IL FENOMENO DEI FAN VILLAGE. IMPLICAZIONI “POP” DEI FOOTBALL CLUB-BRAND ITALIANI
(di Manuele Iorio)* – I ritiri delle squadre di calcio rappresentano oggi il momento più importante della preparazione da parte dei club in vista della nuova stagione sportiva.
Ma ancora di più rappresentano il periodo dell’anno in cui i tifosi possono sognare ad occhi aperti senza vincoli asfissianti di risultati e malumori post domenicali per una sconfitta.
Almeno per gli ultimi 40 anni di calcio, vivere il periodo del ritiro è stato anche la descrizione di un’epoca di racconti leggendari ed aneddoti memorabili, legati a questo e a quel calciatore, che si tramandano nei racconti da nonno nipote con la complicità di addetti lavori o giornalisti.
A cementare questo scrigno di valori è sempre stato lo sconfinato amore da parte dei tifosi per la propria squadra del cuore: tifosi e non clienti, squadra del cuore e non club. Ondate di trasudanti famiglie partite dalle calde città italiane giungevano nel corso dei decenni a popolare le località di montagna per la felicità dei ristoratori e albergatori dei paesi di montagna.
Tifosi che nulla erano che il popolo italiano con le sue mille sfaccettature costituite dai diversi campanilismi, che coglievano l’occasione di fare una vacanza “all’aria fresca” e coltivare il sogno di un autografo da collezione prima e di un selfie da condividere sui social ora.
Masse di innamorati di calcio composti da gruppi di adolescenti in clima da gita di fine anno, famiglie con nonni al seguito inclini a rivisitare i ricordi delle generazioni passate, papà e mamme da soli, frutto delle nuove famiglie di genitori separati che portavano il proprio figlio a vivere la passione più forte, forse la vacanza più facile, forse un modo per sentirsi meno in colpa.
Morale della favola: il bello del calcio. Il perché la gente si abbraccia senza conoscersi. Il motivo degli stipendi ai calciatori. L’origine dei flussi dei soldi dei diritti tv.
Ora tutto ciò non esiste – quasi – più, almeno per molti tifosi.
E questo stravolgimento delle abitudini non è avvenuto a seguito dei una straziante lotta di classe, di una pacifica rivoluzione culturale o di una, poi sedata, sollevazione di piazza.
No, nulla di tutto questo, perché il popolo che è stato privato di questo sogno è il popolo silente del mondo del calcio.
Il popolo di chi non ha voce. Di chi non conosce un presidente di “club” o un “CEO” per comunicargli che lo ferisce questo cambiamento, che si sente privato di una ritualità. Per dirgli che lui intanto la partita alle 4 a.m. di notte dall’America contro il Real fa fatica a capirla.
Per dirgli che si può cambiare tutto, ma alla fine la fonte del valore del bene, come direbbe Deloitte, sono loro.
Dal 2011 come agenzia abbiamo organizzato all’interno dei ritiri i “FanVillage”: un luogo per il popolo dei tifosi, dove vivere la squadra del cuore a tu per tu, dove sentirsi a casa e di casa.
L’idea è venuta lavorando con la Nazionale Italiana in giro per il mondo durante gli europei e i mondiali di calcio. Clima festoso, tifosi mischiati, musica e interazione: tutto questo ci colpiva in ogni stadio del mondo prima di una partita. Allora ci siamo chiesti: ma davvero in Italia non è possibile farlo? La risposta di tutti era che fosse impossibile per la nostra mentalità.
Ma non ero convinto di un dettaglio: il mercato condiziona l’offerta o il mercato assorbe quello che passa l’offerta? Traduzione: secondo i più non era possibile realizzare i FanVillage in Italia perché i tifosi l’avrebbero rigettata violentemente; ma avevo il dubbio invece che i tifosi non avessero mai avuto modo di dimostrare la loro educazione e coerenza proprio perché non erano mai state offerte prima iniziative come i FanVillage da parte dei Club.
Caparbiamente intrapresi una strada che ci portò con grande orgoglio a ideare e realizzare il FanVillage per tutto il calcio italiano, Figc, Lega di Serie A e di Serie B, AS Roma, ACF Fiorentina, Bologna Fc, Cagliari Calcio spa, Hellas Verona, Sampdoria, fino ad arrivare dove non pensavamo di poter arrivare, allo stadio del Barcellona, al Camp Nou. Una realtà italiana che approdava a realizzare il FanVillage per la squadra di Messi in occasione della celebrazione della festa dei 25 anni dalla conquista della prima coppa Campioni e successivamente del famoso trofeo Gamper.
Il riconoscimento di un modo di essere creativi che contraddistingue da sempre l’Italia, la soddisfazione di portare il nostro modo di essere, di pensare fino al gotha del calcio mondiale.
Far divertire e giocare centinaia di migliaia di bambini di tutta Italia e non solo è stato la più grande gioia che ogni volta si realizzasse: la soddisfazione di far loro provare le emozioni di tirare e far gol a poche decine di metri dallo Stadio, sotto lo stesso cielo, sole, pioggia che avrebbero poi affrontato i loro beniamini.
