Italia come la Louisiana anni ’50. Insulti a sfondo razzista solo perché il testimonial-Adidas è nero
(di Marcel Vulpis) – L’Italia non sarà un Paese di razzisti, come “amano” spesso dire molti nostri politici, però di maleducati (e il termine è un eufemismo) ne è piena. E il caso della stella NBA James Harden (uomo-immagine Adidas) massacrato sui social deve far riflettere anche le aziende. Il mondo dei social è sempre l’arena migliore per promuoversi o comunicare? L’ignoranza presente, a livello digital, fa letteralmente spavento. E’ lo specchio di una società malata e di gente che sta sul web, più per mostrare disprezzo verso l’altro che per appassionarsi ad una storia (o “seguire” semplicemente un campione sportivo).
In occasione del suo 70° compleanno l’Adidas, ha scelto di lanciare una promozione-regalo per tutti i suoi fan. Come testimonial è stato chiamato James Harden, stella degli Houston Rockets e dell’intero campionato NBA. E’ uno dei suoi testimonial internazionali più popolari. Con Adidas, “Il Barba”, come viene soprannominato per via della caratteristica barba, vanta un accordo fino al 2028 per 200 milioni di dollari.
Appena però l’account Facebook di Adidas ha pubblicato il post con l’immagine di Harden, commentata da una breve frase con riportato i termini della promozione, si è scatenato l’inferno. Il giocatore NBA ha ricevuto moltissimi insulti razzisti: “Ma che schifo è?”, “Chi è questa capra?”, “Si trattano bene nel centro di accoglienza”, “Oddio sembra un terrorista islamico” e ancora “E a te chi ti ha fatto uscire dalla gabbia?“.
Se nel 2019 c’è ancora gente capace di scrivere queste oscenità allora significa che l’evoluzione dell’uomo si è fermata all’era glaciale. Offendere un ragazzo solo perchè nero e/o per una barba troppo da hipster è il segno inequivocabile di un degrado umano senza speranza. L’odio sta pervadendo la nostra società e il colore nero genera disprezzo in molti, così come avveniva nella Lousiana (Usa) anni ’50. Un sentimento di odio che torna ciclicamente nella società (non solo italiana).
Le aziende devono però iniziare a capire che si può fare comunicazione anche fuori dal web. Altrimenti questa moda di sentirsi vincenti (all’interno delle imprese), perchè si hanno migliaia di followers e condivisioni porterà, all’estremo, al delirio avvenuto con il caso Harden. Il razzismo manifestato verso l’atleta nero è un segnale allarmante della deriva culturale presente nel Paese. Non è un caso isolato, purtroppo. E’ lo standard. E’ sufficiente farsi un giro su Facebook e Twitter per leggere frasi di odio, disprezzo e violenza verso questo o quel soggetto.
E allora pongo seriamente la domanda ad Adidas Italia: perchè, per un “trimestre”, non prova ad andare controcorrente e a comunicare nelle scuole, nelle piazze, negli spazi a cielo aperto sdoganandosi dal mondo digital? Ha il coraggio di lanciare questa provocazione ed innovare tornando all’antico? Perchè altrimenti le interazioni generate all’interno di questo singolo post pubblicato sono solo un boomerang più’ che una opportunità.
I clienti di Adidas non possono essere questi maleducati, né Adidas può avere interesse a spendere soldi ingaggiando sul web simili utenti. Sarebbe un costo di marketing senza senso. E allora abbia il coraggio di uscire dalla rete per fare Rete all’interno della società civile, dando maggiore centralità alla comunicazione tradizionale piuttosto che ai social media. Solo così si isolano e si lasciano nel loro ghetti questi maleducati “primitivi”.
1 Comment
Ma che provocazione è? Adidas comunica abbondantemente al di fuori dal web e dai social in particolare. Anzi, scommetto una moneta da tre euro che il suo budget incomunicazione “tradizionale” è di gran lunga maggiore. E gli idioti sul web sono solo un sottoinsieme degli idioti “tradizionali”, non sono alternativi ai secondi.