La Formula Uno ha perso sognatori, ma la passione resta ancora un asset
La storia sfortunata di un team italo brasiliano che ha fatto appassionare i romantici di questo sport, ma che ora potrebbe puntare verso nuovi orizzonti.
(di Alberto Morici) – La Formula Uno, da quando ha cambiato gestione passando dalle sapienti mani di Bernie Ecclestone alla Liberty Media Corporation, ha cambiato filosofia e storie ricche di passione, fascino e ingegneria, come quelle di Guido Forti, non ne avremo più. Infatti l’avventura di questo uomo ricco di passione e competenza, nasce nella Formula Ford 2000 e approda in Formula Uno nel 1995 con un progetto basato su un gruppo di talenti che vuole tentare la scalata dell’Everest dello sport automobilistico; tra questi talenti alla guida Pedro Pablo Diniz e Roberto Moreno, alla progettazione Sergio Rinland e Giorgio Stirano e alla gestione Guido Forti appunto.
In un’epoca in cui già si parla di team strutturati e organizzati con 700 persone e un budget di circa 145M di dollari, la Forti Corse arriva in pista con un budget limitato di circa 19M e una squadra di sole 40 persone, ma forti e convinti delle proprie capacità.
Infatti la classe pura dei gioielli di casa Forti mette subito in evidenza la possibilità di un futuro radioso. Gianfabio, figlio di Guido che in quegli anni da studente universitario è molto vicino al papà nella parte gestionale, racconta a Sporteconomy di una storia fatta di persone che fanno della stretta di mano un dovere da rispettare, ma che forse in quel contesto dove girano così tanti soldi, è senza un lieto fine a causa di interessi che con la passione hanno poco a che vedere. “All’epoca la tassa di iscrizione al campionato era di solo (si fa per dire 500mila dollari) e dopo l’arrivo di Toyota è stata portata a 12 milioni di dollari, per creare una barriera all’ingresso accessibile solo alle grandi case automobilistiche. Da quel momento le avventure private senza il supporto di una casa automobilistica diventano un’utopia. A questo si aggiunge che gli imprevisti in pista portarono extra budget non facilmente gestibili”.
Partner industriale del team è uno sponsor tecnico portato dalla famiglia Diniz, la Parmalat che in Brasile ha una larga diffusione nei mercati locali. Pertanto nel 1995 nasce un team italo brasiliano dalle potenzialità incredibili, che nonostante mille difficoltà porta a compimento ben 7 gran premi, nessun punto in classifica, ma che fa ben sperare per la stagione successiva.
Invece, purtroppo, nel 1996 se l’arrivo di Cesare Fiorio rimette in pista il team, le sirene di vane promesse di crescita in Formula Uno per il giovane driver Diniz, fanno finire tristemente la telenovela italo brasiliana, poiché decadono gli accordi commerciali.
“Lo stile, l’onestà, la visione e la passione di mio padre sono stati il limite per una partnership duratura. Il team entrò in crisi economica e il 1996 scrisse la parola fine alla Forti Corse nel gotha dell’automobilismo agonistico”.
“Oggi – Gianfabio, consulente di direzione per la Cap Gemini, racconta – la Formula Uno, i cui diritti sono stati venduti da Bernie Ecclestone a Liberty Media, è entrata in un tunnel in cui si è perso il romanticismo che legava i piloti al mito, il fascino alla passione, il rischio all’avventura. Il modello di business imposto dalla corporation americana è diventato un gioco costoso con ritorni incerti. Si è persa la narrativa epica degli anni 90 e oggi neanche la Formula-E (versione elettrica della formula Uno) è in grado di risollevare le sorti post Covid; forse solamente la Formula One eSports Series potrà giocare un ruolo importante nella ricerca di nuovi eroi”.
Quindi se non sarà più possibile vedere Gran Premi stile Monaco 82, dove solo 4 team arrivano al traguardo, perché tutti i piloti esauriscono il carburante, forse un team tutto italiano mosso dalla passione, dalla competenza e dalla visione sarà possibile ritrovarlo nella specialità automobilistica degli eSport, e perché no, magari guidato ancora da un Forti, della Forti Corse.
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