Alla luce di questa lunga esperienza voglio affermare in maniera decisa che i FanVillage sono un prodotto POP. Come Lady Gaga, Madonna, Marilyn Monroe, Elvis, Oprah Winfrey, Michal Jackson sono POP, per intenderci. Pensare di offrire al popolo dei tifosi un FanVillage “Premium” è come chiedere ai bambini di giocare con la camicia bianca senza sporcarsi. Il FanVillage è pensato per divertirsi, per calciare, per toccare il mondo colorato e morbido degli elementi gonfiabili che lo contraddistinguono come la porta gigante o il bersaglio maxi gonfiabile. Pensare di trasformare quest’aspetto imponendo costose strutture in materiali freddi e lontani dalle esigenze delle famiglie e dei bambini equivale a commettere un peccato originale, distogliendo risorse che potrebbero essere investite in attività “in focus” con il target adatto.
Per il segmento “Premium” esistono le “hospitality”, i “walkabout”, le iniziative VIP.
Purtroppo a volte le squadre del cuore dei tifosi sono “ostaggi” di manager che provengono da mondi lontani alla realtà calcistica e non agiscono sempre nell’interesse dei “fan” (che deriva dall’abbreviazione di “fanatics” non dimentichiamolo mai).
Nell’attuale sistema calcio italiano in cui i nostri club sgomitano per la distribuzione dei diritti televisivi, avere stadi pieni e festanti è un parametro decisivo per ottenere risorse crescenti.
La stessa KPMG distingue tre tipi di incassi con cui commisurare il livello di forza di una squadra: entrate dai diritti tv, entrate commerciali dagli sponsor e “match day” entrate dall’evento partita.
Per questo le aziende calcio si devono inevitabilmente trasformare sempre più in società d’intrattenimento, almeno per una forte componente al proprio interno. Devono essere sempre attente alla creazione d’interesse e “interazione positiva” verso il proprio brand per tutte le fasce di tifoseria, non solo per l’esclusivo segmento “Premium”.
Devono dotarsi di “Fan Manager” che vengano da quel mondo, che vivano quel mondo, per non commettere l’errore di diventare lo strumento machiavellico di una carriera individuale.
Investire nei FanVillage, sebbene all’inizio possa sembrare una voce di spesa non utile, si rivela nell’arco di pochi anni un investimento vantaggioso sotto molteplici punti di vista: dal punto di vista dello stemperare i toni nel pre-partita creando un clima positivo (meno incidenti e meno multe per il club), dal punto di vista della crescita dei giovani tifosi con i valori della società, dal punto di vista dell’allungare il periodo dell’evento sportivo. Insomma un accelleratore del progresso di fidelizzazione delle giovani leve di tifosi.
Inoltre il progetto FanVillage risulta essere un’ottima fonte per il club per avere continui contenuti adatti al pubblico dei social media: un contenitore che possa offrire giochi ed esperienze innovative e coinvolgenti ai propri sponsor e fan, basati su piattaforme di sharing e multimediali. Un modo per monetizzare con gli sponsor online piuttosto che la vecchia strategia commerciale basata sulla vendita di beni tangibili come birra, panini e merchandising.
Il modo quotidiano con cui si usano oggi i social media impone che i club non debbano più considerare i propri canali social media come semplici strumenti di comunicazione per diffondere messaggi più o meni istituzionali e dare spazio marginalmente alle “tempeste fotografiche e video” che si impongono durante gli eventi del club in particolar modo durante i FanVillage.
I fan vogliono visceralmente analizzare ogni singola foto e video dell’evento in cui hanno partecipato, cercando più contenuti possibili in considerazione che ognuno di loro ha una media di due post originali al giorno.
Per questo avere una quantità “tsunamica” di elementi foto/video e non pubblicarla (in nome di una visione premium dei canali social del club) è un autentico autogol per i club.
I club debbono dotarsi di pagine social e app dedicate alla community dei fan diverse da quelle istituzionali del club: la differenza che l’alta moda fa tra la “prima linea” costosa e inaccessibile e la linea “prêt-à-porter” accessibile a tutti, diversa, POP.
Ecco in questo modo i club possono ottimizzare il valore commerciale di un’attivazione stadio o ritiro come il FanVillgae, consentendo di raggiungere sia i fan presenti all’iniziativa, sia i loro contatti social attraverso i post condivisi, sia nuovi segmenti di pubblico su scala mondiale che possono essere coinvolti con contest challenge, concorsi, engagement online. In questo senso i club devono cercare di utilizzare le piattaforme social dei propri calciatori tesserati come amplificatore delle iniziative per arrivare a utenti non necessariamente tifosi del club.
Inoltre i FanVillage sono dei canali privilegiati se ben utilizzati del management per avere contenuti per i propri canali tv tematici, che per essere continuamente attraenti devono avere sempre proposte innovative nella direzione di far sentire il tifoso protagonista alla pari del campione che scende in campo.
In conclusione, è possibile ottenere entrate economiche che possano far superare i costi d’investimento per la realizzazione di eventi come il FanVillage dedicato alla community dei tifosi se si capisce il vero valore di un azienda di calcio che è sempre più una proposta di intrattenimento; e se si ha una visione delle caratteristiche e del patrimonio di valori comuni POP che il proprio popolo di tifosi racchiude in se.
- fondatore di Sport Management International
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