. Ci si telefona, si scambiano “ordini” di scommessa via Whatsapp o Telegram, magari usando frasi in codice a volte anche ingenue dove i soldi diventano «patate, pizze, gomme» e il banco accetta la puntata a credito. Quando c’è da saldare il debito, le vie sono due, o il vip paga con l’orologio usando quello che ha al polso per pagare, o ricorre al caro vecchio cash. Di solito, ci si incontra negli ‘ape bar’, i locali dove si fa l’aperitivo particolarmente affollati e lì arriva la chiusura della scommessa. Difficile capire – tranne che gli investigatori che ciclicamente scoperchiano la pentola– chi ci sia dietro a queste organizzazioni. Nel corso degli anni, si sono scoperte connessioni con la malavita pugliese, siciliana, calabrese e campana in tutta Italia. Cinque anni fa, un malavitoso intercettato commentava così le prospettive del business online illegale: “Io cerco i nuovi adepti nelle migliori università mondiali, cerco quelli che fanno così: ‘pin pin!!’. che cliccano, quelli che cliccano e movimentano”.
Per i tanti scommettitori ricchi a caccia di emozioni, lo sanno gli esperti del settore, c’è bisogno di un “banco” con le spalle larghe, che voglia “investire” i proventi di altri affari illeciti per finanziare il business del betting illegale. Clan malavitosi, italiani ed esteri, magari “appoggiati” a conti esteri in banche dell’Est Europa o in paradisi fiscali dove non si fanno troppe domande e non si pagano tasse. Un mondo sconosciuto, che emerge solo con le inchieste dalle quali sbucano poi nomi eccellenti come nel caso di Tonali, Zaniolo, Fagioli.
La caccia al Lupin delle scommesse illegali è incessante: l’Agenzia delle Dogane oscura i siti – siamo arrivati a diecimila come riferisce agipronews – ma pochi minuti dopo ai clienti degli stessi, illegali, arriva una mail con un nuovo indirizzo (di solito lo stesso con un numero progressivo che cambia ad ogni oscuramento) che riporta alla bisca virtuale e istruzioni dettagliate per ‘riattivarsi’ rapidamente. E adesso, è in grado di rivelare l’agenzia Agipronews, c’è anche l’agente di zona, come per un’azienda di telefonia. Basta collegarsi a siti non autorizzati – con licenze in paesi tipo Curaçao – e tentare di registrarsi. Si verrà indirizzati dal sistema verso un “agente di zona” o “referente di zona” che provvederà a facilitare il cliente. Ci si incontra, lo scommettitore versa la somma che intende depositare sul conto all’agente, che gli fornisce le credenziali di accesso. A quel punto, il gioco è fatto: basta andare a casa e scommettere sulla somma depositata. Si tratta però di un credito “virtuale”, perché non è transitato attraverso alcuno strumento di pagamento “ufficiale”. E in caso di vincita, basterà chiedere un nuovo incontro all’agente per il pagamento cash o con quell’orologio che, in fondo, aveva anche un po’ stancato, sfuggendo così a ogni forma di controllo.
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