(di Daniele Rizzi) – Lo scorso luglio, il Liverpool F.C. fece richiesta tramite l’Intellectual Property Office (organismo governativo ufficiale responsabile dei diritti di proprietà intellettuale nel Regno Unito) di registrare un marchio con la parola “Liverpool”, per prodotti esclusivamente legati all’ambito calcistico.

L’obiettivo del club di Anfield non era tanto quello di creare un nuovo brand registrato che impedisse l’utilizzo della parola “Liverpool”, ma quello di proteggere i propri tifosi dai prodotti “non autentici” che riportavano la scritta “Liverpool”, in modo tale da disincentivare l’acquisto di gadget non ufficiali (ad esempio le sciarpe da stadio vendute nei giorni delle partite).

Il Liverpool, grazie a questa decisione, avrebbe potuto aumentare i propri introiti e reinvestire il denaro per ristrutturare “Anfield Road” (lo Stadio in cui gioca la squadra) e i produttori e gli artigiani che utilizzavano il termine “Liverpool” in riferimento alla città, e non alla squadra (ad esempio sui souvenir non legati al calcio), avrebbero potuto continuare a farlo.

L'”Intellectual Property Office” ha però respinto la richiesta, raccogliendo anche le proteste delle imprese locali, impedendo la rivendicazione esclusiva di quello che prima di tutto rimane un termine geografico.

Al Liverpool non è quindi riuscito ciò che in passato invece era stato concesso ad altri club inglesi come Chelsea, Tottenham FC e Southampton che erano state capaci di creare un trademark che impedisse l’utilizzo del nome del club sui prodotti non ufficiali.

In Italia un problema simile lo aveva vissuto anche l’Inter, che, nel 2014, ha cercato di registrare la proprietà intellettuale del nome, non riuscendoci, con una contesa con la neo nata squadra MLS (Major League Soccer, campionato di calcio per club statunitensi) dell’Inter Miami.