Il drammatico costo dell’inattività fisica in Europa
(di Andrea Ranaldo) – Si è appena conclusa l’European Week of Sport, un’iniziativa della Commissione europea volta a promuovere lo sport e l’attività fisica in tutto il Vecchio continente, che ha visto la partecipazione di oltre 10 milioni di persone in circa 35 mila eventi ufficiali, caratterizzati dall’hashtag #BeActive.
“Sii attivo”, dunque: e non si tratta affatto di un messaggio banale! L’inattività fisica rischia infatti di essere una delle grandi sfide del futuro, e per sottolinearne l’importanza l’intergruppo Sport del Parlamento europeo ha organizzato, a Bruxelles, un workshop inter istituzionale dal titolo “Sport, Salute e Alimentazione: Benefici e Rischi”. A catalizzare l’attenzione dei presenti sono stati, fin da subito, soprattutto quest’ultimi. Marisa Fernandez Esteban, vicecapo dell’unità “Sport” della Commissione europea, ha sottolineato come nell’UE circa il 6% delle morti annue siano ascrivibili all’inattività fisica.
Un dato preoccupante, ma che è stato ulteriormente aggravato dalle parole del secondo relatore, il direttore senior “Global Community Impact” di Nike, Dan Burrows, secondo cui recenti studi dimostrano come i nostri bambini siano i meno attivi della storia, e pertanto potrebbero diventare la prima generazione di sempre a morire in età più precoce rispetto ai propri genitori. Troppi videogiochi e bevande gassate? Di sicuro, l’attuale clima di terrore che si respira in Europa, tangibile soprattutto nelle grandi città, e una società dispensatrice di pericoli e cattive tentazioni, non aiutano a mitigare il problema.
In un clima surreale, con tanto di ospiti che abbandonavano la loro poltrona per continuare a seguire il dibattito in modo più attivo, passeggiando per la sala, si è così entrati nel vivo della discussione grazie a Maxime Leblanc, responsabile degli affari europei dell’associazione “Sports and Citizenship”, che ha snocciolato una serie di dati sul costo, anche economico, dell’inattività fisica. Ad oggi si contano circa 210 milioni di cittadini europei totalmente inattivi, un fardello che pesa sulle casse dell’UE per oltre 80 miliardi di euro all’anno.
Gli italiani sono al primo posto, secondi soltanto ai britannici, che tuttavia usciranno presto da questo genere di statistiche: ben un terzo degli adulti, per l’esattezza il 38% delle donne e il 28% degli uomini, non raggiunge i livelli di attività fisica quotidiana raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Sarebbero sufficienti 150 minuti a settimana di maggior movimento, che potrebbe anche essere suppliti salendo le scale, anziché prendendo l’ascensore, o camminando a un passo leggermente più sostenuto rispetto a quello abituale.
La situazione non migliora se parliamo dei nostri ragazzi: addirittura il 92% dei tredicenni italiani non raggiunge lo standard minimo dell’OMS. E in questo permangono enormi responsabilità anche della scuola, visto che non sempre l’ora di educazione fisica è sostenuta in locali attrezzati, oppure, ed è il caso della scuola primaria, non tutti gli insegnanti, data la loro natura multidisciplinare, sono sufficientemente qualificati per curare al meglio le lezioni.
Quali le possibili soluzioni? Maxime Leblanc ha chiuso il suo intervento offrendo alcuni spunti interessanti, e focalizzando l’attenzione soprattutto sulla politica locale: oggi vi sono circa 360 milioni di persone, vale a dire il 72% degli abitanti dell’UE, che vivono in città o in sobborghi urbani, ma purtroppo lo Sport è spesso assente dal dibattito cittadino, se non nelle vacue promesse in campagna elettorale. L’attività fisica dovrebbe dunque essere promossa concretamente a livello comunale, perché una cittadinanza attiva rende competitive le proprie città.
Un assioma incontrovertibile, ma che fa da contraltare a un’ultima, curiosa statistica, che evidenzia la sottostima del problema da parte della politica: addirittura l’84% dei politici intervistati non è a conoscenza dei dati sulle persone sovrappeso, mentre il 66% ignora i numeri dell’obesità.
La speranza è che dopo questo workshop le istituzioni europee prendano a cuore la questione e si attivino – è proprio il caso di dirlo – per ovviare al problema.
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